Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9752 del 26/05/2020

Cassazione civile sez. VI, 26/05/2020, (ud. 19/11/2019, dep. 26/05/2020), n.9752

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott.DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36109-2018 proposto da:

GERMED PHARMA SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIOVAMBATTISTA TIEPOLO 4,

presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI SMARGIASSI, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

M.M.D., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

ANTONIO BERTOLONI 44/46, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI

BERETTA, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati

FRANCESCO PAOLO FEBBO, ELENA ALBERTA ANZOLIN;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 16040/2018 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata il 18/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 19/11/ 2019 dal Consigliere Relatore Dott.

MARGHERITA MARIA LEONE.

Fatto

RILEVATO

CHE:

La Germed Pharma srl aveva proposto ricorso per la revocazione della sentenza n. 16040/2018 con la quale il Giudice di legittimità aveva accolto il ricorso di M.M.D. nei confronti della società attuale ricorrente ed aveva dichiarato non proponibile l’opposizione al decreto ingiuntivo in quanto tardiva in relazione al termine decorrente dalla avvenuta notifica del decreto stesso.

Avverso detta decisione la società aveva proposto ricorso per revocazione affidato a un solo motivo cui resisteva con controricorso la M.. Entrambe le parti depositavano successiva memoria. Veniva depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1) Con unico motivo è dedotto l’errore di fatto ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, relativo alla errata individuazione della effettiva data di invio con raccomandata a r.r. della comunicazione di avvenuto deposito del decreto ingiuntivo ed errato conseguente calcolo del termine per il tempestivo deposito del ricorso in opposizione.

Parte ricorrente ha rilevato che, erroneamente, la Corte di legittimità, ha valutato che la notifica del decreto ingiuntivo fosse avvenuta in data 17 agosto 2009, allorchè la documentazione allegata dimostrava come l’invio della comunicazione di avvenuto deposito (si tratta di notifica effettuata a mezzo di ufficiale giudiziario tramite servizio postale con raccomandata e deposito, per temporanea assenza del destinatario, presso l’ufficio postale con il contestuale invio della comunicazione di avvenuto deposito con raccomandata a r.) fosse avvenuta il 18 agosto 2009.

L’errore di percezione in cui era incorsa la Corte risultava provato, a giudizio della società, dalla documentazione allegata attestativa di siffatta circostanza.

Il motivo risulta inammissibile. Nel valutare i motivi di revocazione diretti alle singole statuizioni espresse dalla sentenza, occorre partire dalla premessa che, come evidenziato dalle Sezioni Unite del Giudice di legittimità “Il combinato disposto dell’art. 391 bis c.p.c. e dell’art. 395 c.p.c., n. 4, non prevede come causa di revocazione della sentenza di cassazione l’errore di diritto, sostanziale o processuale, e l’errore di giudizio o di valutazione” (Cass. SU n. 8984/2018). Soggiunge la Corte che ” La giurisprudenza di legittimità ha perimetrato l’errore di fatto, tracciandone, in primo luogo, il confine rispetto alla violazione o falsa applicazione di norme di diritto sostanziali o processuali, laddove l’errore di fatto riguarda solo l’erronea presupposizione dell’esistenza o dell’inesistenza di fatti considerati nella loro dimensione storica di spazio e di tempo, non potendosi far rientrare nella previsione il vizio che, nascendo ad esempio da una falsa percezione di norme che contempli la rilevanza giuridica di questi stessi fatti e integri gli estremi dell’error iuris, sia che attenga ad obliterazione delle norme medesime, riconducibile all’ipotesi della falsa applicazione, sia che si concreti nella distorsione della loro effettiva portata, riconducibile all’ipotesi della violazione (vadasi tra le tante Cass., Sez. U., 27/12/2017, n. 30994 e sent. ivi cit. a p. 3.4; conf. Cass., Sez. U., 27/12/2017, nn. da 30995 a 30997). Resta, quindi, esclusa dall’area del vizio revocatorio la sindacabilità di errori formatisi sulla base di una pretesa errata valutazione o interpretazione di fatti, documenti e risultanze processuali che investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico-giuridico, perchè siffatto tipo di errore, se fondato, costituirebbe un errore di giudizio, e non un errore di fatto (Cass., Sez. U., n. 30994/2017, cit.)”.

Il principio richiamato fissa il discrimine tra vizio revocatorio ed error iuris, escludendo dal primo ogni asserita errata valutazione, sia in fatto che in diritto, svolta dal Giudice di legittimità.

Al fine di ogni verifica circa l’effettiva esistenza del lamentato errore percettivo, risulta preliminare richiamare il principio secondo cui ” al fine di stabilire l’esistenza e la tempestività della notificazione di un atto eseguita a mezzo posta, inclusa l’ipotesi in cui l’atto sia stato depositato presso l’ufficio postale per assenza del destinatario e sia stata spedita la lettera raccomandata contenente l’avviso di tentata notificazione, occorre fare riferimento esclusivamente ai dati risultanti dall’avviso di ricevimento, essendo soltanto tale documento idoneo a fornire la prova dell’esecuzione della notificazione, della data in cui è avvenuta e della persona cui il plico è stato consegnato” (Cass. n. 15374/2018).

Ogni concreta verifica del lamentato vizio avrebbe quindi richiesto, secondo l’invocato principio cui si intende dar seguito, la configurazione dell’errore percettivo come eventuale discrasia tra la data contenuta nell’estratto del servizio di Poste Italiane e l’avviso di ricevimento; quest’ultimo, non è stato inserito nel motivo di revocazione, in violazione del principio di specificità cui lo stesso deve rispondere. Il ricorso è quindi, già per tale motivo, imnammissibile.

Peraltro, deve anche rilevarsi che la Corte di legittimità, nella sentenza impugnata, ha effettuato una valutazione nel merito della valenza probatoria delle date oggetto di discussione avendo assegnato validità alla data del 17 agosto. Si è quindi in presenza di un giudizio estraneo ai confini dell'”errore di percezione”, come sopra qualificato, e quindi estraneo alla materia della revocazione.

Il ricorso è inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al

pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 3.5000,00 per compensi ed Euro 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 19 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2020

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