Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9752 del 07/05/2014


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 9752 Anno 2014
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: GARRI FABRIZIA

SENTENZA
sul ricorso 9412-2012 proposto da:
CEVA LOGISTICS ITALIA SRL 13017100150 (già Ceva Automotive
Logistics Italia Sri, prima Ceva In-Bound Logistics Sri e prima ancora
TNT ARVIL – joint venture TNT Arcese Bonzano SpA) in persona
del procuratore speciale, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE
MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI,
rappresentata e difesa dagli avvocati TOSI PAOLO, UBERTI
ANDREA, giusta delega a margine del ricorso;
– ricorrente contro

Data pubblicazione: 07/05/2014

AGLIANO CIRETTA, elettivamente domiciliato in ROMA, presso la
CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati
PELLERITO GIUSEPPE, BENEDETTO PELLERITO, CHIODO
SILVIO, giusta procura speciale in calce al controricorso;

controricorrente

avverso la sentenza n. 155/2011 della CORTE D’APPELLO di
TORINO del 3.2.2011, depositata il 02/04/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
18/03/2014 dal Consigliere Relatore Dott. FABRIZIA GARRI;
udito per la ricorrente l’Avvocato Andrea Uberti che ha chiesto
raccoglimento del ricorso; in subordine, in caso di soccombenza, il
minimo delle spese.
Svolgimento del processo
La Corte d’appello di Torino ha respinto il gravame proposto dalla
Ceva Automotive Logistics Italia s.r.l. ed ha confermato la sentenza del
Tribunale della stessa città che aveva accolto la domanda proposta
dall’odierna contro ricorrente e condannato la società al pagamento in
suo favore della somma chiesta a titolo di risarcimento del danno e
quantificata in misura pari alle differenze retributive per la durata della
sospensione in CIGS.
La Corte territoriale ha premesso in fatto:

che la società TNT (oggi Ceva Automofive Logistics Italia s.r.1.)
con lettera del 6.12.2002 aveva aperto la procedura per la
concessione della CIGS per 665 dipendenti senza rotazione per
la durata di 12 mesi dal 2.1.2003;

che i dipendenti da collocare in CIGS sarebbero stati individuati
in base alle esigenze tecnico produttive e organizzative senza
possibilità di rotazione in considerazione della caratterizzazione

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delle attività che cessavano e della impossibilità di procedere ad
un utilizzo polivalente di tali risorse;
che la procedura si era conclusa senza l’adesione delle 00.SS. e
che la società si era dichiarata disponibile a realizzare la
rotazione con modalità da concordare con le RSU,

che in data 19.6.2003 era stato raggiunto un accordo con la RSU
in base al quale la rotazione sarebbe stata realizzata su 54
posizioni lavorative con cadenza massima di due mesi.
Quindi, rilevato che il Tribunale aveva accolto la domanda ritenendo
violati i persistenti doveri di informazione prescritti dall’ art. 1 commi
7 e 8 della legge n. 223 del 1991 anche dopo l’entrata in vigore del
d.P.R. n. 218 del 2000, in relazione alle censure formulate dalla società
ha ritenuto, conformemente a quanto ritenuto dal giudice di primo
grado che l’art. 2 del d.p.r. 218 del 2000 citato non aveva abrogato
neppure implicitamente la disposizione della legge del 1991 che li
prescriveva.
La Corte d’appello ha escluso tale abrogazione in quanto:
l’art. 13 del d.P.R. n. 218 del 2000 non prevede tra le
abrogazioni né la legge n. 223 del 1991 né la 1. n. 164 del 1975;
la previsione di doveri di comunicazione privi di riferimento ai
criteri di scelta contenuta nel d.P.R. 218 citato non abroga
implicitamente la disposizione dell’art.1 della L. n. 223 del 1991
in quanto si tratta di norma di rango inferiore alla legge e,
comunque, con finalità distinte e non sovrapponibili a quella;
il d.P.R. 218/2000, emanato in esecuzione della legge delega n.
59 del 1997 aveva come finalità la semplificazione dei
procedimenti amministrativi ed è riferito solo all’operato della

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compatibilmente con le esigenze tecnico produttive;

pubblica amministrazione e ne rimane estranea l’attività dei
privati;
diversamente si priverebbe il lavoratore, in specie quello non
iscritto ad alcuna organizzazione sindacale, della possibilità di
conoscere i criteri in base ai quali è stato collocato in CIGS con

congiunto prevista dal d.P.R. n. 218 del 2000 non è comunque
una fase necessaria ed è rimessa alla scelta non contestabile delle
organizzazioni sindacali di non accedervi.
Sulla base di tali premesse il giudice di appello ha evidenziato come,
nella specie, la comunicazione del 6.12.2002 fosse del tutto inadeguata
poiché conteneva, quale unico riferimento, le “esigenze tecniche
organizzative e produttive” ed un prospetto che riportava in termini
quantitativi, con riguardo ai quattro settori produttivi interessati, il
numero delle sospensioni da effettuare. Osserva infatti la Corte
torinese che si tratta di indicazioni talmente generiche da non
consentire agli interessati di verificare la coerenza tra il criterio indicato
e la concreta individuazione del lavoratore sospeso.
Ha escluso poi che l’accordo aziendale, intervenuto ben dopo la
sospensione dei lavoratori, sanasse l’illegittimità della procedura quanto
all’indicazione dei criteri di scelta ed alle ragioni della mancata
rotazione, oramai consumatasi. Ha sottolineato infine che gli oneri di
comunicazione a carico del datore di lavoro costituiscono la prima
fase di una procedura amministrativa alla quale partecipa la Pubblica
Amministrazione con l’esercizio di poteri discrezionali, che culmina
con il decreto di autorizzazione della CIGS e dunque il vizio di
comunicazione si ripercuote sull’intera procedura determinando
l’illegittimità del provvedimento autorizzativo conclusivo. Ne segue
che un accordo tra parti private senza l’intervento dell’amministrazione
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l’ulteriore aggravante che, comunque, la fase dell’esame

non può sanare retroattivamente l’illegittimità del procedimento già
concluso.
Per la cassazione della sentenza ricorre la Ceva Automotive Logistics
Italia s.r.l. che articola quattro motivi di ricorso.
Resiste con controricorso la Agliano.

I motivi di ricorso possono essere raggruppati in base alle diverse
questioni poste dalla società.
La prima censura è di violazione o falsa applicazione del combinato
disposto di cui agli articoli 20 legge 15.3.1997, n. 59, 1, legge n. 223 del
1991 e 2, d.p.r. n. 218 del 2000. Violazione o falsa applicazione
dell’articolo 15 preleggi in relazione al rapporto tra il d.p.r. n. 218 del
2000 e l’art. 1 della legge n. 223.
Secondo la società ricorrente, la legge n. 59 del 1997, che regolò la
delegificazione di norme concernenti procedimenti amministrativi,
avrebbe inciso anche nella materia in esame in quanto il d.p.r. n. 218
del 2000 (“Regolamento recante norme per la semplificazione del
procedimento per la concessione del trattamento di CIGS e di
integrazione salariale a seguito della stipula di contratti di solidarietà, ai
sensi dell’art. 20 della legge n. 59 del 1997, allegato 1 n. 90 e 91”),
avrebbe delegificato la legislazione sulla Cassa integrazione guadagni.
Per effetto di tale operazione, il d.p.r. costituirebbe ormai l’unico
regolamento della materia con la conseguente sostituzione, per
abrogazione esplicita od implicita per incompatibilità, di tutte le altre
disposizioni anche di fonte legale.
In questo diverso contesto normativo, tanto la comunicazione
datoriale di avvio della procedura quanto l’esame congiunto dovevano
intendersi disciplinati esclusivamente dal d.p.r., con esclusione di ogni
possibilità di integrazione con la legge n. 223, con conseguente venir
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Motivi della decisione

meno del diritto delle organizzazioni sindacali, e di riflesso dei
lavoratori, ad essere informati sin dalla comunicazione di avvio della
procedura circa i criteri di selezione dei lavoratori da sospendere e le
modalità di rotazione.
La tesi della società contrasta con l’orientamento consolidato di questa

28 novembre 2008, n. 28464, che, affrontando per prima il problema,
all’esito di una analitica ricognizione del quadro normativo, affermò il
seguente principio: la disciplina del d.p.r. n. 218 del 2000 non ha alcuna
efficacia abrogativa della legge n. 223 del 1991 e, quindi, degli oneri di
comunicazione di cui all’art. 1.
Più specificamente non incide in alcun modo sulle disposizioni di cui al
combinato disposto degli artt. 5 della legge 164 del 1975 e 1, comma 7,
della legge 223 del 1991 riguardante l’obbligo datoriale di comunicare
in avvio della procedura per l’integrazione salariale alle organizzazioni
sindacali i criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere,
nonché le modalità di rotazione. Il d.p.r. tende a semplificare la fase
propriamente amministrativa, di rilevanza pubblica, del procedimento
di concessione della integrazione salariale, senza in alcun punto ridurre
i diritti dei lavoratori e le prerogative delle organizzazioni sindacali ad
essi funzionali.
Tale ricostruzione è stata costantemente ribadita dalla giurisprudenza
successiva (cfr., tra le tante, Cass. 18 febbraio 2011, n. 4053) e
costituisce ormai un principio consolidato ai sensi dell’art. 360-bis, n. 1,
c.p.c., come ha rilevato la Sesta sezione civile in una serie di ordinanze
emesse in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c. (cfr. per tutte,
Cass. VI civile-lavoro, 12 dicembre 2011, n. 26587: “In tema di
procedimento per la concessione della CIGS devono escludersi
incompatibilità tra la normativa regolamentare introdotta con il d.p.r.
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Corte, espresso in una lunga teoria di sentenze, a cominciare da Cass.

10 giugno 2000, n. 218, e le disposizioni della legge 23 luglio 1991 n.
223: la disciplina regolamentare, che si limita a imporre
all’imprenditore che intenda chiedere l’intervento straordinario di
integrazione salariale l’obbligo di dare tempestiva comunicazione alle
organizzazioni sindacali, attiene unicamente alla fase amministrativa di

concreto della comunicazione, né detta alcuna disciplina in ordine ai
criteri di scelta e, pertanto, non ha in alcun modo inciso sugli obblighi
di rilevanza collettiva di cui all’art. 1, commi 7 e 8, della legge n. 223
citata. Né la normativa regolamentare ha spostato l’informazione circa
i criteri di scelta e le modalità della rotazione dal momento iniziale
della comunicazione datoriale di avvio della procedura di integrazione
salariale a quello, immediatamente successivo, dell’esame congiunto,
atteso che, così opinando, il contenuto della norma di cui all’art. 2 del
d.p.r. n. 218, citato, risulterebbe del tutto estraneo all’ esigenza di
semplificazione del procedimento amministrativo, e avrebbe come
conseguenza solo l’alleggerimento degli oneri della parte datoriale con
la compressione dei diritti d’informazione spettanti al sindacato,
delineando un sistema di consultazione sindacale palesemente
inadeguato rispetto alla finalità perseguita. (Principio affermato ai sensi
dell’art. 360-bis, comma 1, c.p.c.)”.
Il ricorso per cassazione in esame non offre elementi per mutare
orientamento.
Un secondo gruppo di censure attiene alla necessità della
specificazione dei criteri in sede di comunicazione di avvio della
procedura ai sensi dell’art. 1, comma 7, 1. 223/1991, dell’art. 5, comrna
4,5, 6 1. n. 164/75, dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 2 d.p.r. 218/2000 in
relazione al contenuto delle lettere di apertura delle procedure.

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concessione dell’integrazione stessa, e nulla dice sul contenuto

Anche su tale necessità la giurisprudenza di legittimità si è espressa in
modo costante. La norma guida (art. 1, comma 7, della legge 223 del
1991) è molto chiara nello stabilire che “devono” formare “oggetto
della comunicazione” i “criteri di individuazione dei lavoratori da
sospendere nonché le modalità della rotazione prevista dal comma 8”.

riduttive di tale disposizione, sottolineando, con la sentenza n. 302 del
2000, che, in caso di intervento straordinario di integrazione salariale
per l’attuazione di un programma di ristrutturazione, riorganizzazione
o conversione aziendale implicante una temporanea eccedenza di
personale, il provvedimento di sospensione dall’attività lavorativa è
illegittimo qualora il datore di lavoro, sia che intenda adottare il
meccanismo della rotazione sia nel caso contrario, ometta di
comunicare alle organizzazioni sindacali, ai fini dell’esame congiunto,
gli specifici criteri, eventualmente diversi dalla rotazione, di
individuazione dei lavoratori che devono essere sospesi, in base al
combinato disposto della L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 1, comma 7, e
della L. 20 maggio 1975, n. 164, art. 5, commi 4 e 5.
L’orientamento si è consolidato del tempo, trovando conferma nella
successiva giurisprudenza di legittimità (per tutte: Cass. 23 aprile 2004,
n. 7720; Cass. 4 maggio 2009, n. 10236; Cass. 1 luglio 2009, n. 15393;
Cass. 21 settembre 2011,n. 19235).
Da ultimo, Cass., 22 febbraio 2012, n. 7459, ha così sintetizzato i
principi base che regolano la materia: a) il provvedimento di
sospensione dell’attività lavorativa è illegittimo qualora il datore di
lavoro (sia che intenda adottare il meccanismo della rotazione, sia in
caso contrario) ometta di comunicare alle organizzazioni sindacali, ai
fini dell’esame congiunto, ovvero di concordare con le stesse, gli
specifici criteri, eventualmente diversi dalla rotazione, di
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Le Sezioni unite hanno escluso la fondatezza di interpretazioni

individuazione dei lavoratori che devono essere sospesi, ed ai quali
criteri la scelta dei lavoratori deve poi effettivamente corrispondere
(Cass. 28 novembre 2008, n. 28464); b) la specificità dei criteri di scelta
consiste nell’idoneità dei medesimi ad operare la selezione e nel
contempo a consentire la verifica della corrispondenza della scelta ai

della procedura di trattamento di integrazione salariale la cui genericità
rende impossibile qualunque valutazione coerente tra il criterio
indicato e la selezione dei lavoratori da sospendere, viola l’obbligo di
comunicazione previsto dalla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 1, comma
7, (Cass. 9 giugno 2009, n. 13240); d) la mancata specificazione dei
criteri di scelta (o la mancata indicazione delle ragioni che impediscono
il ricorso alla rotazione) detettnina l’inefficacia dei provvedimenti
aziendali che può essere fatta valere giudizialmente dai lavoratori, in
quanto la regolamentazione della materia è finalizzata alla tutela, oltre
che degli interessi pubblici e collettivi, soprattutto di quelli dei singoli
lavoratori (Cass. 19 agosto 2003, n. 12137; Cass. 18 maggio 2006, n.
11660);
La valutazione della rispondenza in concreto delle comunicazioni di
avvio della procedura di Cassa integrazione oggetto dell’esame
giudiziale ai requisiti su indicati, è una valutazione di merito in ordine
al contenuto dell’atto negoziale, che rimane estranea al giudizio di
legittimità, quando, come nel caso in esame, il giudice di merito abbia
motivato la sua decisione in modo sufficiente e privo di
contraddizioni.
Un’ulteriore questione posta con i motivi di ricorso attiene al preteso
effetto sanante dell’esame congiunto rispetto alla comunicazione di
avvio della procedura, vuoi perché i criteri sarebbero stati
adeguatamente specificati in tale atto, vuoi perché i verbali di esame
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criteri (Cass. 23 aprile 2004, n. 7720); c) la comunicazione di apertura

congiunto avrebbero il valore di atti amministrativi che certificano la
regolarità della procedura. La seconda affermazione non ha alcun
fondamento normativo. A tal fine la società indica l’art. 2 del d.p.r. 218
del 2000, ma dalla lettura di tale norma si evince che all’esame
congiunto partecipano funzionari delle direzioni provinciali o regionale

regolarità della comunicazione aziendale al sindacato in ordine alla
adeguata indicazione dei criteri di scelta o delle ragioni per le quali non
si ricorre alla rotazione.
Quanto alla possibilità di un effetto sanante di un accordo sindacale sui
criteri di scelta, essa è stata più volte esaminata dalla giurisprudenza,
che l’ha ammessa solo in casi particolari e circoscritti, ma mai nelle
ipotesi, come quella in esame, in cui la comunicazione è strettamente
funzionale a mettere in grado le organizzazioni sindacali di partecipare
al confronto con la controparte adeguatamente informate. In questi
casi la specificazione dei criteri in sede di comunicazione non può
essere omessa né può essere formulata in forma generica (per
approfondimenti si rinvia a Cass. 26587/2011

cit.; in generale

sull’esclusione del carattere sanante dell’accordo cfr. Cass. 9 giugno
2009, n. 13240 e Cass. 1 luglio 2009, n. 15393).
Peraltro, nel caso in esame, la Corte di merito ha escluso che i verbali
di esame congiunto mediante il richiamo dell’accordo del 19 giugno
2003 abbiano individuato i criteri di scelta dei lavoratori da sospendere,
rilevando che tale atto non contiene una esposizione dei criteri di
scelta, ma si limita a prevedere una rotazione parziale dei lavoratori da
collocare in CIGS. Parziale perché non è estesa a tutti lavoratori
occupati nelle unità produttive interessate dalla crisi aziendale, ma è
limitata ad una parte di essi individuata in base a criteri non specificati.
Questa valutazione della Corte d’appello, essendo basata su di una
Ric. 2012 n. 09412 sez. ML – ud. 18-03-2014
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del lavoro, mentre non si evince alcuna efficacia cerfificatoria della

motivazione (più che) sufficiente e priva di contraddizioni, non può
essere rimessa in discussione in sede di legittimità, concernendo il
merito della decisione.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità devono essere poste a carico della

antistatario.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di
legittimità, che liquida in € 2.300,00 euro per compensi professionali ed
in € 100,00 per spese, oltre accessori dovuti per legge. Spese da
distrarsi in favore dell’avv. Giuseppe Pelleritti che se ne è dichiarato
antistatario.

Così deciso nella camera di consiglio in Roma il 18 marzo 2014

Il Consigliere estensore

parte soccombente e distratte in favore dell’avvocato che se ne dichiara

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