Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9749 del 23/04/2010

Cassazione civile sez. II, 23/04/2010, (ud. 16/02/2010, dep. 23/04/2010), n.9749

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. GOLDONI Umberto – rel. Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

R.A. (OMISSIS), S.C.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA FONTANELLA

BORGHESE 72, presso lo studio dell’avvocato VOLTAGGIO ANTONIO, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato LAFORGIA GERARDO;

– ricorrenti –

contro

C.E. (OMISSIS), D.P.A.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA COLA DI

RIENZO 217, presso lo studio dell’avvocato SCOZZAFAVA FRANCESCO C/O

ST FRATTARI, rappresentati e difesi dagli avvocati DE CARLO

FIORINDINA SILVANA, MAZZEO ANTONIO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 54/2004 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 12/02/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/02/2010 dal Consigliere Dott. UMBERTO GOLDONI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione del 1996, C.E. e D.P.A., proprietari di un immobile in (OMISSIS), esponevano che R. A., proprietario dell’immobile confinante, aveva praticato, sotto le fondamenta del muro di confine, un varco per il deflusso delle acque piovane verso il loro fondo; tanto aveva provocato allagamenti nel loro cortile e pertanto chiedevano al tribunale di Lecce di dichiarare l’insussistenza di una servitù di scolo, ovvero l’illegittimità dell’aggravamento di essa e di disporre il ripristino della situazione quo antea, con condanna al risarcimento dei danni.

Il R., costituitosi unitamente alla propria moglie, S. C., comproprietaria e chiamata in causa, resisteva alla domanda e asseriva che la detta servitù era stata costituita ab immemorabili per destinazione del padre di famiglia.

Con sentenza del 2001, l’adito Tribunale rigettava la domanda in ragione del fatto che la servitù di scolo, non aggravatasi, si era costituita per usucapione.

Avverso tale sentenza, i soccombenti proponevano appello, cui resistevano le controparti.

Con sentenza in data 19.12.2003/12.2.2004, la Corte di appello di Lecce dichiarava l’inesistenza della servitù de qua e condannava i coniugi R. al ripristino dello status quo antea, regolando le spese.

Rilevava la Corte salentina che non sussistevano i presupposti per l’applicazione dell’istituto dell’immemorabile, peraltro abolito dal codice vigente e che era stato comunque correlato alla costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia, mentre l’usucapione non era mai stata richiesta.

Per la cassazione di tale sentenza ricorrono i coniugi R., sulla base di due motivi, cui resistono con controricorso i C..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, i ricorrenti lamentano violazione dell’art. 112 c.p.c., nel senso che male la Corte salentina avrebbe ritenuto la carenza di domanda di costituzione della servitù de qua per usucapione, a fronte di un riferimento all’immemorabile, correlato alla costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia, articolato sin dalle prime difese dai coniugi R..

Costoro infatti non avevano fatto riferimento alcuno a quell’istituto, peraltro abrogato e desueto, che viene conosciuto sotto il nome dell’immemorabile, ma avevano semplicemente voluto con quell’espressione far riferimento al fatto che l’esercizio della servitù stessa risaliva a tempi immemorabili e che la correlazione alla costituzione per destinazione del padre di famiglia non aveva connotazioni limitative circa il modo di costituzione della servitù, come del resto dimostrava il tipo di istruttoria espletata, volta a stabilire il tempo in cui aveva avuto inizio l’esercizio delle facoltà connesse alla servitù.

Premesso che l’interpretazione della domanda spetta al giudice del merito e che la stessa è incensurabile in sede di legittimità salvo il caso di violazione delle norme di ermeneutica o evidente illogicità, va rilevato che sostanzialmente si assume che male la sentenza impugnata avrebbe inteso, anche alla luce del tipo di istruttoria espletata, il senso da attribuire alla parola “immemorabile”.

A scapito della tesi dei ricorrenti sta il fatto che un istituto conosciuto sotto tale nome esisteva ne nostro ordinamento ed aveva anche una connotazione normativa; il fatto di aver fatto uso di tale espressione, correlata peraltro non all’usucapione, ma alla costituzione per destinazione del padre di famiglia, oltretutto senza indicare una data da cui l’usucapione (mai comunque espressamente nominata) avrebbe cominciato a decorrere è stato plausibilmente interpretato come riferimento specifico a quell’istituto ed ha condotto, a fronte della insussistenza dei presupposti per l’applicazione dello stesso, come pure di quelli afferenti alla costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia, e in presenza di uno specifico motivo di appello denunciante l’ultrapetizione, a ritenere invocato solo l’istituto dell’immemorabile e quello della destinazione del padre di famiglia ed al conseguente accoglimento del gravame, con rigetto della declaratoria richiesta.

Il sostenere che immemorabile sia sinonimo di remoto, come prospettato in ricorso appare non condivisibile, proprio perchè nel mondo giuridico l’immemorabile ha una connotazione specifica e precisa.

Il primo motivo di ricorso deve essere pertanto respinto.

Con il secondo motivo si lamenta violazione dell’art. 345 c.p.c., in relazione alla ritenuta novità della domanda di declaratoria di usucapione della servitù formulata per la prima volta in appello, in base al fatto che i diritti reali sono autodeterminati e che conseguentemente non sussisterebbe il requisito della novità nell’invocare per la prima volta in appello un fatto costitutivo diverso da quello dedotto in prime cure. La giurisprudenza formatasi al riguardo è ben nota a questa Corte, ma la stessa non può essere interpretata come vorrebbero i ricorrenti, atteso che non si tratta nella specie di pronunciare su di una richiesta di riconoscimento di un diritto reale in via di azione.

In realtà, nella specie si assume l’avvenuta costituzione a titolo originario di un diritto reale come eccezione volta a paralizzare una azione negatoria servitutis proposta dai proprietari del fondo preteso servente.

Si tratta quindi di una eccezione che, processualmente, vale come contrapposizione alla domanda proposta ex adverso, con conseguente determinazione del thema decidendum in relazione ai titoli fondanti la pretesa costituzione.

Ben poteva quindi, determinato nel senso di cui si è detto in relazione al primo motivo, quale fossero i titoli dedotti, la Corte distrettuale ritenere, come ha fatto, che l’estensione ad altra forma di costituzione, integrasse domanda nuova, siccome sostanzialmente modificativa dell’eccezione proposta.

La natura dei diritti in questione non può modificare le regole processuali del contraddittorio, quale venutosi a creare a seguito delle posizioni assunte dalle parti.

In ragione di tanto, anche tale motivo deve essere respinto e, con esso, il ricorso.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese, che liquida in 2.200,00 Euro, di cui 2.000,00 Euro per onorari oltre agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 16 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 aprile 2010

 

 

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