Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9747 del 14/04/2021

Cassazione civile sez. II, 14/04/2021, (ud. 15/12/2020, dep. 14/04/2021), n.9747

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 26859/2019 R.G. proposto da:

F.N., c.f. (OMISSIS), elettivamente domiciliato, con

indicazione dell’indirizzo p.e.c., in Merano, alla piazza Teatro, n.

23, presso lo studio dell’avvocato Dario Dal Medico, che lo

rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, c.f. (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12,

domicilia per legge;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 1547/2019 del Tribunale di Trento;

udita la relazione nella Camera di consiglio del 15 dicembre 2020 del

Consigliere Dott. Luigi Abete.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. F.N., cittadino della Nigeria, originario dell’Edo State, formulava istanza di protezione internazionale.

Esponeva che a seguito della morte del padre la setta degli (OMISSIS), di cui il padre era adepto, lo aveva sollecitato ad aderire al gruppo; che a fronte della sua indisponibilità gli (OMISSIS) lo avevano minacciato e gli avevano usato violenza; che aveva quindi abbandonato il paese d’origine onde sottrarsi ai rischi per la sua vita e la sua incolumità.

2. La competente Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale rigettava l’istanza.

3. Con il decreto n. 1547/2019 il Tribunale di Trento respingeva il ricorso proposto da F.N. avverso il provvedimento della commissione.

Evidenziava il tribunale che le dichiarazioni del ricorrente erano da reputare inattendibili.

Evidenziava in particolare che il ricorrente aveva reso dichiarazioni divergenti dinanzi alla commissione territoriale e dinanzi al G.O.P.; che al contempo le dichiarazioni risultavano incongrue, vaghe, generiche, per nulla circostanziate.

Evidenziava altresì, alla luce delle risultanze di talune fonti di informazione, tra cui quelle pubblicate nel 2017 da “E.A.S.O.”, che i territori nigeriani del sud, di provenienza del ricorrente, non erano interessati da conflitti armati o da violenze generalizzate, sì da comportare per i civili colà residenti un concreto rischio per la loro vita e personale incolumità.

Evidenziava infine che non sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria.

Evidenziava in particolare che il ricorrente, qualora rimpatriato, non si sarebbe ritrovato in condizioni di elevata vulnerabilità in considerazione, per un verso, della presenza nel suo paese d’origine dei suoi familiari, sul cui aiuto ben avrebbe potuto contare, in considerazione, per altro verso, del mancato riscontro di un effettivo suo radicamento nel contesto socioeconomico italiano, quale comprovato dal mancato svolgimento in Italia di attività lavorativa.

4. Avverso tale decreto ha proposto ricorso F.N.; ne ha chiesto sulla base di due motivi la cassazione con ogni conseguente statuizione.

Il Ministero dell’Interno si è costituito tardivamente ai soli fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

5. Con il primo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5, 6,7 e 14, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 27, comma 1 bis.

Deduce che ha errato il tribunale a reputar inattendibili le sue dichiarazioni.

Deduce segnatamente che la veridicità delle sue dichiarazioni rinviene conferma nelle fonti di informazione che all’uopo ha richiamato, fonti che danno ragione dell’esistenza e del modus operandi della setta degli (OMISSIS).

Deduce altresì che ha errato il tribunale a disconoscere la protezione sussidiaria di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, lett. c).

Deduce segnatamente che le informazioni desumibili dal sito informatico del Ministero degli Esteri – menzionato anche dal tribunale – danno conto della esistenza nelle regioni del delta del Niger, tra cui è ricompresa la sua regione d’origine, l’Edo State, di situazioni di violenza indiscriminata e generalizzata.

6. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5.

Deduce che ha errato il tribunale a disconoscere la protezione umanitaria.

Deduce segnatamente che il tribunale non ha tenuto conto della documentazione prodotta, idonea dimostrare che ha svolto in Italia attività lavorativa anche nei mesi di gennaio e febbraio 2019.

Deduce inoltre che il tribunale non ha tenuto conto, nel quadro della doverosa valutazione comparativa, che nel suo paese d’origine non sussistono le condizioni per un’esistenza dignitosa.

7. I rilievi, che la delibazione dei motivi di ricorso postula, tendono, per ampia parte, a sovrapporsi e a riproporsi; il che suggerisce la disamina simultanea degli esperiti mezzi di impugnazione, mezzi che, in ogni caso, sono da rigettare.

8. La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento “di fatto” rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c); tale apprezzamento “di fatto” è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. Cass. (ord.) 5.2.2019, n. 3340).

9. Su tale scorta si rappresenta quanto segue.

Da un canto, il dictum del tribunale, pur in punto di valutazione delle dichiarazioni rese da F.N., non è inficiato da alcuna forma di “anomalia motivazionale” rilevante alla stregua dell’insegnamento n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte.

D’altro canto, il ricorrente indubbiamente sollecita questa Corte a far luogo ad una “diversa lettura” delle sue dichiarazioni alla luce delle differenti “C.O.I.” richiamate in ricorso (“che testimoniavano la plausibilità della narrazione”: così ricorso, pag. 6).

10. In tema di protezione sussidiaria l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento “di fatto” rimesso al giudice del merito; il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. Cass. 21.11.2018, n. 30105; Cass. (ord.) 12.12.2018, n. 32064).

11. Su tale scorta le censure che il primo motivo, in parte qua, veicola, sono analogamente da vagliare nel solco della previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – alla cui stregua le medesime censure si qualificano – e nel segno dell’insegnamento n. 8053/2014 delle sezioni unite.

Cosicchè non può che rappresentarsi quanto segue.

Per un verso, il dictum del tribunale, anche in parte qua, non è inficiato da alcuna forma di “anomalia motivazionale”.

Per altro verso, il tribunale per nulla ha omesso la disamina del fatto decisivo, ossia il concreto riscontro delle situazioni di fatto postulate del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Per altro verso ancora, le informazioni, desunte dal sito della Farnesina – sulle quali fa leva il ricorrente e menzionate pur dal tribunale – hanno finalità essenzialmente turistica, tant’è che si consiglia di “evitare viaggi nel centro sud e sud est del Paese, soprattutto nel Delta del Niger” (cfr. decreto impugnato, pag. 4. Cfr. Cass. 18.2.2020, n. 4037, secondo cui, in tema di protezione internazionale, il motivo di ricorso per cassazione che mira a contrastare l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alle cd. fonti privilegiate, di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base è stata assunta la decisione, in violazione del cd. dovere di collaborazione istruttoria, sono state oggettivamente travisate ovvero superate da altre più aggiornate e decisive fonti qualificate).

12. Senza dubbio questa Corte spiega che, in tema di concessione del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, la condizione di “vulnerabilità” del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio, non potendosi tipizzare le categorie soggettive meritevoli di tale tutela che è invece atipica e residuale, nel senso che copre tutte quelle situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento dello status di “rifugiato” o della protezione sussidiaria, tuttavia non possa disporsi l’espulsione (cfr. Cass. 15.5.2019, n. 13079; cfr. Cass. 23.2.2018, n. 4455, secondo cui, in materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza).

13. In questo quadro tuttavia non può non darsi atto che le ragioni di doglianza che il secondo motivo di impugnazione veicola, recano, al più, censura del giudizio “di fatto” cui, indiscutibilmente anche in parte qua, il tribunale ha atteso, giudizio “di fatto” inevitabilmente postulato dalla valutazione comparativa, caso per caso, necessaria ai fini del riscontro della condizione di vulnerabilità – e soggettiva e oggettiva – del richiedente.

14. Ebbene, in quest’ottica, nei limiti della previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e nel segno, nuovamente, della pronuncia n. 8053/2014 delle sezioni unite, non può che argomentarsi come segue.

Da un lato, è da escludere che forme di “anomalia motivazionale” inficino in parte qua l’impugnato dictum.

Dall’altro, il tribunale in nessun modo ha omesso la disamina dei fatti decisivi caratterizzanti in parte qua la res litigiosa.

15. Due finali notazioni si impongono.

16. Nel giudizio relativo alla protezione internazionale del cittadino straniero, la valutazione di attendibilità, di coerenza intrinseca e di credibilità della versione dei fatti resa dal richiedente, non può che riguardare (al di là della “sussidiaria” ex lett. c)) tutte le ipotesi di protezione prospettate nella domanda, qualunque ne sia il fondamento; cosicchè, ritenuti non credibili i fatti allegati a sostegno della domanda, non è necessario far luogo a un approfondimento istruttorio ulteriore, attivando il dovere di cooperazione istruttoria officiosa incombente sul giudice, dal momento che tale dovere non scatta laddove sia stato proprio il richiedente a declinare, con una versione dei fatti inaffidabile o inattendibile, la volontà di cooperare, quantomeno in relazione all’allegazione affidabile degli stessi (cfr. Cass. (ord.) 20.12.2018, n. 33096; Cass. 12.6.2019, n. 15794).

17. Il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non determina alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892; Cass. (ord.) 26.9.2018, n. 23153).

Tanto circa il denunciato omesso esame della documentazione prodotta.

18. Il Ministero dell’Interno di fatto non ha svolto difese. Nonostante il rigetto del ricorso, nessuna statuizione pertanto va assunta in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

19. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto (cfr. Cass. sez. un. 20.2.2020, n. 4315).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2021

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