Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9745 del 04/05/2011

Cassazione civile sez. I, 04/05/2011, (ud. 12/01/2011, dep. 04/05/2011), n.9745

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. BERRUTI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – rel. Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

A.P., elettivamente domiciliato in Roma Via Saluzzo

8, presso lo studio dell’avvocato Fernando Natale, rappresentato e

difeso dall’avvocato FERRARA Silvio, giusta procura in calce al

ricorso per cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

cui è domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi 12;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte di Appello di Roma, sezione equa

riparazione, emesso il 17 dicembre 2007, depositato il 24 luglio

2008, nel procedimento iscritto al n. R.G. 51239/06;

udita la relazione della causa svolta all’udienza del 12 gennaio 2011

dal Consigliere Dott. Giacinto Bisogni;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

A.P. propone ricorso per cassazione avverso il decreto della Corte di appello di Roma che ha respinto la sua richiesta di condanna del Ministero della Giustizia a una equa riparazione della L. n. 89 del 2001, ex art. 2, per il danno non patrimoniale causatogli dall’eccessiva durata del procedimento fallimentare della s.r.l. De Blasio Brothers, nel quale aveva assunto la qualità di creditore insinuato al passivo per il pagamento di un credito di lavoro, apertasi davanti al Tribunale di Napoli il 2 marzo 1991 e pendente al momento della proposizione del ricorso ex L. n. 89 del 2001.

Il ricorrente si affida a cinque motivi di impugnazione.

Si difende con controricorso il Ministero della Giustizia.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso si deduce omessa, contraddittoria e insufficiente motivazione quanto alla seguente parte della motivazione: il ricorso non evidenzia se le cause della lamentata durata siano da ascriversi ad inerzie nell’attività dell’organo procedente e negli adempimenti di competenza del medesimo, e ciò in relazione alla peculiarità della procedura fallimentare la cui definizione è subordinata alla sussistenza di tassativi presupposti di legge, nè fornisce elementi utili per tale valutazione quella rilevando al riguardo l’ammissione del ricorrente allo stato passivo nè l’addotto esatto accertamento del credito da esso vantato.

Con il secondo motivo di ricorso si deduce omessa, contraddittoria e insufficiente motivazione consistente nell’aver deciso il procedimento esclusivamente sulla base di una presunta, insufficiente allegazione e deduzione del ricorrente, senza aver nemmeno esercitato quei poteri istruttori dell’organo giudicante previsti dal codice di procedura civile, in generale, nel rito camerale e dalla L. n. 89 del 2001, art. 3 per il procedimento di equa riparazione.

Con il terzo motivo di ricorso si deduce violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 3, con contestuale violazione dell’articolo 2, commi primo, secondo e terzo della stessa L. n. 89 del 2001 nonchè dell’articolo 6 paragrafo 1 della C.E.D.U. Il ricorrente sottopone alla Corte il seguente quesito di diritto: se in sede di giudizio ex L. n. 89 del 2001, la mancata acquisizione da parte della Corte di appello del fascicolo del procedimento in relazione al quale la domanda di equa riparazione viene formulata, richiesta con motivata istanza, della parte, rifletta vizio di motivazione e/o falsa applicazione dell’art. 3, dell’art. 2, commi 1, 2 e 3 nonchè dell’art. 6 C.E.D.U. in particolare nell’ipotesi in cui il giudice del merito rigetti la domanda, sulla base di un difetto di allegazione e deduzione della parte ricorrente.

Con il quarto motivo di ricorso si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 6 paragrafo 1 della C.E.D.U. con contestuale violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, commi 1, 2 e 3, nonchè della L. n. 89 del 2001, art. 3. Il ricorrente sottopone alla Corte il seguente quesito di diritto: se, in sede di giudizio ex L. n. 89 del 2001, concernente una procedura fallimentare, la parte ricorrente, adducendo la sua qualità di creditore ammesso nella procedura concorsuale, indicando la data in cui tale procedura è iniziata, precisando che essa sia pendente o definita, abbia sufficientemente allegato e dimostrato le circostanze addotte a fondamento della sua domanda di equa riparazione, spettando poi al giudice accertare se la violazione allegata sia sussistente, considerando la complessità del caso e, in relazione alla stessa, il comportamento delle parti e del giudice del procedimento nonchè quello di ogni altra autorità chiamata a concorrervi o comunque a contribuire alla sua definizione, onerandosi di acquisire il fascicolo della procedura fallimentare se necessario ai fini di tale accertamento.

Con il quinto motivo di ricorso si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. e contestuale violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, commi 1, 2 e 3, e dell’art. 6, paragrafo 1, C.E.D.U. Il ricorrente sottopone alla Corte il seguente quesito di diritto: se, in sede di giudizio ex L. n. 89 del 2001, spetti alla parte ricorrente dedurre gli elementi costitutivi del danno e, in particolare, la durata irragionevole del processo presupposto, mentre gravi sulla parte resistente l’onere di allegare l’esistenza di elementi impeditivi, estintivi o modificativi del danno de quo, con conseguente sussistenza, in caso contrario, – quindi nel caso in cui venga posto a carico del ricorrente l’onere di provare; lo svolgimento irregolare della procedura fallimentare – dei denunciati vizi di violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. e contestuale violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, commi 1, 2 e 3, e dell’art. 6, paragrafo 1, C.E.D.U..

I motivi di ricorso che possono essere esaminati congiuntamente per la loro stretta connessione logico-giuridica f risultano fondati.

Il decreto della Corte di appello di Roma basa il rigetto della domanda di equa riparazione sulla circostanza per cui il ricorso di A.P. non evidenzia se le cause della lamentata durata siano da ascriversi a disfunzioni o inerzie nell’attività dell’organo procedente e negli adempimenti di competenza del medesimo (e ciò in relazione alla peculiarità della procedura fallimentare la cui definizione è subordinata alla sussistenza di tassativi presupposti di legge), nè fornisce elementi utili per tale valutazione, nulla rilevando al riguardo la ammissione del ricorrente allo stato passivo nè l’addotto esatto accertamento del credito da esso vantato.

Tali considerazioni svolte dalla Corte di appello sono in palese contrasto con la giurisprudenza di legittimità secondo cui in tema di equa riparazione, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, il danno non patrimoniale, in quanto conseguenza normale, ancorchè non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, si presume sino a prova contraria, onde nessun onere di allegazione può essere addossato al ricorrente, essendo semmai l’Amministrazione resistente a dover fornire elementi idonei a farne escludere la sussistenza in concreto (Cass. Civ. sez. 1^, n. 19979 del 16 settembre 2009). L’oggetto della domanda di equa riparazione è individuabile nella richiesta di accertamento della violazione, rispetto alla quale l’onere della parte istante è limitato alla semplice allegazione dei dati relativi alla sua posizione nel processo (data iniziale di questo, data della sua definizione, eventuale articolazione nei diversi gradi) e non anche alla produzione degli atti posti in essere nel processo presupposto (Cass civ. sezione 1^, n. 16836 del 19 luglio 2010). Specificamente, in tema di equa riparazione da durata irragionevole di una procedura fallimentare, ai fini dell’insorgenza del diritto all’indennizzo, è sufficiente la prova del fallimento e dell’ammissione del credito al passivo (Cass. Civ. sezione 1^, n. 26421 del 16 dicembre 2009). In generale, in tema di equa riparazione per la violazione del termine ragionevole di durata del processo, la legge (L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2) affida l’accertamento in concreto della violazione al giudice: la parte ha indubbiamente un onere di allegazione e dimostrazione, ma esso riguarda, come si è detto, la sua posizione nel processo, la data iniziale di questo, la data della sua definizione e gli eventuali gradi in cui si è articolato, e spetta poi al giudice – sulla base dei dati suddetti e di quelli eventualmente addotti dalla parte resistente – verificare in concreto e con riguardo alle singole fattispecie se vi sia stata una violazione del termine ragionevole, avvalendosi anche – secondo il modello processuale di cui all’art. 737 cod. proc. civ., e segg., adottato dalla legge (art. 3, comma 4, legge cit.) – di poteri di iniziativa, i quali si estrinsecano attraverso l’assunzione di informazioni che, espressamente prevista dall’art. 738 cod. proc. civ., non resta subordinata all’istanza di parte. Pertanto, il giudice – pur non essendo obbligato ad esercitare tali poteri, potendo attingere “aliunde” le fonti del proprio convincimento – non può ascrivere alla parte una asserita carenza probatoria superabile con l’esercizio dei poteri di iniziativa d’ufficio, nè, tanto meno, può ignorare la richiesta della parte ricorrente di acquisire, ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 5, gli atti del processo presupposto e fondare il proprio convincimento su mere ipotesi in ordine alle cause della durata dello stesso (Cass, Civ., sezione 1^, n. 2207 del 29 gennaio 2010 e Cass. Civ., sezione 1^ n. 17249 del 28 luglio 2006).

Il ricorso va pertanto accolto con conseguente cassazione del decreto impugnato e rinvio alla Corte di appello di Roma che, in diversa composizione, applicherà i citati principi di diritto e deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia alla Corte di appello di Roma che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 4 maggio 2011

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