Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9744 del 23/04/2010

Cassazione civile sez. II, 23/04/2010, (ud. 22/10/2009, dep. 23/04/2010), n.9744

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ELEFANTE Antonino – Presidente –

Dott. MENSITIERI Alfredo – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – rel. Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 26254/2004 proposto da:

G.A. (OMISSIS), F.C.

(OMISSIS) elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZALE CLODIO

12, presso lo studio dell’avvocato TROVATO DANIELA TIZIANA,

rappresentati e difesi dall’avvocato RUTA Carmelo;

– ricorrenti –

contro

C.O. (OMISSIS), nella qualità di procuratore

generale di S.G., S.R., S.T.A.

giusti mandati nn. 66, 68, 70/92 del 14/12/1992 a rogito Dott.

GIUSEPPE LA CATENA delegato dal Console Generale di Italia in MIAMI,

elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR 17, presso lo studio

MORETTI FRANCO, rappresentato e difeso dall’avvocato SCARSO Carmelo;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 324/2004 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 14/04/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

22/10/2009 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA SAN GIORGIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – C.O., quale procuratore generale delle germane G., R. e S.T.A., convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Modica i coniugi G.A. e F.C.. Espose che le sorelle erano eredi legittime, unitamente a N.O., di S.V., deceduto il (OMISSIS), di cui le prime erano figlie mentre la N. era coniuge in seconde nozze, e che l’eredità era costituita esclusivamente dalla quota di 1/2 della casa a piano terra in (OMISSIS), la cui residua metà apparteneva alla N. per altro titolo, e che costei aveva venduto ai coniugi convenuti la quota pari a 4/6 di detto cespite senza concedere loro, quali coeredi, la prelazione per l’alienata quota ereditaria di 1/6.

Chiese, quindi, di esercitare il riscatto e di procedere alla divisione della casa con assegnazione alle sorelle dell’intero immobile previo conguaglio, e la condanna dei convenuti a versare i frutti, avendo costoro posseduto l’immobile in modo esclusivo.

L’adito Tribunale accolse la domanda di riscatto della quota ereditaria di un sesto previo pagamento a carico delle attrici del prezzo per tale quota pagato dai retrattati, quantificato in L. 7.500.000; accolse altresì la domanda di divisione della casa, che assegnò ai coniugi convenuti, condannandoli a versare alle attrici il conguaglio di L. 65.500.000, oltre alla somma di L. 26.572.000 a titolo di frutti di pertinenza di costoro.

2. – La Corte d’appello di Catania, con sentenza depositata il 14 aprile 2004, rigettò il gravame proposto avverso la sentenza dai coniugi G.. Sulla eccezione di inammissibilità della domanda proposta da procuratore sprovvisto di mandato speciale, il secondo giudice osservò che il predetto difensore aveva agito in forza di procura speciale alle liti rilasciata a margine dell’atto di citazione e debitamente sottoscritta dal C..

Con riguardo al rilievo secondo cui l’atto notarile con il quale la N. aveva alienato i 2/3 del bene oggetto di causa non avrebbe comportato trasferimento di quota ereditaria, con conseguente inammissibilità del retratto, la Corte, premesso che era pacifico che la quota di 1/6 alienata dalla N. agli appellanti, unitamente agli altri 3/6 che le appartenevano per altro titolo, costituiva la porzione di sua spettanza dell’unico cespite ereditario, e che il disposto dell’art. 732 cod. civ., trova applicazione solo quando si verta in tema di alienazione di quota ereditaria, mentre non si applica allorchè l’alienazione riguardi un singolo bene compreso nel patrimonio del defunto, o una quota di esso, osservò che il primo giudice aveva esattamente ritenuto sussistere una presunzione iuris tantum di alienazione di quota ereditaria e non di singolo bene o parte di esso, in quanto l’ipotesi, ricorrente nella specie, di alienazione di quota indivisa dell’unico cespite ereditario, costituiva un indice rivelatore del trasferimento agli acquirenti estranei alla comunione ereditaria di una quota del patrimonio del de cuius. In tale ipotesi – rilevò la Corte etnea – il diritto di prelazione dei coeredi, e quello connesso di riscatto, possono essere esclusi solo attraverso la prova che, nonostante la descritta situazione, l’interesse dei contraenti si sia incentrato sul singolo bene trasferito e non sulla eredità in cui esso è compreso.

Siffatta prova, che incombe su chi intende contrastare l’esercizio dei diritti di prelazione e di riscatto, e quindi sugli appellanti, può essere fornita anche con mezzi presuntivi idonei a chiarire la reale volontà negoziale dei contraenti. Tuttavia, per escludere che il bene costituisca una entità rappresentativa della quota del patrimonio ereditario, occorre che dalla indagine sulla effettiva intenzione delle parti emergano elementi sicuri e convincenti nel senso che le stesse non abbiano inteso rendere partecipe l’acquirente dei rapporti e delle situazioni attive e passive facenti capo alla comunione ereditaria. Nella specie, gli appellanti avevano fatto riferimento alla circostanza che con il contratto di compravendita la N. aveva alienato non solo il sesto della casa costituente la sua quota ereditaria, ma anche i 3/6 già di sua pertinenza per altro titolo: ma tale circostanza, ad avviso della Corte d’appello, dimostrava solo che la N. aveva voluto rinunciare ad ogni sua spettanza in ordine al cespite coinvolto nella successione ereditaria, e, quindi, non forniva alcun riscontro in contrasto con la suddetta presunzione.

Nè alcun fondamento aveva, secondo la Corte, l’ultimo motivo di appello, con il quale si lamentava una contraddizione in cui sarebbe incorso il primo giudice nella quantificazione del prezzo da restituire per il retratto. Il Tribunale aveva, in realtà, correttamente, secondo la Corte territoriale, statuito l’obbligo delle coeredi retraenti di restituire agli odierni appellanti la quota parte del prezzo riferentesi alla quota riscattata, senza che potesse ritenersi fondata la pretesa di far valere nei confronti delle stesse il presunto reale prezzo della compravendita pattuito dagli appellanti in sede di contratto preliminare con la N. in difformità da quanto risultante dal rogito, per mancanza di prova.

Infatti, L’opponibilità del contratto preliminare ai terzi presuppone che esso abbia data certa anteriore o coeva al rogito, requisito mancante nella specie. Invece, nella determinazione del quantum del conguaglio dovuto alle coeredi, avuto riguardo alla natura ed alla funzione dello stesso, era stato tenuto conto del valore effettivo del bene all’epoca della divisione.

3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorrono G. A. e F.C. sulla base di tre motivi. Resiste con controricorso C.O. quale procuratore generale di G., R. e S.T.A..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con la prima censura, si lamenta violazione o falsa applicazione dell’art. 84 cod. proc. civ., nonchè carenza della motivazione della sentenza. Avrebbe errato la Corte di merito nel rigettare la eccezione di inammissibilità della domanda in quanto proposta da procuratore alle liti sprovvisto di mandato speciale, sul presupposto che il requisito potesse ritenersi integrato con la sottoscrizione, da parte del procuratore dell’attore, dell’atto di citazione. La tesi della Corte di merito, secondo la quale la procura apposta a margine dell’atto di citazione, essendo un tutt’uno con questo, sarebbe da presumere come rilasciata per l’atto stesso, avrebbe avuto fondamento solo se la domanda formulata in primo grado avesse avuto come esclusivo oggetto l’azione di retratto, laddove, nella specie, il mandato sarebbe stato da ritenere conferito per lo scioglimento della comunione, e solo incidentalmente sarebbe stato in esso fatto riferimento al retratto.

2.1. – La censura non è meritevole di accoglimento.

2.2. – Il diritto potestativo di riscatto nei confronti dell’acquirente di quota ereditaria, previsto dall’art. 732 cod. proc. civ., a favore dei coeredi, viene ad esistenza solo con la manifestazione di volontà, che può essere espressa pure con l’atto introduttivo del giudizio, sempre che tale manifestazione di volontà sia riconducibile al titolare del potere attraverso la sua sottoscrizione di tale atto od il conferimento della procura speciale al difensore, tale dovendosi ritenere anche quella apposta a margine dell’atto o in calce allo stesso (v. Cass., sentt. n. 8728 del 1998, n. 4963 del 1987; mentre, come correttamente rilevato dalla Corte di merito, Cass., sent. n. 2387 del 1998 non si pone in contrasto con tale orientamento, avendo ritenuto non idonea una procura speciale che non era stata apposta a margine dell’atto con il quale il diritto di riscatto era esercitato, una comparsa di risposta, ma della citazione, che non conteneva alcun riferimento al riscatto).

2.3. – Nè assume alcun rilievo, in contrario, nella specie, la circostanza, evidenziata dai ricorrenti, che il mandato fosse stato conferito per lo scioglimento della comunione dei beni e che solo incidentalmente fosse stato fatto riferimento, nel contesto dell’atto, al retratto di una modesta quota di beni.

Sarebbe, infatti, arbitrario inferire da tale circostanza la conseguenza della inefficacia della procura speciale con riferimento all’azione di retratto, atteso che questa era stata proposta con il medesimo atto con il quale era stato chiesto altresì lo scioglimento della comunione con i coniugi G. e F., cui la N., in violazione del diritto di prelazione riconosciuto ai coeredi ai sensi dell’art. 732 cod. civ., aveva alienato la propria quota di eredità, consistente nella casa di (OMISSIS). Dunque, detti coeredi avevano esercitato il diritto di riscatto ed avevano chiesto la divisione della casa. L’azione di retratto non era, pertanto, autonoma rispetto a quella di divisione: donde la efficacia della procura speciale apposta a margine dell’atto introduttivo del giudizio in relazione ad entrambe le domande.

3. – Con il secondo motivo, si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 732 cod. civ., e comunque erronea interpretazione dello stesso, nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia. La Corte Territoriale, nel ritenere infondata anche l’altra eccezione – secondo la quale nell’atto di alienazione da parte di N.O. della quota pari a 2/3 del bene oggetto di causa non sarebbe ravvisabile una quota ereditaria – in base al rilievo che la stessa si era spogliata di un cespite ereditario sostituendo a se stessa un terzo estraneo nella comunione ereditaria esistente con i fratelli S., sarebbe pervenuta a conclusioni contrastanti con la interpretazione che dell’art. 732 cod. civ., ha operato la giurisprudenza di legittimità, secondo la quale il diritto di prelazione e di riscatto, nella ipotesi di alienazione della quota ereditaria implicante per la sua efficacia reale l’ingresso dell’estraneo nella comunione ereditaria, non sussiste quando l’atto di alienazione abbia per oggetto la quota ideale di beni indivisi specificamente determinati, sempre che il giudice non accerti che si sia inteso ugualmente rendere partecipe l’acquirente di tutti i rapporti e di tutte le situazioni giuridiche che fanno capo alla comunione ereditaria. Nella specie, in cui la N. aveva venduto agli appellanti non già la quota indivisa dell’unico cespite ereditario, bensì i 3/6 della casa di cui era esclusiva proprietaria per acquisto fattone nel 1963 e l’intero orto, del quale era esclusiva proprietaria per acquisto fattone nel (OMISSIS), nonchè 1/6 della casa proveniente dalla successione, tenuto conto della entità delle cose vendute, non si sarebbe potuto ritenere fondata l’azione proposta dagli appellati.

4.1. – La censura è destituita di fondamento.

4.2. – Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, che il Collegio intende ribadire, i diritti di prelazione e di riscatto previsti dall’art. 732 cod. civ., in favore del coerede postulano che l’alienazione posta in essere da un altro coerede riguardi la quota ereditaria (o parte di essa) intesa come porzione ideale dell’universum ius defuncti, e vanno pertanto esclusi quando, attraverso un’adeguata valutazione degli elementi concreti della fattispecie (quali la volontà delle parti, lo scopo perseguito, la consistenza del patrimonio ereditario ed il raffronto tra esso e l’entità delle cose vendute), risulti che i contraenti non hanno inteso sostituire il terzo all’erede nella comunione ereditaria e che l’oggetto del contratto è stato considerato come cosa a sè stante e non come quota del patrimonio ereditario o parametro per individuare la quota di detto patrimonio in quanto tale. In tal caso, data la mancanza nel coerede della titolarità esclusiva del diritto di proprietà sul singolo bene, l’efficacia della alienazione, con effetti puramente obbligatori, resta subordinata alla condizione della assegnazione, a seguito della divisione, del bene (o della sua quota parte) al coerede medesimo e quindi non può sorgere il pregiudizio (intromissione di estranei nella comunione ereditaria) che la norma in questione vuole evitare (v., in tal senso, tra le altre, Cass., sentt. n. 5320 del 2003, n. 9543 del 2002, n. 13704 del 1999).

4.3. – Nella specie, la Corte di merito ha fatto corretta applicazione dell’illustrato principio, fornendo adeguata ed articolata motivazione del proprio convincimento secondo il quale dagli elementi della fattispecie emergeva che la N., con l’atto di compravendita, avesse inteso alienare agli acquirenti una quota del patrimonio ereditario. Tale convincimento trova non illogico fondamento nella considerazione che si trattava di alienazione di quota indivisa dell’unico cespite ereditario. In tale quadro, la Corte ha correttamente ritenuto che solo la prova, a carico di chi contestava l’esercizio dei diritti di prelazione e di riscatto, che, nonostante l’alienazione di quota indivisa dell’unico cespite ereditario, la volontà dei contraenti fosse quella di trasferire (e conseguire) il singolo bene e non l’eredità, sarebbe stata idonea a vincere la presunzione di alienazione della quota ereditaria. Ed ha, con congrua motivazione, escluso che il solo rilievo che con il contratto di compravendita la N. avesse alienato non solo il sesto della casa costituente la sua quota ereditaria, ma anche i 3/6 già di sua pertinenza per altro titolo nonchè l’adiacente orto, anch’esso di sua proprietà, potesse fornire una prova contraria alla predetta presunzione, sottolineando, al contrario, la possibilità che esso valesse piuttosto a suffragare il convincimento che la stessa N. avesse inteso sostituire gli acquirenti a sè nei rapporti concernenti la comunione ereditaria.

5. – Con la tersa censura, si denuncia insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, nonchè erronea interpretazione dell’art. 732 cod. civ., in relazione all’obbligo resbitutorio e del pagamento del corrispettivo. La motivazione della sentenza impugnata, nella parte relativa alla infondatezza della pretesa degli attuali ricorrenti di far valere nei confronti dei retraenti il prezzo reale della compravendita pattuito con la N., loro dante causa, in difformità da quanto risultante dall’atto pubblico di trasferimento, sarebbe contraddittoria rispetto a quanto dalla stessa Corte di merito riconosciuto in ordine all’obbligo dei coeredi retraenti di restituire agli acquirenti retrattati il prezzo contrattuale per il quale il bene stesso era stato acquistato. Essa si porrebbe, inoltre, in contrasto con la interpretazione giurisprudenziale secondo la quale al coerede che eserciti il retratto successorio può essere opposta la simulazione del prezzo nell’atto di alienazione della quota. La Corte di merito, nel ritenere che la indicazione del maggior prezzo nel preliminare prodotto in giudizio non comproverebbe l’accordo simulatorio circa il prezzo indicato nell’atto definitivo, ben potendo le parti concludere il contratto definitivo per un prezzo diverso da quello indicato nel preliminare, avrebbe fornito una motivazione illogica del proprio convincimento, in quanto, nella specie, con la produzione del preliminare si era inteso fornire la prova di un prezzo superiore rispetto a quello indicato nel contratto definitivo. Dunque, essendo illogico che le parti avessero concordato, al momento del contratto definitivo, un prezzo di vendita inferiore rispetto a quello concordato in sede di stesura e sottoscrizione del preliminare, la Corte di merito avrebbe dovuto ritenere provato il reale prezzo di vendita come risultava dal preliminare, non contestato dalla controparte, e determinare il prezzo relativo alla quota oggetto del retratto e quello relativo alla quota indivisa assegnata per intero agli odierni ricorrenti sulla base del prezzo effettivo risultante dal preliminare. Appare ai ricorrenti evidente la contraddizione insita nel valutare, da una parte, la quota, pari ad un sesto, in L. 7.500.000, somma pari ad un sesto del prezzo di acquisto dell’intera casa da parte degli appellanti, e, dall’altra, attribuire alla intera casa il valore di L. 131.000.000, con determinazione della quota, pari ai 3/6 dell’intero, a carico degli appellanti a titolo di conguaglio, valutata in L. 65.000.000.

6.1. – Anche tale censura è infondata.

6.2. – Nessun vizio motivazionale può ravvisarsi nella sentenza impugnata, che, invece, nella parte in esame, ha del tutto correttamente, e senza alcuna contraddizione, affermato che i coeredi retraenti sono obbligati a restituire agli acquirenti retrattati non già il valore del bene riscattato, ma l’equivalente del prezzo per il quale esso è stato acquistato da questi ultimi, poichè il riscatto produce l’effetto di sostituire nel contratto di compravendita il coerede all’acquirente retrattato.

Ciò posto, ha escluso che il giudice di primo grado avesse errato nel far valere nei confronti dei retraenti il presunto effettivo prezzo della compravendita, concordato nel contratto preliminare in misura maggiore rispetto a quello risultante dal rogito, rilevando correttamente che la opponibilità del contratto preliminare ai terzi presuppone che esso abbia data certa anteriore o coeva al rogito, ovvero che sussista uno degli altri requisiti posti dall’art. 2704 cod. civ., mentre nella specie si trattava di una scrittura privata non autenticata nè registrata, e nemmeno era stata dimostrata la sussistenza di alcuno degli altri requisiti di cui al richiamato art. 2704 cod. civ..

6.3. – Quanto, invece, alla determinazione del conguaglio dovuto dai coniugi G.- F. in favore delle coeredi, il relativo computo non avrebbe potuto non tenere conto del valore del bene al momento della divisione, avuto riguardo alla funzione stessa del conguaglio.

6.4. – Del tutto inconferente si appalesa, poi, in relazione a quanto sin qui esposto, la censura attinente ad una pretesa erronea interpretazione dell’art. 732 cod. civ..

7. – Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato. In ossequio al criterio della soccombenza, le spese del presente giudizio – che vengono liquidate come da dispositivo – vanno poste a carico dei ricorrenti in solido.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 2500,00, oltre ad Euro 200,00 per spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 22 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 23 aprile 2010

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