Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9744 del 13/05/2015


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 9744 Anno 2015
Presidente: BOGNANNI SALVATORE
Relatore: CONTI ROBERTO GIOVANNI

ORDINANZA
sul ricorso 24026-2013 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE 11210661002, in persona del
Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente contro
MIKI HOUSE ITALY SRL, in persona del Presidente del Consiglio di
Amministrazione, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SICILIA
66, presso lo studio dell’avvocato EDOARDO BELLI CONTARINI,
che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati DANIELA
CUTARELLI, ROBERTO ALTIERI giusta procura speciale in calce
al controricorso;

– contro ricorrente

2329

Data pubblicazione: 13/05/2015

fat.S.C.A.

avverso la sentenza n. 162/33/2012 della COMMISSIONE
TRIBUTARIA REGIONALE di NAPOLI del 3/07/2012, depositata
il 26/07/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
25/03/2015 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO GIOVANNI

In fatto e in diritto
La srl Miki House Italy impugnava innanzi alla CTP di Napoli l’avviso di
accertamento relativo alla ripresa a tassazione di IVA per l’anno 2004 emesso
sulla base di un pvc ove erano state contestate operazioni in esenzione di
imposta eccedenti il plafond disponibile, escludendo per alcune di esse la
natura di cessione all’esportazione.
Il ricorso veniva accolto con sentenza impugnata dall’Ufficio innanzi alla CTR
della Campania che, con sentenza n.162133/2012, depositata il 26.7.2012
respingeva l’appello.
La CTR riteneva che la documentazione prodotta dalla contribuente, formata
dalle copie delle fatture e delle bollette doganali depositate, dimostrava il
corretto operato della suddetta, avendo quest’ultima realizzato vendite estero su
estero non imponibili ai fini IVA. Ne conseguiva l’inapplicabilità dell’art.8 dPR
n.633/72.
L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre
motivi. La società contribuente ha resistito con controricorso.
Con il primo motivo l’Agenzia ha dedotto la violazione dell’art.52 5^comma
dPR n.633/72 e dell’art.112 c.p.c. per omessa pronunzia sull’eccezione di
inutilizzabilità o tardività della produzione della documentazione posta a base
della decisione che il primo giudice aveva esaminato dopo che la contribuente
si era rifiutata di produrla nella fase amministrativa. Aggiunge che il motivo era
pienamente fondato, posto che l’intempestività dell’esibizione della
documentazione risultava dal pvc avente valore fidefacente.Tale verbale
attestava con efficacia di pubblica fede che la parte non era in possesso, alla
data della verbalizzazione, dei documenti doganali relativi alle cessioni svolte
tre anni prima e che, dunque, gli stessi non erano stati prodotti. La successiva
esibizione doveva quindi ritenersi irrituale, non potendo costituire il
fondamento della sentenza impugnata.
Con il secondo motivo la ricorrente deduce il vizio di violazione dell’art.8 dPR
n.633/72, in relazione all’art.360 c.1 n.3 e 5 C.P.C. Lamenta l’omesso esame,
da parte della CTR, delle fatture richiamate già in primo grado, dalle quali era
risultato che le operazioni non potevano essere qualificate come vendite estero
su estero, risultando che la merce era transitata in Italia.
Con il terzo motivo la ricorrente deduce la violazione dell’art.2730 c.c.,
ritenendo che la CTR aveva omesso di valutare la prova confessoria emergente
dalle fatture emesse dalla contribuente, ove era stato indicato che le operazioni
erano da considerare non imponibili ai sensi dell’art.8 c.1 lett.A) dPR n.633/72.

Ric. 2013 n. 24026 sez. MT ud. 25-03-2015
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CONTI.

Ric. 2013 n. 24026 sez. MT- ud. 25-03-2015
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Da tale elemento risultava la consapevolezza della contribuente che alle
operazioni anzidette andava applicato il regime delle cessioni all’esportazione.
La società contribuente, nel costituirsi con controricorso, ha eccepito
l’inammissibilità per tardività del ricorso e l’infondatezza nel merito delle
censure esposte dall’Agenzia.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Quanto all’eccezione di tardività del ricorso per cassazione, la stessa è
infondata.
Risulta, in punto di fatto, che il ricorso proposto dall’Agenzia venne passato
all’ufficiale giudiziario il 28 ottobre 2013 —ultimo giorno utile per la
tempestività del ricorso- e che lo stesso non fu notificato per irreperibilità del
difensore della contribuente nel giudizio di appello.
Analoga notifica venne tentata dall’Agenzia presso lo stesso domicilio in data
19.12.2013, con notifica a mani del portiere in data 7.2.2013. V’è poi agli atti il
ricorso per cassazione passato nuovamente per la notifica in data 6.2.2013,
questa volta consegnato a mani dell’impiegata del difensore il giorno 7.2.2013,
con allegate fotocopie relative a schermate del sito del Consiglio Nazionale dei
dottori commercialisti attestanti l’indirizzo del difensore della parte
contribuente ove l’ultima notifica ebbe buon esito.
In definitiva, rispetto agli elementi fattuali sopra rassegnati ricorrono i
presupposti per fare applicazione dei principi, espressi da questa Corte, in
ordine alla possibilità di giustificare il ritardo incolpevole del notificante nelle
attività propedeutiche alla notificazione-cfr.Cass.20830/13 e Cass.n.18074/12
secondo la quale qualora la notificazione di un atto processuale, da effettuare
entro un termine perentorio, non si perfezioni per circostanze non imputabili al
richiedente, questi ha l’onere – anche alla luce del principio della ragionevole
durata del processo, atteso che la richiesta di un provvedimento giudiziale
comporterebbe un allungamento dei tempi del giudizio – di chiedere all’ufficiale
giudiziario la ripresa del procedimento notificatorio e, ai fini del rispetto del
termine perentorio, la conseguente notificazione avrà effetto dalla data iniziale
di attivazione del procedimento, sempreché la ripresa del medesimo sia
intervenuta entro un termine ragionevolmente contenuto, tenuti presenti i tempi
necessari, secondo la comune diligenza, per conoscere resito negativo della
notificazione e assumere le informazioni del caso-.
Ed infatti, nel caso di specie la prima consegna del ricorso all’ufficiale
giudiziario fu eseguita in data 28.10.2013- in epoca antecedente alla scadenza
del termine lungo per impugnare (decorrente dal 26.7.2012)- e non andò a
buon termine per ragioni indipendenti dalla volontà del ricorrente, la quale, in
epoca successiva, si è prontamente attivata per eseguire nuovamente la notifica
dapprima il 19.12.2013 e poi, con esito positivo, il 6.2.2013.
Passando all’esame del ricorso – che deve ritenersi ritualmente redatto, ad onta
di quanto diversamente sostenuto dalla parte connoricorrente, contenendo gli
elementi sufficienti per consentire alla Corte di ricostruire i fatti e le vicende
processuali pregresse-, il primo motivo è fondato nei termini di seguito esposti.
Giova ricordare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, non è
configurabile il vizio di omesso esame di una questione (connessa ad una
prospettata tesi difensiva) quando debba ritenersi che la stessa sia stata
esaminata e decisa implicitamente.

Ric. 2013 n. 24026 sez. MT – ud. 25-03-2015

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Peraltro, il mancato esame, sollecitato dalla parte, di una questione puramente
processuale non può dar luogo al vizio di omessa pronunzia, il quale è
configurabile con riferimento alle sole domande di merito, e non può assurgere
quindi a causa autonoma di nullità della sentenza, potendo profilarsi al riguardo
una nullità (propria o derivata) della decisione, per la violazione di norme
diverse dall’art. 112 cod. proc. civ., in quanto sia errata la soluzione
implicitamente data dal giudice alla questione sollevata dalla partecfr.Cass.n.7406/14;Cass. n. 13649 del 24/06/2005-.
Quanto alla statuizione implicita del giudice di appello occorre rammentare che
secondo la giurisprudenza di questa Corte “In tema di contenzioso tributario,
per superare la preclusione probatoria posta dall’art. 52, quinto comma, dP.R
n. 633 del 1972, richiamato dall’art. 33 del d.P.R. n. 600 del 1973 [ il quale
stabilisce che non possono essere prese in considerazione, a favore del
contribuente, i documenti che, in sede di accesso, non sono stati acquisiti, in
quanto sottratti da questi al controllo, ed il quale non si rivela in contrasto con
l’art. 19 – bis dP.R. 26 ottobre 1972, n. 636 – il quale in via generale consente
la produzione innanzi alle Commissioni tributarie di documenti
originariamente non prodotti dal contribuente – in quanto quest’ultima
disposizione va intesa nel senso che il potere per il contribuente di produrre
documenti sussiste sempre e solo nei limiti in cui egli non sia incorso in
decadenza] il contribuente può anche addurre la non volontarietà della
sottrazione originaria della documentazione poi tardivamente prodotta, ma
deve provare il proprio assunto.”-(massima ufficiale, Rv. 551904), tratta da
Cass. n.1030/2002-.
Si è ancora aggiunto che in tema di accertamento dell’IVA il divieto, previsto
dal quinto comma dell’art. 52 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, di prendere in
considerazione, ai fini dell’accertamento in sede amministrativa o contenziosa, i
libri, le scritture e i documenti di cui si è rifiutata l’esibizione, opera non solo
nell’ipotesi di rifiuto (per definizione “doloso”) dell’esibizione, ma anche nei
casi in cui il contribuente dichiari, contrariamente al vero, di non possedere o
sottragga all’ispezione i documenti in suo possesso, ancorché non al deliberato
scopo di impedirne la verifica, ma per errore non scusabile, di diritto o di fatto
(dimenticanza, disattenzione, carenze amministrative, ecc.) e, quindi, per colpaCass. n.7269/2009-.
Si è ancora in modo più rigoroso precisato che i documenti prodotti dal
contribuente nel giudizio tributario in cui si controverta in tema di IVA, dei
quali abbia in precedenza rifiutato l’esibizione all’amministrazione finanziaria,
non possono essere presi in considerazione ai fini del decidere, anche in assenza
di una eccezione in tal senso dell’amministrazione resistente-cfr.Cass.n.
13511/2008-.
Sulla base di tali considerazioni la decisione implicita del giudice di appello di
ritenere utilizzabili i documenti non prodotti in sede di verifica non può dirsi
conforme a legge, essendo mancata la verifica espressa da parte del giudice in
ordine alla ricorrenza dei presupposti che avrebbero giustificato la tardiva
produzione.
Passando al secondo motivo di ricorso, lo stesso è fondato.
Ed invero, nel vigore della vecchia formulazione dell’art.360 c.1 n.5 c.p.c. la
motivazione della sentenza impugnata appare carente nella parte in cui la stessa
ha acclarato il mancato transito in Italia della merce tralasciando di esaminare

gli elementi documentali provenienti dalla stessa parte contribuente dai quali
sarebbe emerso in modo incontrovertibile il transito in Italia della mercecircostanza che, d’altra parte, nemmeno la controricorrente smentisce nel
controricorso, semmai affermando che si trattava di un transito temporaneo
presso il deposito in Italia della cessionaria(cfr.pag.20 controricorso)-.
Manifestamente inammissibile appare invece il terzo motivo di ricorso, facendo
riferimento ad una questione nuova che non risulta essere mai stata prospettata
dall’Agenzia nel corso delle pregresse fasi del giudizio-id est prova confessoria
circa l’insussistenza dei presupposti di cui all’art.8 comma l letta) dPR
n.633/72.
Sulla base di tali considerazioni, idonee a superare i rilievi difensivi
rispettivamente esposti dalle parti in accoglimento del primo e del secondo
motivo di ricorso, inammissibile il terzo, la sentenza impugnata va cassata con
rinvio ad altra sezione della CTR della Campania per nuovo esame e per la
liquidazione delle spese dell’intero giudizio.
P.Q.M.
La Corte, visti gli artt.375 e 380 bis c.p.c.
Accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso, dichiarando inammissibile il
terzo.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della crR della Campania
anche per la liquidazione delle spese dell’intero giudizio.
Così deciso il 25.3.2015 nella camera di consiglio della sesta sezione civile in

M.

I

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