Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9738 del 14/04/2021

Cassazione civile sez. trib., 14/04/2021, (ud. 26/01/2021, dep. 14/04/2021), n.9738

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – rel. Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23735/2014 proposto da:

M.C. elettivamente domiciliato in Roma, via Plotino n. 25

presso lo studio dell’Avv. Assunta Ciccarelli e rappresentato e

difeso, in calce al ricorso, dall’Avv. Raffaele Micillo.

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12 preso gli

Uffici dell’Avvocatura Generale di Stato dalla quale è

rappresentato e difeso.

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza n. 1084/28/14 della Commissione

tributaria regionale della Campania, depositata il 3 febbraio 2014.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26 gennaio 2021 dal relatore Cons. Roberta Crucitti.

 

Fatto

RILEVATO

che:

a seguito di verifica ad opera della Guardia di Finanza, sulla base di dichiarazioni rese da terzi e di quanto emergente dalla banca dati (OMISSIS), venne accertato che M.C. – proprietario di tre immobili (un appartamento e due locali commerciali), concessi in locazione a terzi senza che i relativi contratti fossero stati registrati – aveva omesso la dichiarazione dei redditi da fabbricato.

Ne conseguì avviso di accertamento, relativo a Irpef per l’anno 2006, che il contribuente impugnò innanzi alla Commissione Tributaria provinciale di Napoli, contestando l’omessa dichiarazione dei redditi scaturenti dalla locazione di detti immobili, in quanto gli stessi erano stati inseriti in dichiarazione, quali componenti positivi di reddito di impresa, essendo il contribuente, all’epoca dei fatti, titolare di partita IVA per l’impresa di costruzione di edifici ed essendo gli immobili costruiti su terreno acquistato nell’ambito dell’esercizio di detta impresa.

La C.T.P. rigettò il ricorso e la decisione, appellata dal contribuente, venne confermata, con la sentenza indicata in epigrafe, dalla Commissione tributaria regionale della Campania-Napoli (d’ora, in poi, per brevità C.T.R.).

Il Giudice di appello riteneva che il contribuente non avesse idoneamente dimostrato la natura di “bene merce” degli immobili concessi in locazione e, pertanto, condivideva quanto già affermato dal primo Giudice ossia la totale assenza di buona fede del contribuente nel commettere l’omissione dei redditi da fabbricato nella dichiarazione.

In ordine alla richiesta subordinata di riduzione del quantum la C.T.R. ne rilevava l’infondatezza avendo l’Ufficio effettuato le decurtazioni di quanto già versato.

Per la cassazione della sentenza M.C. propone ricorso, che affida a unico motivo, cui resiste, con controricorso, l’Agenzia delle Entrate.

Il ricorso è stato avviato, ai sensi dell’art. 380 bis-1 c.p.c., alla trattazione in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con l’unico motivo- rubricato: violazione art. 360 c.p.c., omessa-insufficiente contraddittoria motivazione, falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 23,33 e 34; violazione ed errata applicazione dell’art. 85 TUIR – il ricorrente censura integralmente la sentenza impugnata evidenziando che la C.T.R. travisando i fatti e omettendo di valutare la circostanza fattuale giuridica e dirimente costituita dall’attività imprenditoriale svolta dal contribuente all’epoca dei fatti- avrebbe violato la normativa di riferimento sopra indicata, nel non riconoscere agli immobili, concessi in locazione, la natura di bene merce.

2. Il ricorso è inammissibile per più ordini di ragioni.

2.1 In disparte l’inammissibilità del mezzo di impugnazione che, nei termini in cui è formulato, miscela indistintamente violazioni di legge e vizi afferenti la motivazione, va, pure, rilevata l’inammissibilità delle censure, prospettanti vizi astrattamente riconducibili all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

2.2 Infatti, anche a volere tralasciare l’indicazione in rubrica di vizi di motivazione, espunti dalla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (applicabile al ricorso essendo stata la sentenza impugnata depositata il 3 febbraio 2014) ed enucleare, nell’illustrazione del motivo, la deduzione del vizio di omesso esame di un fatto (la qualità di imprenditore rivestito dal contribuente) il mezzo di impugnazione sarebbe, in ogni caso inammissibile, ostandovi il disposto dell’art. 348 ter c.p.c., u.c..

Nel caso in esame, infatti, l’appello risulta depositato nel mese di aprile 2013 ed è pacifico che, nei due gradi di merito, le “questioni di fatto” sono state decise in base alle “stesse ragioni”.

2.3. Eguali considerazioni vanno svolte per il dedotto travisamento delle prove, condividendo il Collegio il principio già statuito da questa Corte (cfr., tra le altre, di recente Cass. n. 24395 del 03/11/2020) per cui “in tema di ricorso di cassazione, il travisamento della prova, che presuppone la constatazione di un errore di percezione o ricezione della prova da parte del giudice di merito, ritenuto valutabile in sede di legittimità qualora dia luogo ad un vizio logico di insufficienza della motivazione, non è più deducibile a seguito della novella apportata all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. dalla L. n. 134 del 2012, che ha reso inammissibile la censura per insufficienza o contraddittorietà della motivazione, sicchè “a fortiori” se ne deve escludere la denunciabilità in caso di cd. “doppia conforme”, stante la preclusione di cui all’art. 348-ter c.p.c., u.c.”.

2.4. Ciò posto, il ricorso è, ancora, inammissibile in quanto, sotto l’egida della violazione di legge, tende a una diversa ricostruzione fattuale della vicenda processuale rispetto a quella operata dai due giudici di merito e, nella genericità della prospettazione, rimane inconferente rispetto al decisum.

Contrariamente a quanto prospettato dal ricorrente, infatti, la C.T.R., avendo ben presente l’attività imprenditoriale svolta dal contribuente, ha, invero, accertato che, erano state forniti in atti elementi probatori tali da escludere la buona fede del contribuente nell’omettere la dichiarazione dei redditi e che, al contrario, gli elementi indicati dallo stesso contribuente, al fine della qualificazione degli immobili come beni merce, tra cui la durata delle locazioni, erano rimasti (come ancora nel ricorso per cassazione) del tutto generici.

3 Ne consegue il rigetto del ricorso, per inammissibilità delle censure, e la condanna del ricorrente, soccombente, alla refusione, in favore dell’Agenzia delle entrate, delle spese liquidate come in dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente alla refusione, in favore dell’Agenzia delle entrate, delle spese processuali liquidate in complessivi Euro 2.300,00 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2021

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