Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9734 del 22/04/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 9734 Anno 2013
Presidente: FINOCCHIARO MARIO
Relatore: CIRILLO FRANCESCO MARIA

SENTENZA

sul ricorso 18026-2008 proposto da:
PERFORAZIONE POZZI DI TESTA LUIGI & C S.N.C.
01090200336, in persona del suo amministratore LUIGI
TESTA, TESTA LUIGI in proprio, elettivamente
domiciliati in ROMA, VIA L. ANDRONICO 24, presso lo
studio dell’avvocato ROMAGNOLI ILARIA, che li
ti

4 2013
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rappresenta e difende unitamente all’avvocato PEREGO
ENRICO giusta delega in atti;
– ricorrenti contro

CHIAPPINI LUCIANA, PIAZZA EDOARDO, elettivamente

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Data pubblicazione: 22/04/2013

domiciliati in ROMA, VIA TACITO 50, presso lo studio
dell’avvocato COSSU BRUNO, che li rappresenta e
difende unitamente agli avvocati DEL PRETE ANTONELLA,
MIGLIOLI ALESSANDRO giusta delega in atti;
– controricorrenti –

TESTA SILVIA, BONELLI MARIA, LODIGIANI ALESSANDRO;
– intimati –

avverso la sentenza n. 1067/2007 della CORTE
D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 28/02/2008 R.G.N.
1095/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 14/03/2013 dal Consigliere Dott.
FRANCESCO MARIA CIRILLO;
udito l’Avvocato ILARIA ROMAGNOLI;
udito l’Avvocato SAVINA BOMBOI per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. AURELIO GOLIA che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

2

nonché contro

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte d’appello di Bologna, in funzione di Sezione
specializzata agraria, con sentenza non definitiva depositata il
19 dicembre 2006, in riforma di quella di primo grado emessa dal
Tribunale di Piacenza, Sezione specializzata agraria, accertava
la simulazione del contratto di affitto agrario stipulato tra

.

Alessandro Lodigiani e Luigi Testa nella qualità di socio e
amministratore della Perforazione Pozzi s.n.c., nonché del
contratto di locazione stipulato tra Alessandro Lodigiani e
Silvia Testa, dichiarando entrambi i contratti non opponibili
agli appellanti Edoardo Piazza e Luciana Chiappini; dichiarava
che Luigi Testa, in proprio, la Perforazione Pozzi s.n.c., Silvia
Testa e Maria Bonelli erano, pertanto, da ritenere occupanti
senza titolo degli immobili, condannandoli al rilascio immediato
degli stessi; disponeva, altresì, che la causa tornasse in
istruttoria per lo svolgimento di una c.t.u. finalizzata ad
accertare l’entità del danno e rimandava alla pronuncia
definitiva la liquidazione delle spese di giudizio.
La sentenza non definitiva veniva fatta oggetto di ricorso
per cassazione, rubricato al n. 20626 del 2007.
2. Con successiva sentenza definitiva, depositata in data 28
febbraio 2008, la medesima Corte d’appello, Sezione specializzata
agraria, condannava Luigi Testa, in proprio e nella qualità di
socio e amministratore della Perforazione Pozzi s.n.c., Maria
Bonelli e Silvia Testa, in solido fra di loro, a risarcire il
danno in favore degli appellanti Edoardo Piazza e Luciana

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Chiappini, a titolo di occupazione abusiva degli immobili, nella
misura di euro 79.374,99, oltre interessi dalla domanda al saldo;
condannava, altresì, i soccombenti al pagamento delle spese del
doppio grado di giudizio nonché a quelle della c.t.u.
Osservava la Corte territoriale che tutte le questioni erano

state affrontate nella menzionata pronuncia non definitiva e che,
pertanto, il giudizio doveva proseguire solo per la liquidazione
dei danni patiti da Edoardo Piazza e Luciana Chiappini in
conseguenza dell’abusiva occupazione – da parte degli appellati di un immobile ad uso di civile abitazione e del relativo podere.
All’esito della c.t.u. – che la Corte riteneva di dover fare
propria, in quanto esaustiva e ben motivata – il canone di
mercato dell’immobile era stato determinato, per il periodo in
questione, in euro 66.145,83, mentre quello del podere in euro
13.229,11. I proprietari, pertanto, avevano subito un danno
complessivo, conseguente all’impossibilità di utilizzare gli
immobili in questione, pari alla somma dei due valori riportati,
sicché tutti gli appellati dovevano essere solidalmente
condannati al pagamento del danno nella sua globalità.
3. Avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna
propongono ricorso la Perforazione Pozzi s.n.c., in persona del
suo amministratore Luigi Testa, nonché Luigi Testa in proprio,
con unico atto affidato a cinque motivi.
Resistono con controricorso Edoardo Piazza e Luciana
Chiappini.
Le parti hanno presentato memorie.
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MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in relazione
all’art. 360, primo comma, nn. 3), 4) e 5), cod. proc. civ.,
violazione e falsa applicazione degli artt. 1292 e

ss. cod. civ.,

oltre a contraddizione tra la pronuncia di condanna al rilascio

emessa con la sentenza non definitiva e quella di condanna al
risarcimento danni contenuta nella pronuncia definitiva.
Rilevano i ricorrenti che la Corte d’appello di Bologna, con
la pronuncia non definitiva del 19 dicembre 2006, aveva
condannato Silvia Testa, Luigi Testa e Maria Bonelli al rilascio

dell’immobile oggetto del contratto di locazione, mentre aveva 1,
‘AA-41
condannato Luigi Testa, Maria Bonelli e la Perforazione Pozzi
s.n.c. a rilasciare il fondo oggetto del contratto di affitto
agrario. La pronuncia definitiva impugnata in questa sede, però,
ha condannato tutti i soggetti ora indicati, in solido tra loro,
al pagamento dell’intera somma stabilita per il risarcimento,
senza rendersi conto che Silvia Testa, Luigi Testa e Maria
Bonelli dovevano essere condannati al pagamento di euro
66.145,83, mentre Luigi Testa, Maria Bonelli e la Perforazione
Pozzi s.n.c. dovevano essere condannati al pagamento di euro
13.226,16.

Tale

errore

determina,

secondo

i

ricorrenti,

un’evidente violazione dei principi in tema di obbligazione
solidale.
1.2. Il motivo è fondato.
La sentenza definitiva emessa dalla Corte d’appello di
Bologna ed impugnata col presente ricorso dà atto che, con la

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pronuncia non definitiva depositata in data 19 dicembre 2006, era
stata accertata la simulazione tanto del contratto di affitto
agrario, stipulato tra Alessandro Lodigiani e Luigi Testa quale
socio ed amministratore della Perforazione Pozzi s.n.c., quanto
del contratto di locazione ad uso abitativo stipulato tra il

medesimo Lodigiani e Silvia Testa. Conseguentemente, la pronuncia
non definitiva aveva condannato Silvia Testa, Luigi Testa e Maria
Bonelli a rilasciare l’immobile ad uso abitativo e la
Perforazione Pozzi s.n.c., Luigi Testa e Maria Bonelli a
rilasciare il fondo con annessi fabbricati colonici oggetto del
menzionato contratto di affitto agrario.
Nonostante tale distinzione, la medesima Corte bolognese,
pronunciando in via definitiva, ha cumulato la condanna al
risarcimento dei danni nei confronti di tutti gli appellati senza
distinzione, determinando la somma complessiva di euro 79.374,99
e ponendola a carico di tutti gli appellati in solido. Così
facendo, però, la Corte ha contraddetto la premessa dalla quale
essa stessa aveva preso le mosse, ossia la propria pronuncia non
definitiva che, come si è detto, aveva distinto i due contratti
simulati, di locazione e di affitto agrario, dichiarando la
diversità tra i soggetti tenuti al rilascio dei beni oggetto dei
diversi contratti.
In questo modo, quindi, si è determinata la violazione delle
norme richiamate nel ricorso (artt. 1292 e ss. cod. civ.), le
quali stabiliscono il principio per cui l’obbligazione è in
solido «quando più debitori sono obbligati tutti per la medesima

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prestazione,

in modo che ciascuno può essere costretto

all’adempimento per la totalità»; ma poiché, per le ragioni sopra
descritte, qui non si trattava della medesima prestazione, la
condanna unica emessa dalla Corte di merito dovrà essere
diversificata, secondo quanto in seguito si dirà.

Il primo motivo, pertanto, va accolto e la sentenza cassata
di conseguenza.
2.1. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in
relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3) e 4), cod. proc.
civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ.,
in relazione agli artt. 61 e 191 del codice di procedura civile.

Si rileva, in proposito, che gli appellanti non hanno )P‘)L
dedotto, nel giudizio di merito,

alcuna prova idonea a

quantificare il danno, pur avendo riconosciuto che ciò sarebbe
stato loro onere. A fronte di simile mancanza, la Corte d’appello
non avrebbe potuto ammettere una c.t.u. per la determinazione dei
canoni di locazione dell’abitazione e di affitto del terreno,
perché mancava ogni indizio dell’effettiva intenzione degli
aventi diritto di porre a reddito tali immobili; la c.t.u.,
infatti, per costante giurisprudenza, non ha una funzione
sostitutiva dell’onere della prova esistente a carico delle
parti.
2.2. Il motivo non è fondato.
La sentenza in esame è partita dal presupposto, corretto e
non più contestabile in questa sede, che la permanenza dei
ricorrenti nella detenzione dei beni oggetto dei contratti

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simulati fosse sine titulo.

Da tanto consegue che, nella specie,

trova applicazione la pacifica giurisprudenza di questa Corte
secondo la quale, in caso di occupazione senza titolo di un
cespite immobiliare altrui, il danno subito dal proprietario
discende automaticamente dalla perdita della disponibilità del

bene e dalla conseguente impossibilità di ottenerne l’utilità
ricavabile in relazione alla natura normalmente fruttifera dello
stesso; e in tal caso la determinazione del risarcimento del
danno può essere operata dal giudice sulla base di elementi
presuntivi semplici, con riferimento al valore locativo di
mercato del bene (sentenze 8 maggio 2006, n. 10498, e 17 novembre

2011, n. 24100). La c.t.u., quindi, non aveva – come si pretende/9t./
nel ricorso – una funzione indebita di supplenza rispetto ad un
onere della prova non assolto, quanto, invece, di strumento del
tutto legittimo utilizzato dal giudice in presenza della sicura
lesione

di

un

diritto

patrimoniale

degli

odierni

controricorrenti.
3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in relazione
all’art. 360, primo comma, n. 3) e n. 4), vizio di motivazione
della sentenza per violazione, da parte del c.t.u., del principio
del contraddittorio, con conseguente lesione degli artt. 194 e
201 del codice di procedura civile.
Rilevano i ricorrenti che il c.t.u., dopo aver svolto la
parte iniziale delle operazioni in contraddittorio con i
consulenti di parte, ha poi provveduto ad acquisire una serie di
informazioni decisive per la determinazione del canone degli

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immobili in contestazione senza convocare i consulenti di parte e
senza comunicare loro gli elementi di valutazione assunti. Ciò
comporterebbe violazione del principio del contraddittorio e
conseguente nullità della sentenza impugnata.
4. Con il quarto motivo di ricorso si lamenta, in relazione

all’art. 360, primo comma, nn. 3), 4) e 5), cod. proc. civ.,
violazione dell’art. 201 cod. proc. civ. per mancata acquisizione
ed esame delle consulenze tecniche di parte, oltre ad omessa
motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il
giudizio.
Osservano i ricorrenti che all’udienza del 4 ottobre 2007
essi avevano formulato a verbale una serie di osservazioni
critiche rispetto alla c.t.u., peraltro depositata fuori termine.
La Corte d’appello non avrebbe potuto pronunciare immediatamente
sentenza senza acquisire ed esaminare le difese tecniche delle
parti e le conseguenti critiche mosse alla c.t.u., tanto più che
la pronuncia impugnata non risulta aver motivato in modo adeguato
sui criteri seguiti per la determinazione dei prezzi di locazione
degli immobili e del terreno.
5.

I motivi terzo e quarto, che possono essere trattati

congiuntamente, sono inammissibili.
Occorre rilevare, in proposito, che il ricorso è soggetto,
ratione temporis,

all’applicabilità dell’art. 366-bis cod. proc.

civ. e, di conseguenza, al regime dei quesiti di diritto.
Entrambi i motivi si caratterizzano per la genericità dei

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quesiti, formulati in modo tale da non consentire l’enunciazione
di alcun principio di diritto.
Ma,

oltre a ciò,

essi presentano altre ragioni di

inammissibilità. Intanto, come si vede dalla trascrizione delle
conclusioni riportate nella sentenza impugnata, non risulta che

reiterato in quella sede le eccezioni di nullità della c.t.u. che
oggi pongono come motivi di ricorso; né, d’altra parte, è dato
comprendere dal terzo motivo quale tipo di eccezione di nullità
sia stata formulata e dove, poiché il ricorso si limita a
riferire di aver sollevato tale eccezione «nel foglio di
deduzioni allegato al verbale», sicché c’è anche la violazione
dell’art. 366, primo comma, n. 6), cod. proc. civ., che richiede
l’esatta indicazione degli atti richiamati e le modalità per il
loro reperimento nel fascicolo processuale.
Il quarto motivo, poi, mostra un’evidente confusione in
quanto invoca l’art. 360, primo comma, nn. 3), 4) e 5), del
codice di rito senza percepire la diversità esistente tra i tipi
di censure che tali disposizioni consentono di formulare.
Né può farsi a meno di rilevare, infine, quanto al terzo
motivo di ricorso, che i dati che il c.t.u. avrebbe attinto
violando le regole del contraddittorio sembrano essere dati
accessibili a tutti e privi di qualunque segretezza (Agenzia del
territorio, Camera di commercio, Università cattolica di
Piacenza); e, in riferimento al quarto motivo, che gli odierni
ricorrenti avevano comunque verbalizzato una serie di critiche

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gli odierni ricorrenti, appellati nel giudizio di merito, abbiano

mosse alle conclusioni della c.t.u., che la Corte d’appello ha
evidentemente ritenuto tali – nell’esercizio dei propri poteri di
valutazione delle prove – da non rendere necessaria una nuova
consulenza. Nella fattispecie, inoltre, non è applicabile,
ratione temporis,

la nuova formulazione dell’art. 195, terzo

legge 18 giugno 2009, n. 69.
6.1. Con il quinto motivo di ricorso si lamenta, in relazione
all’art. 360, primo comma, nn. 3) e 4), cod. proc. civ., vizio
della sentenza perché motivata esclusivamente con il recepimento
degli accertamenti di una c.t.u. nulla.
Rilevano i ricorrenti che la c.t.u. sarebbe nulla in quanto
depositata fuori termine, nullità «eccepita all’udienza
successiva al deposito della c.t.u.»; ciò imporrebbe la
cassazione della sentenza, fondata solo sugli accertamenti della
consulenza tecnica nulla.
6.2. Il motivo non è fondato.
Questa Corte ha affermato in più occasioni che nel rito del
lavoro l’inosservanza, da parte del consulente tecnico d’ufficio
nominato nel giudizio d’appello ai sensi dell’art. 441 cod. proc.
civ., del termine giudizialmente assegnatogli per il deposito
della consulenza, non comporta alcuna nullità, sempreché detto
deposito avvenga almeno dieci giorni prima della nuova udienza di
discussione, conformemente al disposto del terzo comma
dell’articolo citato e senza pregiudizio, quindi, del diritto di
difesa (sentenza 26 maggio 2004, n. 10157, nonché ordinanza 8

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comma, cod. proc. civ., introdotta dall’art. 46, comma 5, della

novembre 2010, n. 22708). Nel ricorso, del resto, neppure si
prospetta l’ipotesi che il deposito tardivo sia avvenuto meno di
dieci giorni prima dell’udienza di discussione.
7. In conclusione, va accolto il primo motivo di ricorso,
mentre sono rigettati gli altri, e la sentenza impugnata deve

Poiché non sono necessari, alla luce del rigetto dei motivi
dal secondo al quinto, ulteriori accertamenti di fatto, questa
Corte può decidere la causa nel merito, ai sensi dell’art. 384,
secondo comma, cod. proc. civ., confermando le condanne al
risarcimento dei danni già inflitte dalla Corte di merito ma con
la diversificazione dei rispettivi destinatari. Ne consegue che
Silvia Testa, Luigi Testa e Maria Bonelli vanno condannati, in
solido fra loro, al pagamento, in favore di Edoardo Piazza e
Luciana Chiappini, della somma di euro 66.145,83, oltre interessi
legali dalla domanda al saldo; la Perforazione Pozzi s.n.c.,
Luigi Testa in proprio e Maria Bonelli vanno condannati, in
solido fra loro, al pagamento,

in favore di Edoardo Piazza e

Luciana Chiappini, della somma di euro 13.229,11, oltre interessi
legali dalla domanda al saldo.
Per quanto riguarda la liquidazione delle spese processuali,
va confermata la statuizione della sentenza impugnata in
riferimento alle spese del primo e del secondo grado, che restano
a carico delle parti soccombenti; quanto al presente giudizio di
cassazione, invece, in considerazione dell’accoglimento, sia pure

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essere cassata nei limiti dell’accoglimento.

parziale, del ricorso, la Corte ritiene conforme ad equità la
compensazione totale delle spese.
PER QUESTI MOTIVI
accoglie

La Corte
altri,

il

primo motivo di ricorso,

rigetta gli

cassa la sentenza impugnata nei limiti del motivo accolto

Maria Bonelli, in solido, al pagamento, in favore di Edoardo
Piazza e Luciana Chiappini, della somma di euro 66.145,83, oltre
interessi legali dalla domanda al saldo; condanna Luigi Testa in
proprio, la Perforazione Pozzi s.n.c. e Maria Bonelli, in solido,
al pagamento, in favore di Edoardo Piazza e Luciana Chiappini,
della somma di euro 13.229,11, oltre interessi legali dalla
domanda al saldo.
Conferma

impugnata.

la liquidazione delle spese compiuta dalla sentenza

Compensa integralmente le spese del presente giudizio

di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza
Sezione Civile, il 14 marzo 2013.

e, decidendo nel merito, condanna Silvia Testa, Luigi Testa e

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