Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9733 del 14/04/2021

Cassazione civile sez. trib., 14/04/2021, (ud. 21/01/2021, dep. 14/04/2021), n.9733

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. CORRADINI Grazia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24368 del ruolo generale dell’anno 2017

proposto da:

Stanley Malta Limited, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Roberto A.

Jacchia, Antonella Terranova, Fabio Ferraro e Daniela Agnello per

procura speciale in calce al ricorso, elettivamente domiciliata in

Roma, via Vincenzo Bellini n. 24, presso lo studio dei primi tre

difensori;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle dogane e dei monopoli, in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello

Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è

domiciliata;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Lombardia n. 1340/20/17, depositata in data 27 marzo

2017;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 21

gennaio 2021 dal Consigliere Grazia Corradini.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Dall’esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle dogane e dei monopoli aveva notificato a Stanleybet Malta Limited, soggetto esercente l’attività di raccolta scommesse priva di concessione, un avviso di accertamento con il quale era stato contestato il mancato versamento dell’imposta unica sulle scommesse per l’anno 2012, quale soggetto obbligato in solido con la Srl IPPOPOTAMO, che, per conto di Stanleybet Malta Limited, svolgeva l’attività di ricevitoria; avverso l’atto impositivo la società aveva proposto ricorso che era stato accolto dalla CTP di Sondrio limitatamente all’applicazione delle sanzioni e respinto nel resto; avverso la pronuncia del giudice di primo grado la società proponeva appello, mentre la Agenzia non impugnava l’annullamento delle sanzioni su cui si formava il giudicato interno. La Commissione tributaria regionale della Lombardia ha rigettato l’appello ed in particolare ha ritenuto, per quanto ancora interessa, che: la fattispecie in esame è disciplinata dal D.Lgs. n. 504 del 1998, che, all’art. 3, comma 1, individua quali soggetti passivi dell’imposta unica coloro i quali gestiscono, anche in concessione, i concorsi pronostici e le scommesse, nonchè dalla successiva norma interpretativa di cui alla L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, lett. b), secondo cui, soggetto passivo dell’imposta è chiunque, anche se in assenza o in caso di inefficacia della concessione, gestisce con qualunque mezzo, anche telematico, per conto proprio o di terzi, anche ubicati all’estero, concorsi pronostici o scommesse di qualsiasi genere, sicchè, anche nel caso di svolgimento di attività di raccolta scommesse mediante un intermediario da parte di bokmaker estero che operi privo di concessione, come nel caso di specie, sussisteva la responsabilità del medesimo in caso di omesso pagamento dell’imposta unica; l’attività del ricevitore e quella del bokmaker estero erano da ricondursi ad una fattispecie da valutarsi nel suo complesso, essendo finalizzate ad una operazione economica unitaria, consistente nella raccolta e organizzazione delle scommesse; l’accertamento era motivato e la notifica del pvc era avvenuta; sussistevano, nella fattispecie, sia il presupposto oggettivo che quello soggettivo dell’imposta ed era rispettato il criterio della territorialità; erano da escludersi ragioni di contrasto con i principi costituzionali o unionali.

La società ha quindi proposto ricorso per la cassazione della sentenza affidato a sei motivi di censura, illustrato con successiva memoria, cui ha resistito l’Agenzia delle dogane e dei monopoli depositando controricorso, illustrato con successiva memoria.

La società ha altresì depositato istanza con la quale ha chiesto la trattazione della causa alla pubblica udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente, va disattesa l’istanza di trattazione della causa in pubblica udienza.

In adesione all’indirizzo espresso dalle sezioni unite di questa Corte, il collegio giudicante ben può escludere, nell’esercizio di una valutazione discrezionale, la ricorrenza dei presupposti della trattazione in pubblica udienza, in ragione del carattere consolidato dei principi di diritto da applicare nel caso di specie (Cass. Sez. U, 5 giugno 2018, n. 14437), e non si verta in ipotesi di decisioni aventi rilevanza nomofilattica (Sez. U, n. 8093 del 23 aprile 2020).

In particolare, la sede dell’adunanza camerale non è incompatibile, di per sè, anche con la statuizione su questioni nuove, soprattutto se non oggettivamente inedite e già assistite da un consolidato orientamento, cui la Corte fornisce ii proprio contributo.

Nel caso in questione, il tema oggetto del giudizio è nuovo nella giurisprudenza di questa Corte, ma non è inedito, in quanto compiutamente affrontato in tutti i suoi risvolti da un lato dalla Corte costituzionale (con la sentenza 14 febbraio 2018, n. 27) e dall’altro da quella unionale (con la sentenza in causa C-788/18, relativa alla Stanleybet Malta Limited); e i principi da quelle Corti stabiliti risultano ampiamente e diffusamente recepiti pure dalla giurisprudenza di merito.

Così ampie e convergenti affermazioni inducono quindi a ritenere preferibile la scelta del procedimento camerale, funzionale alla decisione di questioni di diritto di rapida trattazione non caratterizzate da peculiare complessità (sulla medesima falsariga, si veda Cass. 20 novembre 2020, n. 26480).

Nè la giurisprudenza penale di questa Corte allegata all’istanza di rimessione alla pubblica udienza è idonea a incrinare i principi in questione, per le ragioni di seguito esplicate.

Infine, quanto al profilo delle esigenze difensive, che pure si affacciano nell’istanza ed è ribadito nella memoria illustrativa, va anzitutto nuovamente sottolineato che, in conformità alla giurisprudenza sovranazionale, il principio di pubblicità dell’udienza, pur previsto dall’art. 6 CEDU, e avente rilievo costituzionale, non riveste carattere assoluto e vi si può derogare in presenza di “particolari ragioni giustificative”, ove “obiettive e razionali” (in particolare, Corte Cost. 11 marzo 2011, n. 80).

Ad ogni modo, queste esigenze sono anche in concreto presidiate, perchè le parti hanno illustrato le proprie rispettive posizioni in esito alle pronunce della Corte costituzionale e della Corte di giustizia depositando osservazioni scritte.

2. Ciò posto, i sei motivi di ricorso possono essere poi esaminati insieme, perchè concernono tutti, sotto diversi profili, i presupposti dell’imposta unica sulle scommesse:

con il primo motivo si punta sulla violazione o falsa applicazione dell’art. 56 TFUE e dei principi unionali di parità di trattamento e di non discriminazione, con riferimento al D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3, come interpretato dalla L. di stabilità per il 2011, art. 1, comma 66, nonchè sulla violazione del principio di legittimo affidamento;

con il secondo motivo si evidenzia la violazione o falsa applicazione dei principi di uguaglianza e ragionevolezza delle leggi ex art. 3 Cost., in riferimento al D.Lgs. n. 504 del 1998, artt. 1 e 3, al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 64, comma 3 e alla L. di stabilità per il 2011, art. 1, comma 66, lett. b);

col terzo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3, come interpretato dalla L. di stabilità per il 2011, art. 1, comma 66, lett. b), là dove il giudice d’appello ha ritenuto il centro di trasmissione dati soggetto passivo del tributo; col quarto motivo si fa valere la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 1, come interpretato dalla L. di stabilità per il 2011, art. 1, comma 66, lett. a), perchè la Commissione tributaria regionale avrebbe errato nel ritenere integrato il profilo oggettivo del presupposto dell’imposta unica;

col quinto motivo si prospetta la violazione o falsa applicazione della L. n. 288 del 1998, art. 1, comma 2, lett. b) e degli artt. 1326, 1327 e 1336 c.c., perchè la Commissione tributaria regionale avrebbe errato nel configurare in capo al centro di trasmissione dati il profilo territoriale del tributo;

con il sesto motivo si lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 53 Cost., in riferimento al D.Lgs. n. 504 del 1998, artt. 1 e 3, al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 64, comma 3 e alla L. di stabilità per il 2011, art. 1, comma 66, lett. b);

3. Sin dalle origini il tributo sui giochi e le scommesse, che è frutto del percorso evolutivo iniziato con la tassa di lotteria (D.Lgs. 14 aprile 1948, n. 496, art. 6), è stato pensato in relazione alle attività di gioco: già nella relazione ministeriale al disegno di legge istitutivo dell’imposta unica n. 2033 presentato il 15 giugno 1951, si leggeva, quanto ai giochi riservati al CONI e all’UNIRE, che questi “…debbono allo Stato, per l’esercizio delle attività di giuoco predette, la corresponsione di una tassa di lotteria…”.

Sicchè il presupposto dell’imposizione non è stato correlato alla giocata in sè, ma alla prestazione di un servizio, che è, appunto, il servizio di gioco. Il prelievo colpisce dunque il prodotto che è offerto al consumatore tramite l’organizzazione dell’attività, sotto forma di servizio.

4. E queste ragioni di ordine storico e sistematico innervano il quadro normativo odierno, che è così articolato:

– conformemente al D.Lgs. 23 dicembre 1998, n. 504, art. 1, volto al riordino dell’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse, a norma della L. 3 agosto 1998, n. 288, art. 1, comma 2, l’imposta unica è dovuta per i concorsi pronostici e le scommesse di qualunque tipo, relativi a qualunque evento, anche se svolto all’estero; il suddetto D.Lgs. n. 504 del 1988, art. 3, intitolato ai soggetti passivi, stabilisce che “Soggetti passivi dell’imposta unica sono coloro i quali gestiscono, anche in concessione, i concorsi pronostici e le scommesse”;

– a norma della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66 “(…)

a) (…) l’imposta unica (…) è comunque dovuta ancorchè la raccolta del gioco, compresa quella a distanza, avvenga in assenza ovvero in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal ministero dell’economia e delle finanze -amministrazione autonoma dei monopoli di Stato;

b) il D.Lgs. (n. 504 del 1998), art. 3, si interpreta nel senso che soggetto passivo d’imposta è chiunque, ancorchè in assenza o in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal ministero dell’economia e delle finanze – amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, gestisce con qualunque mezzo, anche telematico, per conto proprio o di terzi, anche ubicati all’estero, concorsi pronostici o scommesse di qualsiasi genere. Se l’attività è esercitata per conto di terzi, il soggetto per conto del quale l’attività è esercitata è obbligato solidalmente al pagamento dell’imposta e delle relative sanzioni”;

– il D.M. economia e finanze 1 marzo 2006, n. 111, art. 16, prevede che il concessionario effettui il pagamento delle somme dovute a titolo di imposta unica;

– ai sensi della L. 23 dicembre 2014, n. 190, art. 1, comma 644, lett. g), l’imposta unica si applica “su di un imponibile forfetario coincidente con il triplo della media della raccolta effettuata nella provincia ove è ubicato l’esercizio o il punto di raccolta, desunta dai dati registrati nel totalizzatore nazionale per il periodo d’imposta antecedente a quello di riferimento”.

4. Questo quadro normativo è stato sottoposto al vaglio e della Corte costituzionale e della Corte di giustizia, che ne hanno compiutamente esaminato le relazioni rispettivamente con la Costituzione e col diritto unionale prospettate nell’odierno ricorso, fornendo chiari elementi per la soluzione degli ulteriori dubbi prospettati con la memoria illustrativa.

5. La Corte costituzionale (con la sentenza 23 gennaio 2018, n. 27) ha dato atto dell’incertezza correlata all’interpretazione del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3, per il periodo antecedente alla disposizione interpretativa del 2010 (nel senso che era incerto se la pretesa impositiva si potesse rivolgere anche nei confronti dei soggetti che operavano al di fuori del sistema concessorio); ma ha riconosciuto che il legislatore con la L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, da un canto ha stabilito che l’imposta è dovuta anche nel caso di scommesse raccolte al di fuori del sistema concessorio e, d’altro canto, ha esplicitato l’obbligo delle ricevitorie operanti, come nel caso in esame, per conto di bookmakers privi di concessione al versamento del tributo e delle relative sanzioni.

A questo riguardo ha escluso che l’equiparazione, ai fini tributari, del “gestore per conto terzi” (ossia del titolare di ricevitoria) al “gestore per conto proprio” (ossia al bookmaker) sia irragionevole.

Entrambi i soggetti, difatti, ha sottolineato quella Corte, partecipano, sia pure su piani diversi e secondo diverse modalità operative, allo svolgimento dell’attività di “organizzazione ed esercizio” delle scommesse soggetta a imposizione. In particolare, ha rimarcato, il titolare della ricevitoria, benchè non partecipi direttamente al rischio connaturato al contratto di scommessa, svolge comunque un’attività di gestione, perchè assicura la disponibilità di locali idonei e la ricezione della proposta, si occupa della trasmissione al bookmaker dell’accettazione della scommessa, dell’incasso e del trasferimento delle somme giocate, nonchè del pagamento delle vincite secondo le procedure e le istruzioni fornite dal bookmaker.

6. Della sussistenza di autonomi rapporti obbligatori – che ai fini tributari sono avvinti dal nesso di solidarietà per conseguenza paritetica, e non già dipendente – non dubita, d’altronde, la giurisprudenza civile di questa Corte, la quale, sia pure con riguardo al gioco del lotto, ha chiarito, appunto, che sono due i rapporti obbligatori, quello concluso tra lo scommettitore e il raccoglitore e quello che si instaura tra lo scommettitore ed il gestore (Cass. 27 luglio 2015, n. 15731).

E la stessa giurisprudenza penale citata in memoria dai contribuenti (ossia Cass. 9 luglio 2020, n. 25439) evidenzia la rilevanza dei ruolo del ricevitore appartenente alla rete distributiva del bookmaker (punto 5), consistente nella “…raccolta e trasmissione delle scommesse per conto di quest’ultimo, rilasciando le ricevute emesse dal terminale di gioco – con le annesse attività di incasso delle poste e di pagamento delle eventuali vincite -…”.

7. Sicchè, ha concluso la Corte costituzionale, quanto al ricevitore l’attività gestoria che costituisce il presupposto dell’imposizione va riferita alla raccolta delle scommesse, il volume delle quali determina anche la provvigione della ricevitoria e per conseguenza il suo stesso rischio imprenditoriale.

Nè, ha aggiunto, la scelta di assoggettare all’imposta i titolari delle ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione viola il principio di capacità contributiva, nei limiti in cui il rapporto tra il titolare della ricevitoria che agisce per conto di terzi e il bookmaker sia disciplinato da un contratto che regoli anche le commissioni dovute al titolare della ricevitoria per il servizio prestato. Ciò perchè attraverso la regolazione delle commissioni il titolare della ricevitoria ha la possibilità di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera.

8. La rivalsa svolge quindi funzione applicativa del principio di capacità contributiva, poichè redistribuisce tra i coobbligati, bookmaker e ricevitoria, che hanno comunque realizzato, sia pure in vario modo, il presupposto impositivo, il carico fiscale in relazione alla partecipazione di ognuno a tale realizzazione.

Per conseguenza la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3 e della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, lett. b), nella sola parte in cui prevedono che, nelle annualità d’imposta precedenti al 2011, siano assoggettate all’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse le ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione. In quel periodo non si può difatti procedere alla traslazione dell’imposta, perchè l’entità delle commissioni già pattuite fra ricevitorie e bookmaker si era già cristallizzata sulla base del quadro precedente alla L. n. 220 del 2010.

Quella Corte ha anche chiarito (punto 4.5) che, in mancanza di regolazione degli effetti transitori e in considerazione della natura interpretativa della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, lett. b), la disposizione va applicata anche ai rapporti negoziali perfezionatisi prima della sua entrata in vigore.

10. Ciò precisato, va considerato che nel presente giudizio oggetto di rilievo è la sola posizione della società bookmaker.

Tale circostanza assume rilevanza in quanto le ragioni di doglianza comunque articolate nel ricorso e che attengono alla posizione della ricevitoria sono da considerarsi inammissibili.

Invero, non può seguirsi la linea difensiva della ricorrente secondo cui l’obbligazione solidale del bookmaker privo di concessione, delineata dalla disposizione interpretativa del 2010, sarebbe da qualificarsi quale dipendente, con la conseguenza che, venendo meno la configurabilità della responsabilità principale della ricevitoria, correlativamente verrebbe meno anche quella dipendente del bokmaker.

Si è già evidenziato che la Corte costituzionale, con la menzionata pronuncia, ha chiarito che entrambi i soggetti (la ricevitoria e il bookmaker), partecipano, sia pure su piani diversi e secondo diverse modalità operative, allo svolgimento dell’attività di “organizzazione ed esercizio” delle scommesse soggetta a imposizione, sicchè entrambe svolgono l’attività gestoria delle scommesse.

Ed è proprio in tale prospettiva, infatti, che la pronuncia di incostituzionalità della disposizione interpretativa, se da un lato ha inciso sulla parte della stessa in cui ha configurato, per il periodo precedente all’entrata in vigore, la responsabilità della ricevitoria, non ha in alcun modo fatto venire meno la responsabilità del bookmaker privo di concessione.

Le considerazioni sopra espresse costituiscono i profili di fondo sulla cui linea deve ritenersi che le ragioni di censura prospettate sono infondate.

11. Ne consegue anzitutto che per le annualità d’imposta antecedenti al 2011 non rispondono le ricevitorie, ma rispondono i bookmaker, con o senza concessione, in base alla combinazione del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3 e della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, lett. a), usciti indenni dal vaglio di legittimità costituzionale, così come i bookmaker ma anche le ricevitorie rispondono per i periodi successivi; per cui la censura, quanto al periodo di imposta 2012, che viene in considerazione nel caso in esame, con riguardo alla sola posizione del bookmaker, è infondata.

In particolare:

– è infondato il secondo motivo, col quale si fa leva sui principi di uguaglianza e di ragionevolezza delle leggi, già esaminati da Corte Cost. n. 27/18. Nè può, in questo ambito, trovare fondamento l’ulteriore profilo di censura, pure prospettato nell’ambito del presente motivo di ricorso, relativo alla irragionevolezza della norma interpretativa nella parte in cui, prevedendo la imponibilità anche delle scommesse a quota fissa offerte con modalità transfrontaliera in assenza di concessione, non ha tenuto conto che il movimento delle suddette scommesse, proprio in quanto realizzate fuori sistema, non viene rilevato, sicchè la base imponibile viene determinata senza considerare il movimento netto reale, essendo le stesse escluse dalla formazione del movimento netto che determina l’applicazione delle aliquote, con la conseguenza che verrebbero applicate aliquote superiori a quelle che avrebbero dovuto applicarsi per legge. Il profilo di censura è invero inammissibile per difetto di specificità, posto che parte ricorrente postula solo in astratto la circostanza che l’applicazione della disciplina di determinazione del movimento netto sul quale commisurare l’aliquota dell’imposta unica anche nel caso di scommettitore privo di concessione, avrebbe determinato l’applicazione dell’aliquota massima che diversamente, ove si fossero considerate anche le scommesse fuori sistema, non sarebbe stata applicata.

In realtà, rispetto al criterio di commisurazione dell’aliquota secondo quanto previsto dal D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 4, comma 1, lett. b), n. 3), valevole per tutti i soggetti che svolgono l’attività di raccolta delle scommesse, in alcun modo parte ricorrente deduce o allega in ordine al fatto che l’eventuale considerazione delle scommesse “fuori sistema” avrebbe potuto incidere diversamente sulla determinazione dell’imponibile e sull’applicazione dell’aliquota operata dall’amministrazione doganale secondo le prescrizioni di legge.

– è infondato il terzo motivo di ricorso, col quale si assume che la funzione gestoria postuli l’assunzione del rischio d’impresa, l’esercizio della funzione decisionale e organizzatoria in ordine alla fissazione degli eventi oggetto di scommessa, delle quote e dei criteri di accettazione e la titolarità del rapporto giuridico di scommessa con lo scommettitore, in base alle considerazioni che precedono in ordine all’accezione di gestione del ricevitore, come illustrata da Corte Cost. n. 27/18 e confermata dalla giurisprudenza civile e penale di questa Corte; tanto più che la questione riguarderebbe il ricevitore e non anche il bookmaker;

– è infondato il quarto motivo, col quale si torna a sostenere l’irrilevanza dell’attività svolta dalla ricevitoria;

– è infondato il quinto motivo, col quale si fa leva, in relazione al ricevitore, sulla conclusione del contratto di scommessa, perchè il fatto imponibile è la prestazione di servizi consistente nell’organizzazione del gioco da parte del ricevitore e nella raccolta delle scommesse, che consiste, in relazione a ciascun scommettitore, nella valida registrazione della scommessa, documentata dalla consegna allo scommettitore della relativa ricevuta (così Cass. n. 15731/15, cit.); attività, queste, tutte svolte in Italia; ed anche in tal caso la questione riguarderebbe, comunque, il solo titolare della ricevitoria;

– è infondato il sesto motivo, là dove si sostiene che sia compatibile col principio di capacità contributiva soltanto un meccanismo d’imposizione che consenta di far gravare sui soli scommettitori l’onere del tributo, giacchè è, invece, il meccanismo di traslazione dell’imposta tra bookmaker e ricevitore a garantire l’osservanza dei principio in questione.

12. Quanto agli ulteriori profili della censura, che riguardano le prospettate frizioni col diritto unionale, l’infondatezza emerge dalla giurisprudenza unionale.

Al riguardo, giova premettere che l’imposta di cui si discute non ha natura armonizzata; sicchè i giochi d’azzardo rilevano, ai fini del diritto unionale, in relazione alle norme concernenti la libera prestazione di servizi presidiata dall’art. 56 TFUE (Corte giust. 26 febbraio 2020, causa C-788/18, punto 17).

Inoltre, nel settore dei giochi d’azzardo con poste in danaro, secondo costante giurisprudenza unionale, gli obiettivi di tutela dei consumatori, di prevenzione dell’incitamento a una spesa eccessiva collegata al gioco, nonchè di prevenzione di turbative dell’ordine sociale in generale costituiscono motivi imperativi d’interesse generale atti a giustificare restrizioni alla libera prestazione di servizi: per conseguenza, in assenza di un’armonizzazione unionale della normativa sui giochi d’azzardo, ogni Stato membro ha il potere di valutare, alla luce della propria scala di valori, le esigenze che la tutela degli interessi in questione implica, a condizione che le restrizioni non minino i requisiti di proporzionalità (Corte giust. 24 ottobre 2013, causa C-440/12, punto 47; 8 settembre 2009, causa C-42/07).

E l’Italia ha proceduto a questa valutazione, dichiarando, nella L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 64, i propri obiettivi, tra i quali si colloca “…l’azione per la tutela dei consumatori, in particolare dei minori di età, dell’ordine pubblico, della lotta contro il gioco minorile e le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore del gioco e recuperando base imponibile e gettito a fronte di fenomeni di elusione e di evasione fiscale nel medesimo settore”.

La prevalenza dell’ordine di valori di ciascuno Stato membro comporta che gli Stati membri non hanno l’obbligo di adeguare il proprio sistema fiscale ai vari sistemi di tassazione degli altri Stati, al fine di eliminare la doppia imposizione che risulta dal parallelo esercizio della rispettiva competenza fiscale (Corte giust. in causa C788/18, cit., punto 23; per analogia, Corte giust. 1 dicembre 2011, causa C-253/09, punto 83).

in questo contesto la normativa italiana, si anticipava, ha superato il vaglio della giurisprudenza unionale.

La Corte di giustizia ha escluso qualsivoglia discriminazione tra bookmakers nazionali e bookmakers esteri, perchè l’imposta unica si applica a tutti gli operatori che gestiscono scommesse raccolte sul territorio italiano, senza distinzione alcuna in funzione del luogo in cui essi sono stabiliti (punto 21 di Corte giust. in causa C-788/18), di modo che la normativa italiana “non appare atta a vietare, ostacolare o rendere meno attraenti le attività di una società, quale la Stanleybet Malta, nello Stato membro interessato”.

Anzi, come ha sottolineato la Corte costituzionale (ancora con la sentenza n. 27/18), a seguire la tesi prospettata in ricorso e ribadita in memoria si giungerebbe ad una discriminazione al contrario: la scelta legislativa “risponde ad un’esigenza di effettività del principio di lealtà fiscale nel settore del gioco, allo scopo di evitare l’irragionevole esenzione per gli operatori posti al di fuori del sistema concessorio, i quali finirebbero per essere favoriti per il solo fatto di non aver ottenuto la necessaria concessione…”.

Nè v’è l’incongruenza, segnalata in memoria, tra i punti 17, 26 e 28 di quella sentenza.

Col punto 17, in relazione al bookmaker, ci si limita a stabilire in via generale che la libera prestazione di servizi non tollera restrizioni idonee a vietare, ostacolare o a rendere meno attraenti le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro; ma col punto 24 si specifica, in concreto, che, “…la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale non prevede un regime fiscale diverso a seconda che la prestazione di servizi sia effettuata in Italia o in altri Stati membri”; sicchè, si conclude col punto 24, “…rispetto a un operatore nazionale che svolge le proprie attività alle stesse condizioni di tale società, la Stanleybet Malta non subisce alcuna restrizione discriminatoria a causa dell’applicazione nei suoi confronti di una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale”.

Quanto al centro trasmissione dati, col punto 26 ci si limita a ribadire che il bookmaker estero esercita un’attività di gestione di scommesse “allo stesso titolo degli operatori di scommesse nazionali” ed è per questo che il centro di trasmissione dati che opera quale suo intermediario risponde dell’imposta, a norma della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, lett. b).

Ma ciò non toglie, si aggiunge col punto 28, che la situazione del centro trasmissione dati che trasmette i dati di gioco per conto degli operatori di scommesse nazionali è diversa da quella del centro trasmissione che li trasmette per conto di un operatore che ha sede in altro Stato membro.

La statuizione non è affatto oscura, come si deduce in memoria, giacchè la diversità della situazione è in re ipsa, per il fatto stesso che si tratta di soggetto che raccoglie scommesse per conto di un bookmaker estero: nel settore dei giochi d’azzardo, difatti, il ricorso al sistema delle concessioni costituisce “…un meccanismo efficace che consente di controllare gli operatori attivi in questo settore, allo scopo di prevenire l’esercizio di queste attività per fini criminali o fraudolenti” (Corte giust. 19 dicembre 2018, causa C-375/17, Stanley International Betting e Stanleybet Malta, punto 66, richiamata al punto 18 della sentenza in causa C-788/18, cit.); e ciò in conformità agli obiettivi perseguiti dal legislatore italiano, dinanzi indicati, come puntualmente rimarcato dalla Corte di giustizia. Di qui l’esclusione, anche con riguardo alla posizione del centro trasmissione dati, di qualsiasi restrizione discriminatoria.

13. Risulta quindi infondato anche il primo motivo di ricorso, col quale si prospettano le questioni di parità di trattamento e non discriminazione già risolte dalla Corte di giustizia.

14. In questo quadro, la giurisprudenza penale di questa Corte citata in memoria, già dinanzi richiamata, è irrilevante.

Essa si riferisce difatti alla diversa questione della rilevanza penale dell’attività d’intermediazione e di raccolta delle scommesse, che questa Corte ha escluso, in base alla giurisprudenza unionale, qualora l’attività di raccolta sia compiuta in Italia da soggetti appartenenti alla rete commerciale di un bookmaker operante nell’ambito dell’Unione Europea che sia stato illegittimamente escluso dai bandi di gara attributivi delle concessioni: e ciò perchè in tal caso rileva la non conformità agli artt. 49 e 56 TFUE, del regime concessorio interno. Difatti, ha sottolineato questa Corte con la sentenza in questione, “In forza dei principi affermati dalla Corte di giustizia…, il mancato rispetto della disciplina amministrativa che non sia conforme al diritto dell’Unione Europea non può comportare l’applicazione di sanzioni penali”.

Ma il fatto che quel bookmaker non risponda del reato di esercizio abusivo di attività di giuoco o discommessa, previsto e punito dalla L. 13 dicembre 1989, n. 401, art. 4, commi 1 e 4-bis, nessuna influenza produce sulla soggettività passiva della imposta unica sulle scommesse, che il D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3, riferisce a chiunque, con o senza concessione, gestisce i concorsi pronostici o le scommesse.

15. Non si ravvisa quindi necessità alcuna di promuovere dinanzi alla Corte di giustizia le questioni sollecitate in memoria che, per un verso, si risolvono in una critica della sentenza resa nella causa C788/18, che si rivela sterile per le ragioni esplicate, e, per altro verso, sembra postulare che la Corte di giustizia abbia riconosciuto nella propria giurisprudenza precedente la legittimità della gestione delle attività connesse a giochi d’azzardo in regime di libera prestazione per il tramite dei centri di trasmissione dati. Laddove, come quella stessa Corte ha sottolineato, essa, “…pur avendo constatato l’incompatibilità con il diritto dell’Unione di alcune disposizioni delle gare avviate per l’attribuzione di contratti di concessione di servizi connessi ai giochi d’azzardo, non si è pronunciata sulla legittimità della gestione delle attività connesse a giochi d’azzardo in regime di libera prestazione per il tramite dei CTD in quanto tale” (Corte giust., in causa C-375/17, cit., punto 67).

16. Il ricorso per cassazione va quindi rigettato.

Ferma restando la compensazione delle spese per il giudizio di merito, già disposta dalla CTR, l’intervento risolutore delle questioni, in epoca successiva alla proposizione del ricorso da parte della Corte Costituzionale e della Corte di Giustizia, giustifica la compensazione delle spese anche relativamente al presente giudizio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della società ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

LA CORTE, Rigetta il ricorso, compensa le spese di questo giudizio. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della società ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 21 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2021

 

 

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