Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9731 del 18/04/2017
Cassazione civile, sez. lav., 18/04/2017, (ud. 19/01/2017, dep.18/04/2017), n. 9731
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –
Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –
Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –
Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –
Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso 8844/2011 proposto da:
V.N., titolare dell’omonima ditta individuale, C.F.
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MARIANNA DIONIGI
17, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO SANTUCCI, rappresentato e
difeso dagli avvocati ROBERTO FIORI, LUCA NEGRINI, giusta delega in
atti;
– ricorrente –
contro
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.
(OMISSIS), in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro
tempore, in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A.
Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.F. (OMISSIS),
elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso
l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli
avvocati ANTONINO SGROI, CARLA D’ALOISIO, LELIO MARITATO, giusta
delega in atti;
– controricorrenti –
e contro
EQUITALIA NOMOS S.P.A. – AGENTE PER LA RISCOSSIONE PER LA PROVINCIA
DI (OMISSIS);
– intimata –
avverso la sentenza n. 850/2010 della CORTE D’APPELLO di TORINO,
depositata il 11/10/2010 r.g.n. 1073/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
19/01/2017 dal Consigliere Dott. LUIGI CAVALLARO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
CELESTE Alberto, che ha concluso per l’accoglimento del primo
motivo, assorbimento del secondo motivo del ricorso;
udito l’Avvocato LUCA NEGRINI;
udito l’Avvocato EMANUELE DE ROSE.
Fatto
RILEVATO IN FATTO
che, con sentenza depositata l’11.10.2010, la Corte d’appello di Torino, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha condannato V.N., n.q. di titolare dell’omonima ditta individuale, a pagare all’INPS i contributi dovuti sulle somme corrisposte ai propri dipendenti a titolo di indennità di trasferta nella misura di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 51, comma 6;
che la Corte, per quanto qui rileva, ha ritenuto che la ditta, che in quanto esercente lavori di impiantistica in cantieri itineranti corrisponde ai propri dipendenti nei giorni di presenza e di svolgimento di attività al di fuori del comune dove ha sede un’indennità di trasferta non eccedente i limiti di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 48 (ora art. 51), fosse tenuta a commisurare i contributi dovuti all’INPS su tale indennità nella misura dovuta per le indennità corrisposte ai lavoratori c.d. trasfertisti, in luogo del minore (o nullo) importo dovuto invece per le indennità corrisposte ai lavoratori in caso di trasferta;
che contro tale pronuncia ha proposto ricorso V.N., con due motivi di censura, illustrati con memoria, con i quali ha lamentato, rispettivamente, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 51, per avere la Corte di merito ritenuto che i contributi dovuti sull’indennità corrisposta ai propri dipendenti dovessero essere assoggettati al regime di cui all’art. 51 cit., comma 6, e dunque commisurati al cinquanta per cento del valore dell’indennità, nonostante che detta indennità non venisse corrisposta allorchè essi prestavano la propria attività presso la sede dell’impresa ovvero presso cantieri situati entro un raggio di 20 km dal comune dove l’impresa stessa ha sede, e la violazione e falsa applicazione dell’art. 26 CCNL 27.11.1997 per i dipendenti di imprese metalmeccaniche artigiane, per non avere la Corte territoriale considerato che esso esclude la natura retributiva dell’indennità di trasferta corrisposta ai lavoratori che prestino la propria opera fuori dalla sede dell’impresa;
che l’INPS ha resistito con controricorso, eccependo tra l’altro l’improcedibilità del ricorso, limitatamente al secondo motivo, per mancato deposito del contratto collettivo invocato a sostegno della censura.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
che questa Corte ha già avuto modo di stabilire che il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 51, comma 6, non richiede per la sua applicazione che le indennità e le maggiorazioni ivi previste siano corrisposte in maniera fissa e continuativa e anche indipendentemente dalla effettuazione della trasferta e dal tipo di essa, rilevando unicamente che si tratti di erogazione corrispettiva dell’obbligo contrattuale assunto dal dipendente di espletare normalmente le proprie attività lavorative in luoghi sempre variabili e diversi, quindi al di fuori di una qualsiasi sede di lavoro prestabilita, e restando irrilevanti le modalità di erogazione dell’indennità (cfr. in tal senso Cass. nn. 396 e 3824 del 2012, 22796 del 2013);
che in argomento è adesso intervenuto il D.L. n. 193 del 2016, art. 7 quinquies, (conv. con L. n. 225 del 2016), il quale, nel dettare disposizioni in materia di “Interpretazione autentica in materia di determinazione del reddito di lavoratori in trasferta e trasfertisti”, ha disposto, al comma 1, che “l’art. 51, comma 6, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917”, debba interpretarsi “nel senso che i lavoratori rientranti nella disciplina ivi stabilita sono quelli per i quali sussistono contestualmente le seguenti condizioni: a) la mancata indicazione, nel contratto o nella lettera di assunzione, della sede di lavoro; b) lo svolgimento di un’attività lavorativa che richiede la continua mobilità del dipendente; c) la corresponsione al dipendente, in relazione allo svolgimento dell’attività lavorativa in luoghi sempre variabili e diversi, di un’indennità o maggiorazione di retribuzione in misura fissa, attribuite senza distinguere se il dipendente si è effettivamente recato in trasferta e dove la stessa si è svolta”, precisando poi, al comma 2, che “Ai lavoratori ai quali, a seguito della mancata contestuale esistenza delle condizioni di cui al comma 1, non è applicabile la disposizione di cui all’art. 51, comma 6, del testo unico di cui al citato D.P.R. n. 917 del 1986, è riconosciuto il trattamento previsto per le indennità di trasferta di cui al medesimo art. 51, comma 5”;
che il legislatore, prevedendo che i tre requisiti della “mancata indicazione, nel contratto o nella lettera di assunzione, della sede di lavoro”, dello “svolgimento di un’attività lavorativa che richiede la continua mobilità del dipendente” e della “corresponsione al dipendente (…) di un’indennità o maggiorazione di retribuzione in misura fissa, attribuite senza distinguere se il dipendente si è effettivamente recato in trasferta e dove la stessa si è svolta”, debbano essere presenti “contestualmente”, ai fini dell’applicazione della disciplina retributiva (e contributiva) del c.d. trasfertismo, ha all’evidenza inteso disattendere l’orientamento fatto proprio da questa Corte nelle sentenze dianzi citate, secondo cui, all’opposto, il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 51, comma 6, non richiederebbe per la sua applicazione che le indennità e le maggiorazioni ivi previste siano corrisposte in maniera fissa e continuativa e anche indipendentemente dalla effettuazione della trasferta e dal tipo di essa (cfr. espressamente in tal senso Cass. n. 396 del 2012);
che, tuttavia, l’intervento del legislatore, ancorchè autodefinitosi di interpretazione autentica del testo del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 51, comma 6, pare attribuire a quest’ultimo un significato che non poteva in alcun modo essere incluso nel novero dei suoi significati possibili, dal momento che la disposizione asseritamente interpretata contempla “Le indennità e le maggiorazioni di retribuzione spettanti ai lavoratori tenuti per contratto all’espletamento delle attività lavorative in luoghi sempre variabili e diversi, anche se corrisposte con carattere di continuità”, e, da un punto di vista grammaticale, l’impiego della locuzione congiuntiva “anche se” ha valore concessivo, indicando un fatto nonostante il quale si verifica ugualmente l’azione descritta nella proposizione reggente (ossia, nel caso di specie, che dette indennità e maggiorazioni “concorrono a formare il reddito nella misura del 50% del loro ammontare”);
che, essendo il significato proprio delle parole secondo la connessione di esse ritenuto decisivo dall’art. 12 preleggi, ai fini dell’interpretazione della legge (v. in tal senso Cass. n. 1111 del 2012, ove ampi riferimenti alla giurisprudenza di questa Corte), sembra doversi concludere che il testo dell’art. 51, comma 6, cit., non consente se non di ritenere irrilevante, ai fini dell’individuazione della nozione di trasfertista, la modalità continuativa o meno di corresponsione delle indennità in questione, per attribuire rilievo all’obbligo contrattuale assunto dal dipendente di espletare normalmente le proprie attività lavorative in luoghi sempre variabili e diversi e quindi al di fuori di una qualsiasi sede di lavoro prestabilita (così, espressamente, ancora Cass. n. 396 del 2012);
che, potendo essere riconosciuto carattere interpretativo soltanto a quelle disposizioni che hanno il fine obiettivo di chiarire il senso di norme preesistenti ovvero di escludere o di enucleare uno dei sensi fra quelli ritenuti ragionevolmente riconducibili alla norma interpretata, allo scopo di imporre a chi è tenuto ad applicare la disposizione considerata un determinato significato normativo (v. tra le più recenti Corte cost. n. 314 del 2013), l’attribuzione di senso operata dal D.L. n. 193 del 2016, art. 7 quinquies, (conv. con L. n. 225 del 2016), nei confronti del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 51, comma 6, pare avere valore innovativo, avendo nei fatti il significato di sopprimere la locuzione congiuntiva “anche se”, che figura nella disposizione interpretata;
che la possibilità che il legislatore adotti disposizioni di interpretazione autentica, che è ammessa in linea generale non solo ove sussistano situazioni di incertezza nell’applicazione del diritto o siano insorti contrasti giurisprudenziali ma anche in presenza di indirizzi giurisprudenziali omogenei, trova comunque un limite nella circostanza che la scelta imposta per vincolare il significato ascrivibile alla legge anteriore rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario (v. ex plurimis Corte cost. nn. 15 del 2012, 271 del 2011, 209 del 2010, 525 del 2000), dovendo altrimenti ritenersi che la disposizione asseritamente interpretativa non abbia valore che per l’avvenire, giusta la previsione generale di cui all’art. 11 preleggi;
che la questione del calcolo dei contributi dovuti sulle indennità corrisposte dal datore di lavoro ai dipendenti che prestano la loro opera al di fuori della sede dell’impresa ha dato luogo, nel tempo, ad un rilevante contenzioso, che ha visto susseguirsi plurimi e contrastanti interventi del legislatore e di questa stessa Corte, di talchè, apparendo la questione di massima di particolare importanza ex art. 374 c.p.c., comma 2, il Collegio reputa opportuno disporre la rimessione della presente controversia al Primo Presidente, affinchè valuti la sua assegnazione alle Sezioni Unite.
PQM
La Corte rimette il ricorso al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 19 gennaio e del 30 marzo 2017.
Depositato in Cancelleria il 18 aprile 2017