Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9731 del 13/05/2015


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 9731 Anno 2015
Presidente: DI BLASI ANTONINO
Relatore: CHINDEMI DOMENICO

SENTENZA

sul ricorso 14688-2010 proposto da:
COMUNE DI BARANO D’ISCHIA in persona del Sindaco pro
tempore, domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la
cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato
e difeso dall’Avvocato PIERPAOLO PELOSI giusta delega

Data pubblicazione: 13/05/2015

in calce;
– ricorrente –

2015

contro

1339

EDILTORRE SRL;
– intimato Nonché da:
EDILTORRE SRL in persona del legale rappresentante

r

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA
ATANASIO KIRCHER 7, presso lo studio dell’avvocato
STEFANIA IASONNA, rappresentato e difeso dagli
avvocati ERNESTO PROCACCINI, BUONO GIORGIO giusta
delega a margine;
– controricorrente incidentale contro

COMUNE DI BARANO D’ISCHIA;

Intimato

avverso la sentenza n. 67/2009 della COMM.TRIB.REG.
di NAPOLI, depositata il 03/04/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 08/04/2015 dal Consigliere Dott. DOMENICO
CHINDEMI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. SERGIO DEL CORE che ha concluso per il
rigetto del ricorso principale e raccoglimento del
ricorso incidentale.

e

14688/10
Fatto
Con sentenza n.67/17/09, depositata il 3.4.2009 la Commissione Tributaria
Regionale della Campania respingeva l’appello proposto dal Comune di Barano
d’Ischia avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Napoli
n.517/23/2007 che aveva annullato, nei confronti della società Ediltorre s.r.1., gli
avvisi di accertamento TARSU per gli.anni 2001-2005
affermato già nella sentenza di primo grado, che il ricorrente aveva dimostrato di
provvedere in proprio allo smaltimento dei rifiuti derivanti dalla lavorazione, non
assimilabili ai rifiuti solidi urbani neanche a seguito della delibera comunale
8.8.1998, n. 32.
Il Comune di Barano d’Ischia impugna la sentenza della Commissione Tributaria
Regionale deducendo i seguenti motivi:
a) violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 21 D.lgs 22/97,in relazione all’art.
360 n. 3 c.p.c., ritenendo che la delibera del Consiglio comunale 8.8.1998,n. 32
non deve considerarsi tassativa relativamente alla assimilazione dei rifiuti
speciali non nocivi a quelli urbani, rientrandovi anche i materiali prodotti dalla
società;
b) violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione agli artt. 62 e 70
D.lgs 507/93,in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., e vizio di motivazione in ordine
alla prova della superficie destinata alla produzione di rifiuti speciali non
assimilati e delle condizioni di esenzione o esonero Tarsu che grava sul
contribuente che non ha fornito la relativa prova
La intimata si è costituita con controricorso, formulando anche ricorso incidentale,
censurando la compensazione delle spese da parte della ctr senza alcuna motivazione
al riguardo.
La società ha presentato memoria.
Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 8.4.2015, in cui il PG ha concluso
come in epigrafe.
Motivi della decisione
Il ricorso è fondato nei limiti che saranno evidenziati.
I motivi di ricorso, in quanto logicamente connessi vanno trattati unitariamente.
La questione controversa concerne l’esenzione dalla Tarsu, relativamente al Comune
1

Rilevava al riguardo la Commissione Tributaria Regionale, confermando quanto

di Barano D’Ischia per gli anni dal 2001 al 2005 della società intimata, esercente
attività di commercio e lavorazione all’ingrosso e dettaglio di materiale per l’edilizia
su una superficie complessiva di mq 3.104, dei quali, però solo 800 erano utilizzati
per l’esposizione e vendita, mentre la rimanente area era utilizzata per la lavorazione
e stoccaggio di detto materiale, dovendosi accertare se la predetta azienda, in base al
regolamento comunale, produceva rifiuti speciali assimilabili agli urbani, quindi
tassabili, oppure rifiuti speciali che, per qualità e quantità, non ne consentivano la
Ulteriore tematica concerne la possibilità, nel primo caso, di sottrarsi alla privativa
comunale, ai sensi del D.Lgs. n. 22 del 1997, per i produttori di rifiuti assimilati che
dimostrino di aver avviato al recupero i rifiuti stessi e di usufruire di eventuali
riduzioni o esenzioni nel caso in cui il servizio di raccolta, sebbene istituito ed
attivato, non venga svolto nella zona ove è ubicato l’immobile aziendale,ovvero sia
stato effettuato in modo irregolare.
Sono parzialmente fondati, nei limiti che saranno specificati, entrambi i motivi di
ricorso.
Va premesso che la delibera del Consiglio comunale 8.8.1998,n. 32 del Comune di
Barano D’Ischia che stabilisce la assimilabilità dei rifiuti speciali a quelli urbani non
ha carattere tassativo, ma esemplificativo, come desumibile dal corpo stesso della
delibera, dovendosi ritenere assimilati rframmenti e manufatti di stucco essiccati e
manufatti in ferro” (indicati nella delibera) ai “conglomerati di cemento armato,
bolocchi di pietra, laterizi, materiali di risulta per le cotruzioni,” prodotti dalla società
intimata.
La CTR ha erroneamente affermato la natura tassativa di tale elenc azione (pag. 4
sentenza CTR)
La società riconosce (pag. 2 controricorso) che della supérficie complessiva, mq 800
erano utilizzati per l’esposizione e la vendita del materiale e, pertanto su tale area è
dovuta la Tarsu per intero, trattandosi di superfici destinate allo svolgimento di
attività commerciali.
Relativamente alla residua superficie questa Corte ha già statuito, al riguardo, che per
effetto dell’art. 17, comma terzo, della legge 24 aprile 1998, n. 128, che ha abrogato
l’art. 39 della legge 26 febbraio 1994, n. 146, è venuta meno l’assimilazione “ope
legis” ai rifiuti urbani di quelli provenienti dalle attività artigianali, commerciali e di
servizi, purché aventi una composizione merceologica analoga a quella urbana,
2

tassazione.

secondo i dettagli tecnici contenuti nella deliberazione CIPE del 27 luglio 1984, con
la conseguenza che è divenuto pienamente operante l’art. 21, comma 2, lettera g), del
d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, che ha attribuito aiComuni la facoltà di assimilare o
meno ai rifiuti urbani quelli derivanti dalle attività economiche Pertanto, con
riferimento alle annualità di imposta dal 1997 in poi, assumono decisivo rilievo le
indicazioni proprie dai regolamenti comunali circa l’assimilazione dei rifiuti
provenienti dalle attività economiche ai rifiuti urbani ordinari (Cass.Sez. 5, Sentenza
Con l’entrata in vigore del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, e quindi a partire da tale
annualità d’imposta, era stato, quindi, restituito ai Comuni (Cass. nn. 18303/2004,
18382/2004) il potere di assimilare ai rifiuti urbani ordinari alcune categorie di rifiuti
speciali, fra cui quelli prodotti da ditte commerciali, anche “per qualità e quantità”
(art. 21, comma 2, lett. g).
Nel caso di specie i rifiuti prodotti dalla società intimata neilimiti anzidetti, devono
essere assimilati ai rifiuti ordinari e, quindi, soggetti al pagamento della tassa, in
forza della delibera del Consiglio comunale 8.8.1998,n. 32 a prescindere dal fatto che
il produttore provveda a proprie spese allo smaltimento.
Tuttavia devono ritenersi sussistenti limitazioni al pagamento integrale della tassa
dovendosi verificare, oltre al fatto accertato che la contribuente ha provveduto
all’avviamento al recupero dei rifiuti medesimi, se il servizio di raccolta e
smaltimento, per l’anno 2009, di fatto fosse stato attivato o meno e se il Comune
disponeva dei mezzi tecnici necessari per l’effettivo svolgimento del servizio stesso.
Il D.P.R. n. 158 del 1999, art. 7 prevede non già l’esenzione dall’imposta, ma soltanto
una sua riduzione nel caso in cui i rifiuti speciali assimilati a quelli urbani (come
quelli in esame) vengano avviati a recupero direttamente dal produttore, purché il
servizio sia istituito e sussista la possibilità dell’utilizzazione;
La possibilità di sottrarsi, entro certi limiti, alla privativa comunale è riconosciuta, a
norma del D.Lgs. n. 22 del 1997, ai produttori di rifiuti assimilati che dimostrino come avvenuto nella fattispecie – di aver avviato al recupero i rifiuti stessi.
Il capo 3^ del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, istituisce la tassa per il servizio di
smaltimento dei rifiuti solidi urbani interni, svolto in regime di privativa dai Comuni
(art. 58), disciplinando la attivazione del servizio, di raccolta e di smaltimento,
prevedendo che se il servizio di raccolta, sebbene istituito ed attivato, non è svolto
nella zona di esercizio dell’attività dell’utente, o è effettuato in grave violazione delle
3

n. 21342 del 07/08/2008; Cass Sez. 5, Sentenza n. 14816 del 18/06/2010)

prescrizioni del relativo regolamento, il tributo è dovuto in misura ridotta (art. 59);
circa il presupposto della tassa, è previsto che la stessa “è dovuta per l’occupazione o
la detenzione di locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti (….), esistenti nelle
zone del territorio comunale in cui il servizio è istituito ed attivato o comunque reso
in maniera continuativa nei modi previsti dagli artt. 58 e 59”, e che “nella
determinazione della superficie tassabile non si tiene conto di quella parte di essa ove
per specifiche caratteristiche strutturali e per destinazione si formano, di regola,
proprie spese i produttori stessi in base alle norme vigenti. Ai fini della
determinazione della predetta superficie non tassabile il comune può individuare nel
regolamento categorie di attività produttive di rifiuti speciali tossici o nocivi alle
quali applicare una percentuale di riduzione rispetto alla intera superficie su cui
l’attività viene svolta” (art. 62, commi 1 e 3).
Il D.Lgs. n. 22 del 1997, emanato in attuazione delle Direttive 91/156/CEE sui rifiuti,
91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di
imballaggio, ha previsto, nel Titolo I (“Gestione dei rifiuti”), che:
a)

la gestione dei rifiuti costituisce attività di pubblico interesse ed è disciplinata

al fine di assicurare un’elevata protezione dell’ambiente e controlli efficaci; i rifiuti
devono essere recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza
usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente (art. 2,
commi 1 e 2);
b)

le autorità competenti favoriscono il recupero dei rifiuti, nelle varie forme

previste (reimpiego, riciclaggio, ecc), allo scopo di ridurre lo smaltimento dei rifiuti,
che costituisce la fase residuale della “gestione” degli stessi, la quale comprende le
operazioni di raccolta, trasporto, recupero e smaltimento (aitt. 4 e 5 e art. 6, comma
1, lett. d);
c) sono rifiuti “urbani”, tra l’altro, quelli non pericolosi provenienti da locali e luoghi
adibiti ad usi diversi da quello di civile abitazione, assimilati ai rifiuti urbani per
qualità e quantità, ai sensi dell’art. 21, comma 2, lett. g), mentre sono rifiuti
“speciali”, tra l’altro, quelli “da attività commerciali” (art. 7, comma 2, lett. b e
comma 3, lett. e);
e) i Comuni “effettuano la gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati
allo smaltimento in regime di privativa”; con appositi regolamenti stabiliscono, fra
l’altro, “le disposizioni necessarie a ottimizzare le forme di conferimento, raccolta e
4

rifiuti speciali, tossici o nocivi, allo smaltimento dei quali sono tenuti a provvedere a

trasporto dei rifiuti primari di imballaggio”, nonché “l’assimilazione per qualità e
quantità dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani ai fini della raccolta e dello
smaltimento” (tale potere di assimilazione è divenuto pienamente operante a seguito
dell’abrogazione della L. n. 146 del 1994, art. 39 ad opera della L. n. 128 del 1998,
art. 17); la privativa suddetta “non si applica (….) alle attività di recupero dei rifiuti
assimilati” (dal 1 gennaio 2003, “alle attività di recupero dei rifiuti urbani o
assimilati”, ai sensi della L. n. 179 del 2002, art. 23) (art. 21, comma 1, comma 2,
Infine, l’art. 49, compreso nel Titolo 3^, ha istituito la “tariffa per la gestione dei
rifiuti urbani” (usualmente denominata TIA, “tariffa di igiene ambientale”), in
sostituzione della soppressa TARSU, prevedendo, in particolare, nella modulazione
della tariffa, agevolazioni per la raccolta differenziata, “ad eccezione della raccolta
differenziata dei rifiuti di imballaggio, che resta a carico dei produttori e degli
utilizzatoli” (comma 10), e disponendo altresì che “sulla tariffa è applicato un
coefficiente di riduzione proporzionale alle quantità di rifiuti assimilati che il
produttore dimostri di aver avviato al recupero mediante attestazione rilasciata dal
soggetto che effettua” detta attività (comma 14). 2.4. Va poi ricordato che i termini
del regime transitorio per la soppressione della TARSU e l’operatività della TIA regime introdotto dal D.P.R. n. 158 del 1999, modificato dalla L. n. 488 del 1999,
art. 33, salva la possibilità per iComuni di introdurre in via sperimentale la TIA hanno subito varie proroghe e che, infine, il D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 238
(recante “Norme in materia ambientale”) ha soppresso tale tariffa, sostituendola con
una nuova – “tariffa integrata ambientale”, come definita dal D.L. n. 208 del 2008,
convertito nella L. n. 13 del 2009, cd. TIA 2 -, e l’art. 264 ha abrogato l’intero D.Lgs.
n. 22 del 1997 (sia pur prevedendo anche in questo caso una disciplina transitoria).
Per quanto emerso, il Comune di Barano D’Ischia, almeno per gli anni in
contestazione, non ha introdotto la “tariffa Ronchi”, continuando ad applicare la
TARSU.
Risulta altresì dalle delibere citate che lo stesso Comune, nei relativi regolamenti
applicabili ratione temporis, ha assimilato i rifiuti speciali non pericolosi, ai rifiuti
urbani.
In relazione al secondo motivo di ricorso, va ribadito che incombe all’impresa
contribuente l’onere di fornire all’amministrazione comunale i dati relativi
all’esistenza ed alla delimitazione delle aree che, per il detto motivo, non concorrono
5

lett. e) e g) e comma 7).

alla quantificazione della complessiva superficie imponibile; infatti, pur operando
anche nella materia in esame – per quanto riguarda il presupposto della occupazione
di aree nel territorio comunale – il principio secondo il quale l’onere della prova dei
fatti costituenti fonte dell’obbligazione tributaria spetta all’amministrazione, per
quanto attiene alla quantificazione della tassa è posto a carico dell’interessato (oltre
all’obbligo della denuncia, D.Lgs. n. 507 del 1993, ex art. 70) un onere di
informazione, al fine di ottenere l’esclusione di alcune aree dalla superficie tassabile,

ponendosi tale esclusione come eccezione alla regola generale secondo cui al
pagamento del tributo sono astrattamente tenuti tutti coloro che occupano o
detengono immobili nel territorio comunale (Casa. nn. 4766 e 17703 del 2004, 13086
del 2006,17599 del 2009, 775 del 2011).
L’esonero dalla privativa comunale, previsto appunto in caso di detto comprovato
avviamento al recupero dall’art. 21, comma 7, del decreto Ronchi, determina, quindi,
come già evidenziato, non già la riduzione della superficie tassabile, prevista dal
D.Lgs. n. 507 del 1993, citato art. 62, comma 3, per il solo caso di produzione di
rifiuti speciali (non assimilabili o non assimilati), bensì, il diritto ad una riduzione
tariffaria determinata in concreto – a consuntivo – in base a criteri di proporzionalità
rispetto alla quantità effettivamente avviata al recupero (in virtù di quanto previsto,
in generale, già dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 67, comma 2, e poi, più
specificamente, dall’art. 49, comma 14, del decreto Ronchi e dal D.P.R. n. 158 del
1999, art. 7, comma 2, il quale, nell’approvare il “metodo normalizzato per la
determinazione della tariffa di riferimento per la gestione dei rifiuti urbani”, può,
nella fase transitoria, essere applicato dai Comuni anche ai fini della TARSU).
Ma anche se non dovesse trovare applicazione alla fattispecie l’art. 49, comma 14
D.lgs 22/99 che pur prevede una riduzione di tariffa in proporzione ai rifiuti speciali
autonomamente smaltiti, riferendosi alla TIA e non alla Tarsu, il D.P.R. n. 158 del
1999, art. 7 prevede non già l’esenzione dall’imposta, ma soltanto una sua riduzione
nel caso in cui i rifiuti speciali assimilati a quelli urbani (come quelli in esame)
vengano avviati a recupero direttamente dal produttore, purché il servizio sia istituito
e sussista la possibilità dell’utilizzazione (1′ art. 7, comma 2. D.P.R. n. 158/1999,
prevede testualmente che “per le utenze non domestiche, sulla parte variabile
della tariffa e’ applicato un coefficiente di riduzione, da determinarsi dall’ente
locale, proporzionale alle quantita’ di rifiuti assimilati che il produttore dimostri di
aver avviato a recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua
6

/

l’attivita’ di recupero dei rifiuti stessi”).
Nel caso di inadempienza del Comune tale coefficiente di riduzione, in presenza dei
presupposti indicati dalla norma, può essere individuato dal giudice tributario, non
potendosi far ricadere sul contribuente inadempienze ascrivibili al Comune.
Tale accertamento, previa cassazione della sentenza impugnata, dovrà essere
compiuto dai giudici di merito che dovranno anche verificare in concreto lo
smaltimento di tutta o parte dei rifiuti speciali da parte del produttore, l’attivazione
chiaro, nella sentenza impugnata, quale sia la natura del “servizio” del quale è stata,
rispettivamente, negata e accertata l’esistenza (di raccolta, di smaltimento, ecc.), ne’
l’oggetto del medesimo, in relazione alle varie tipologie di rifiuti; inoltre considerato anche che appare del tutto inverosimile che in un comune di notevoli
dimensioni il servizio di raccolta dei rifiuti non sia stato in radice istituito ed attivato
– va precisato che una cosa è l’istituzione e l’attivazione del servizio, altra è
l’effettività dello stesso, cioè il suo concreto svolgimento nella zona di ubicazione dei
locali e delle aree dell’utente.
L’accertamento di fatto compiuto nelle sentenze impugnate, pertanto, deve essere
effettuato in modo più congruo ed esauriente, e tenendo conto del principio secondo
il quale, se il servizio di raccolta, sebbene istituito ed attivato, è effettuato in modo
irregolare, in grave violazione delle prescrizioni del regolamento comunale, ciò
comporta non già l’esenzione dalla tassa, bensì, ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993,
art. 59, commi 2 e 4, la conseguenza che il tributo è dovuto nella misura ridotta ivi
stabilita (sempre che l’utente abbia la concreta possibilità di utilizzazione del
servizio) (Cass. nn. 19653 del 2003, 21508 del 2005, 3549 e 3721 del 2010).
La tassa non è, invece, dovuta se la società non ha avuto la concreta possibilità di
utilizzare il servizio di smaltimento.
Vanno, conseguentemente accolti, nei limiti indicati, entrambi i motivi di
ricorso,assorbito il ricorso incidentale, cassata l’impugnata sentenza con rinvio ad
altra sezione della Commissione tributaria regionale della Campania, che si
pronuncerà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
PQM
Accoglie, nei limiti indicati, il primo e secondo motivo di ricorso, assorbito il ricorso
incidentale, cassa l’impugnata sentenza con rinvio ad altra sezione della
Commissione tributaria regionale della Campania che si pronuncerà anche sulle
7

del servizio da parte del Comune per gli anni 2001 – 2005, in quanto non risulta

spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 8.4.2015

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