Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 973 del 17/01/2017

Cassazione civile, sez. I, 17/01/2017, (ud. 10/11/2016, dep.17/01/2017),  n. 973

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALVAGO Salvatore – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19764/2010 proposto da:

S.G., (c.f. (OMISSIS)), già titolare della omonima

impresa arch. S.G., mandante dell’ATI costituita con la

società (OMISSIS) S.P.A.; S.P. (c.f. (OMISSIS)),

P.G. (c.f. (OMISSIS)), questi cessionari di parte delle somme di

spettanza dell’arch. S. sul credito fatto valere da

quest’ultimo nei confronti dell’Università degli Studi di

(OMISSIS); elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZALE PORTA PIA

121, presso l’avvocato LUCREZIA VACCARELLA, che li rappresenta e

difende unitamente all’avvocato CANDIA VITO AUGUSTO, giusta procura

a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

MILANO ASSICURAZIONI S.P.A., (c.f./p.i. (OMISSIS)), in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA EMANUELE GIANTURCO 6, presso l’avvocato FILIPPO SCIUTO,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARLINO

SCOFONE, giusta procura a margine del controricorso;

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI (OMISSIS), in persona del Rettore pro

tempore, domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrenti –

contro

FALLIMENTO DELLA (OMISSIS) S.P.A.;

– intimato –

contro

TORO ASSICURAZIONI S.P.A. (c.f./p.i. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA EMANUELE GIANTURCO 6, presso l’avvocato

FILIPPO SCIUTO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

CARLINO SCOFONE, giusta procura speciale per Notaio Dott.

I.G. di (OMISSIS);

– resistente –

nonchè da:

FALLIMENTO DELLA (OMISSIS) S.P.A. (C.F. (OMISSIS)), in persona del

Curatore Dott. prof. V.M., elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DONIZETTI 7, presso l’avvocato GIROLAMO BONGIORNO, che lo

rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso e

ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

S.G., S.P., P.G., UNIVERSITA’

DEGLI STUDI DI (OMISSIS), TORO ASSICURAZIONI S.P.A., MILANO

ASSICURAZIONI S.P.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 38/2010 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 25/01/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/11/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO VALITUTTI;

udito, per la controricorrente UNIVERSITA’, l’Avvocato ETTORE

FIGLIOLIA che ha chiesto l’inammissibilità o il rigetto dei

ricorsi;

udito, per la controricorrente MILANO ASS.NI e la resistente TORO

ASS.NI, l’Avvocato FILIPPO SCIUTO che ha chiesto il rigetto dei

ricorsi;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per l’inammissibilità o in

subordine rigetto di entrambi i ricorsi.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con atto di citazione notificato il 27 dicembre 1994, la (OMISSIS) s.p.a., quale mandataria dell’ATI costituita tra la medesima e l’impresa Arch. S.G., conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Palermo, l’Università della stessa città, chiedendo dichiararsi l’illegittimità del provvedimento di rescissione, della L. 20 marzo 1865, n. 2248, all. F, ex art. 340, del contratto di appalto stipulato tra le parti in data (OMISSIS), pronunciarsi la risoluzione di detto contratto per fatto e colpa dell’amministrazione appaltante, e condannarsi la convenuta al pagamento delle somme dovute in relazione alle diverse riserve formulate nel corso del rapporto. Con successivo atto di citazione, notificato il 16 settembre 1996, l’arch. S.G., titolare dell’omonima impresa individuale, proponeva la medesima domanda, dinanzi al Tribunale di Palermo nei confronti dell’Università di (OMISSIS), del Fallimento della (OMISSIS) s.p.a., dichiarato nelle more, e di S.P. e P.G., cessionari di parte del credito dell’appaltatrice. Nel giudizio intervenivano la Milano Assicurazioni s.p.a. e la Lloyd Assicurazioni s.p.a., formulando domanda di accertamento negativo in ordine a quanto loro richiesto in pagamento dall’Università.

Il Tribunale adito – per quel che ancora interessa – riuniti i due giudizi, con sentenza n. 4568/2002, depositata il 5 ottobre 2002, in parziale accoglimento delle domande attoree, condannava l’Università degli Studi di (OMISSIS) al pagamento della quota del 99,95% della somma di Euro 3.123.170,00, oltre interessi e rivalutazione monetaria, a favore dell’impresa Arch. S.G., ed al pagamento della quota dello 0,05% a favore del Fallimento della (OMISSIS) s.p.a..

2. In parziale riforma della sentenza di prime cure, la Corte di Appello di Palermo, con sentenza n. 38/2010, depositata il 25 gennaio 2010, condannava l’Università degli Studi di (OMISSIS) al pagamento della somme di Euro 1.882.302,00, a favore dell’impresa S., di S.P. e P.G., cessionari di parte del credito dell’appaltatrice, e della curatela fallimentare, “in solido tra loro”. Il giudice del gravame, pur ritenendo che – in conseguenza del fallimento della capogruppo mandataria dell’ATI, (OMISSIS) s.p.a., il mandato conferitole dalla mandante impresa S. si fosse sciolto, ai sensi della L. Fall., art. 78 – riteneva che, stante l’irrilevanza nei confronti della stazione appaltante della suddivisione dei lavori pro-quota, tra le imprese appartenenti all’ATI, la committente fosse tenuta a pagare l’intero importo dovuto a tutti i creditori in solido tra loro. Quanto alla misura del credito, la Corte territoriale riteneva di dover ridurre l’importo liquidato dal Tribunale, sulla base delle risultanze della seconda c.t.u. disposta in sede di gravame, ed escludendo dal computo la rivalutazione monetaria, sul presupposto che si sarebbe in presenza di un debito di valuta derivante dal contratto di appalto in questione.

3. Per la cassazione di tale decisione hanno proposto, quindi, ricorso principale l’Arch. S.G., S.P. e P.G. nei confronti dell’Università degli Studi di (OMISSIS), del Fallimento della (OMISSIS) s.p.a, della Milano Assicurazioni s.p.a. e della Toro Assicurazioni s.p.a. (succeduta alla Lloyd Assicurazioni s.p.a., ora Alleanza Toro s.p.a.), sulla base di diciassette motivi.

4. I resistenti Università degli Studi di (OMISSIS), Fallimento della (OMISSIS) s.p.a., Milano Assicurazioni s.p.a. hanno replicato con controricorso, contenente, quello della curatela fallimentare, anche ricorso incidentale affidato a quattro motivi. L’intimata Alleanza Toro s.p.a. non ha svolto attività difensiva.

5. Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Osserva la Corte che i primi due motivi del ricorso incidentale del Fallimento della (OMISSIS) s.p.a. ed il diciassettesimo motivo del ricorso principale di S.G., S.P. e P.G. rivestono carattere preliminare rispetto alle altre censure, in quanto investono – da due opposte prospettive – la legittimazione dell’impresa mandante dell’ATI, arch. S.G., a richiedere direttamente il corrispettivo dell’appalto – di cui al contratto stipulato con l’Università degli Studi di (OMISSIS) in data (OMISSIS) – nei confronti dell’amministrazione appaltante, essendo intervenuto, nelle more del giudizio, il fallimento della (OMISSIS). Impresa mandataria, nonchè la misura in cui tale corrispettivo può essere richiesto dalle singole imprese facenti parte dell’ATI.

1.1. La curatela fallimentare lamenta, invero, che la Corte di Appello abbia erroneamente ritenuto sussistente la legittimazione dell’impresa S. ad agire nei confronti dell’Università di (OMISSIS), laddove la capogruppo (OMISSIS) avrebbe la rappresentanza esclusiva dell’ATI, nella sua qualità di impresa mandataria. Sicchè le eventuali domande di pagamento della mandante avrebbero dovuto essere fatte valere solo nei confronti dell’impresa mandataria ed, essendo sopravvenuto il fallimento di quest’ultima, soltanto mediante istanza di insinuazione nel passivo fallimentare.

Nè potrebbe considerarsi corretto l’assunto del giudice di seconde cure, secondo cui il mandato conferito dall’impresa S. alla (OMISSIS) s.p.a. si sarebbe sciolto, ai sensi della L. Fall., art. 78, in seguito alla dichiarazione di fallimento della società capogruppo, trattandosi di mandato irrevocabile conferito dalla mandante anche nell’interesse della mandataria, e che, pertanto, ai sensi dell’art. 1723 c.c., comma 2, non si estinguerebbe per la sopravvenuta incapacità di quest’ultima. In ogni caso, sarebbe da reputarsi erronea, ad avviso del ricorrente in via incidentale, la statuizione della Corte di merito, che ha ritenuto di condannare l’Università di (OMISSIS) al pagamento delle somme dovute a favore dell’impresa S., di S.P. e P.G., cessionari di parte del credito dell’appaltatrice, e della curatela fallimentare, “in solido tra loro”, in considerazione del carattere “orizzontale” dell’ATI costituita per l’esecuzione dell’appalto, atteso che – seppure fosse fondato l’assunto della Corte territoriale secondo cui il fallimento scioglie il mandato conferito dalla mandante – ne deriverebbe che ciascuna impresa avrebbe diritto in egual misura (per il 50% il fallimento della mandataria e per il 50% la mandante) – al corrispettivo dell’appalto, non avendo rilievo, nei confronti della stazione appaltante, la distribuzione dell’appalto pro-quota tra le imprese partecipanti all’ATI.

1.2. Ben al contrario, i ricorrenti in via principale ( S. e Piazza) sostengono che alla società mandante spetterebbe il 99.95% dei crediti derivanti dall’appalto, avendo la (OMISSIS) (all’epoca ancora in bonis) ceduto in suo favore, con atto del 9 febbraio 1995, il 49,95% della sua partecipazione all’ATI, quota che si era andata, pertanto, ad aggiungere a quella del 50% già detenuto dall’impresa S.. Rilevano, invero, gli istanti che, ai sensi del D.Lgs. n. 406 del 1991, art. 26, comma 6, i lavori eseguiti dall’ATI sono riferiti alle singole imprese riunite secondo le rispettive quote di partecipazione al raggruppamento, sicchè anche la quota dei crediti derivanti a ciascuna impresa dall’esecuzione delle opere appaltate non potrebbe che essere commisurata alla quota di partecipazione di ciascuna alla società consortile.

1.3. La censura dei ricorrenti principali è fondata, mentre vanno disattese quelle proposte dal ricorrente incidentale.

1.3.1. Questa Corte ha, invero, già avuto modo di affermare, in materia, che, in tema di appalto di opere pubbliche stipulato da due imprese riunite in associazione temporanea, il fallimento dell’impresa capogruppo, costituita mandataria dell’altra ai sensi del D.Lgs. 19 dicembre 1991, n. 406, art. 23, comma 8, determina lo scioglimento del rapporto di mandato, ai sensi della L. Fall., art. 78, con la conseguenza che l’impresa mandante è legittimata ad agire direttamente nei confronti del committente per la riscossione della quota dei crediti nascenti dall’appalto ad essa imputabile. E, del pari, la curatela fallimentare è legittimata a riscuotere dall’amministrazione il corrispettivo per l’esecuzione dell’appalto solo per la quota corrispondente a quella parte dei lavori appaltati la cui realizzazione, in base all’accordo di associazione temporanea, era di sua spettanza (cfr. Cass. 3810/2010; 23894/2013).

D’altro canto, va altresì rilevato che, in tema di mandato “in rem propriam”, ossia conferito anche nell’interesse del mandatario (o di terzi), il principio di cui all’art. 1723 c.c., comma 2, che ne prevede la non estinzione per morte o incapacità del mandante – trova applicazione in via analogica, ricorrendone la eadem legis ratio, solo in caso di fallimento del mandante, e non anche nell’ipotesi in cui ad essere dichiarato fallito sia il mandatario, non potendosi per tale circostanza ritenere derogata la regola generale dell’estinzione automatica posta dalla L. Fall., art. 78, nel testo, “ratione temporis” vigente, anteriore al D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 (Cass. 13243/2011).

1.3.2. Ne consegue che – come esattamente ritenuto dalla sentenza di prime cure – all’impresa S. non può che spettare il 99,95% dei crediti derivanti dal contratto di appalto, pari alla quota di partecipazione dell’impresa risultante dalla costituzione consortile, integrata dalla successiva cessione di quote del 9 febbraio 1995, mentre lo 0,05% va attribuito al fallimento della mandataria. La sentenza di appello che ha, invece, condannato l’ente appaltante a pagare l’intera somma dovuta ai creditori “in solido tra loro”, non può, pertanto, essere condivisa. E ciò anche in considerazione del fatto che la solidarietà attiva fra più creditori non si presume, nemmeno in caso di identità della prestazione dovuta, ma deve risultare espressamente dalla legge o da un titolo negoziale preesistente alla richiesta di adempimento, non essendo sufficiente all’esistenza del vincolo neppure l’identità qualitativa delle prestazioni (cfr. Cass. 15484/2008; 2822/2014), peraltro nel caso di specie da escludere per le ragioni che precedono.

1.4. Va, pertanto, accolto il diciassettesimo motivo del ricorso principale, mentre vanno disattesi il primo e secondo motivo del ricorso incidentale.

2. Con il primo motivo di ricorso principale e con il terzo di ricorso incidentale, S.G., S.P., P.G. ed il Fallimento della (OMISSIS) s.p.a. denunciano la violazione dell’art. 100 c.p.c. e l’omessa e insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 (nel testo applicabile ratione temporis).

2.1. I ricorrenti si dolgono del fatto che la Corte di Appello abbia ritenuto – peraltro con motivazione del tutto incongrua ed inadeguata – che gli appellanti in via incidentale (curatela fallimentare, S. e P.) non avessero interesse, ai sensi dell’art. 100 c.p.c., a chiedere la risoluzione del contratto di appalto del (OMISSIS) per fatto e colpa dell’appaltante Università di (OMISSIS), avendo il Tribunale, con statuizione condivisa dalla Corte territoriale, affermato l’illegittimità del provvedimento di rescissione del contratto, adottato dall’amministrazione appaltante con Delib. 27 maggio 1996, ossia nel corso del giudizio incardinato dalla (OMISSIS) con citazione notificata il 27 dicembre 1994. L’esclusione della negligenza dell’ATI appaltatrice, implicita nella declaratoria di illegittimità del provvedimento di rescissione della L. 20 marzo 1865, n. 2248, ex art. 340, all. F, non potrebbe, per contro, comportare a parere dei ricorrenti – il difetto di interesse della medesima appaltatrice all’accertamento dell’inadempimento della stazione appaltante, ed alla conseguente pronuncia di risoluzione del contratto, che il giudice ordinario ben potrebbe emettere, previa disapplicazione del provvedimento di rescissione reso dall’amministrazione committente.

2.2. Le doglianze sono fondate.

2.2.1. Va – per vero – osservato che, in tema di appalti di opere pubbliche, l’appaltatore può del tutto legittimamente invocare la risoluzione del contratto stipulato con l’ente committente in base alle regole generali dettate per l’inadempimento contrattuale, senza che l’eventuale provvedimento di rescissione adottato successivamente dall’Amministrazione sia di ostacolo all’esame (ed all’eventuale accoglimento) della domanda risolutoria. Ed invero, la giurisdizione del giudice ordinario sulle controversie inerenti ai diritti ed agli obblighi scaturenti da un contratto di appalto di opere pubbliche non resta esclusa per il fatto che il committente si sia avvalso della facoltà di rescindere il rapporto con proprio atto amministrativo ai sensi della L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 340, all. F, stante l’inidoneità dell’atto autoritativo ad incidere sulle suddette posizioni soggettive, inerenti ad un contratto di natura privatistica. Ne discende che il giudice ordinario adito ben può accertare l’effettiva esistenza delle condizioni di legittimità della pronunciata rescissione, sia pur al limitato scopo (e nel rispetto dei limiti interni delle proprie attribuzioni giurisdizionali) della disapplicazione, in via incidentale, del provvedimento amministrativo se “contra legem”, onde statuire sulla domanda di risoluzione introdotta dall’appaltatore (cfr. Cass. 1217/2000). Il provvedimento di rescissione adottato dalla stazione appaltante ai sensi della L. n. 2248 del 1865, art. 340, all. F, non impedisce, pertanto, all’appaltatore di agire per la risoluzione del contratto in base alle regole generali dettate per l’inadempimento contrattuale di non scarsa importanza ai sensi degli artt. 1453 e 1455 c.c. (Cass. 21882/2015).

2.2.2. Per tali ragioni, dunque, la decisione di appello non può, sul punto, essere condivisa, con la conseguenza che le censure in esame devono essere accolte.

3. Con i motivi dal secondo al quindicesimo del ricorso principale, S.G., S.P. e P.G. denunciano l’omessa, insufficiente e contraddittoria su punti decisivi della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nel testo applicabile ratione temporis).

3.1. I ricorrenti censurano, sotto diversi profili, la motivazione della sentenza di appello, laddove la Corte di merito, nel ridimensionare o nel rigettare le pretese dell’impresa S. costituenti oggetto delle diverse riserve formulate, non avrebbe tenuto conto dei rilievi formulati dal c.t.p. degli istanti, nonchè delle risultanze della c.t.u. disposta in prime cure, adeguandosi passivamente alle conclusione del consulente nominato nel giudizio di appello, e senza neppure accogliere, ma neanche prendere in considerazione, la richiesta degli appellanti in via incidentale di rinnovare integralmente la seconda c.t.u..

3.2. Ciò posto, va osservato, al riguardo, che rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di disporre indagini tecniche suppletive o integrative di quelle già espletate, di sentire a chiarimenti il consulente tecnico di ufficio ovvero di disporre addirittura la rinnovazione delle indagini, con la nomina di altri consulenti, e l’esercizio di un tale potere (così come il mancato esercizio) non è censurabile in sede di legittimità (cfr. Cass. 10972/1994; 8355/2007; 27247/2008; 26499/2009; 7622/2010). In particolare, quanto a tale ultima evenienza (rinnovazione delle indagini), il giudice di merito non è tenuto, anche a fronte di una esplicita richiesta di parte, a disporre una nuova consulenza d’ufficio, atteso che il rinnovo dell’indagine tecnica rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito, talchè non è neppure necessaria una espressa pronunzia sul punto (cfr. Cass. 20227/2010; 17693/2013).

3.3. Nel caso di specie, deve, peraltro, rilevarsi che la Corte territoriale ha adeguatamente motivato in ordine alla non necessità di ulteriori indagini tecniche, avendo il giudice di appello evidenziato che: a) il consulente nominato in secondo grado, ing. D., aveva depositato ben tre relazioni di perizia, con le quali aveva “preso in considerazione i rilievi formulati dalle parti”; b) che lo stato dei luoghi era mutato “per interventi successivi” risultanti agli atti di causa; c) che il c.t.u. aveva compiutamente svolto il proprio incarico “anche sugli elementi di fatto accertati dal primo consulente”, allegati agli atti di causa (pp. 11 e 14). A fronte di tale motivazione, del tutto logica e coerente ed affatto apodittica, le censure in esame si concretano, in sostanza, nella richiesta di una rivisitazione delle valutazioni operate dal giudice di merito, mediante riproduzione nel ricorso dei passaggi della c.t.p. già vagliati dal c.t.u. e dalla Corte di Appello e la reiterazione delle considerazioni non accolte dal giudice di seconde cure, certamente inammissibile in questa sede di legittimità (Cass. S.U. 24148/2013; Cass. 25608/2013).

3.4. Le censure vanno, di conseguenza, dichiarate inammissibili.

4. Con il sedicesimo motivo del ricorso principale ed il quarto motivo del ricorso incidentale, S.G., S.P., P.G. ed il Fallimento della (OMISSIS) s.p.a. denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 1283 e 1224 c.c. e l’insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 (nel testo applicabile ratione temporis).

4.1. Avrebbe errato la Corte di Appello nel negare la natura di debiti di valore ai crediti risarcitori correlati alle riserve formulate a suo tempo dall’appaltatrice, sebbene derivanti da gravi inadempimenti dell’amministrazione nella predisposizione del progetto e nel successivo sviluppo contrattuale.

4.2. I motivi sono fondati.

4.2.1. In tema di appalti pubblici, l’amministrazione risponde, invero, a titolo contrattuale dell’inadempimento ai propri obblighi, sicchè, alla stregua dei principi generali regolanti la corrispondente responsabilità, competono all’appaltatore, sulla somma a lui spettante a titolo di risarcimento del danno, la rivalutazione monetaria, trattandosi di debito di valore, e, sull’importo rivalutato, gli interessi legali (cfr. Cass. 4869/1994; 12698/2014). Ne discende che, in caso di accoglimento della domanda di risoluzione, in forza dei motivi suesposti, sulle somme dovute a titolo di risarcimento del danno che prescinde del tutto dalle riserve formulate (Cass. 22036/2014; 19531/2014), che attengono ai compensi dovuti nel caso in cui il contratto resti in vita – deve essere riconosciuta la rivalutazione monetaria, oltre agli interessi legali.

4.2.2. Le censure suesposte devono, pertanto, essere accolte.

5. L’accoglimento del primo, sedicesimo e diciassettesimo motivo del ricorso principale e del terzo e quarto motivo del ricorso incidentale comporta la cassazione dell’impugnata sentenza, con rinvio alla Corte di Appello di Palermo in diversa composizione, che dovrà procedere a nuovo esame della controversia facendo applicazione dei seguenti principi di diritto: “in tema di appalto di opere pubbliche stipulato da due imprese riunite in associazione temporanea, il fallimento dell’impresa capogruppo, costituita mandataria dell’altra ai sensi del D.Lgs. 19 dicembre 1991, n. 406, art. 23, comma 8, determina lo scioglimento del rapporto di mandato, ai sensi della L. Fall., art. 78, con la conseguenza che l’impresa mandante è legittimata ad agire direttamente nei confronti del committente per la riscossione della quota dei crediti nascenti dall’appalto ad essa imputabile e, del pari, la curatela fallimentare è legittimata a riscuotere dall’amministrazione il corrispettivo per l’esecuzione dell’appalto solo per la quota corrispondente a quella parte dei lavori appaltati la cui realizzazione, in base all’accordo di associazione temporanea, era di sua spettanza”; “in tema di appalti di opere pubbliche, l’appaltatore può invocare la risoluzione del contratto stipulato con l’ente committente in base alle regole generali dettate per l’inadempimento contrattuale, senza che l’eventuale provvedimento di rescissione adottato successivamente dall’Amministrazione sia di ostacolo all’esame (ed all’eventuale accoglimento) della domanda risolutoria, non restando esclusa la giurisdizione del giudice ordinario sulle controversie inerenti ai diritti ed agli obblighi scaturenti da un contratto di appalto di opere pubbliche per il fatto che il committente si sia avvalso della facoltà di rescindere il rapporto con proprio atto amministrativo ai sensi della L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 340, all. F, stante l’inidoneità dell’atto autoritativo ad incidere sulle suddette posizioni soggettive, inerenti ad un contratto di natura privatistica”; “in tema di appalti pubblici, l’amministrazione risponde a titolo contrattuale dell’inadempimento ai propri obblighi, sicchè, alla stregua dei principi generali regolanti la corrispondente responsabilità, competono all’appaltatore, sulla somma a lui spettante a titolo di risarcimento del danno, la rivalutazione monetaria, trattandosi di debito di valore, e, sull’importo rivalutato, gli interessi legali, con la conseguenza che, in caso di accoglimento della domanda di risoluzione sulle somme dovute a titolo di risarcimento del danno, che prescinde del tutto dalle riserve formulate che attengono ai compensi dovuti in caso in cui il contratto resti in vita, deve essere riconosciuta la rivalutazione monetaria, oltre agli interessi legali”.

6. Il giudice di rinvio provvederà, altresì, alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte Suprema di Cassazione;

accoglie il primo, sedicesimo e diciassettesimo motivo del ricorso principale ed il terzo e quarto motivo del ricorso incidentale; cassa l’impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte di Appello di Palermo in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 10 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2017

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