Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9728 del 26/05/2020

Cassazione civile sez. VI, 26/05/2020, (ud. 18/09/2019, dep. 26/05/2020), n.9728

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36481-2018 proposto da:

A.G., elettivamente domiciliato in ROMA, CIRC.NE CLODIA, 80,

presso lo studio dell’avvocato ALBERTO PROSPERINI, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– resistente –

avverso il decreto n. R.G. 52114/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositato il 30/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 18/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA

FALASCHI.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte di appello di Roma, con decreto n. 2323 del 2018, accogliendo parzialmente il l’opposizione proposta da A.G. ai sensi della L. n. 89 del 2001, ex art. 5-ter, avverso il provvedimento di rigetto della domanda ai sensi della legge cit., ex art. 2 bis, condannava il Ministero della giustizia al pagamento in favore del ricorrente della somma di Euro 400,00 a titolo di indennizzo per la violazione del termine di durata ragionevole del procedimento e per l’effetto liquidava le spese processuali in complessivi Euro 354,00.

Avverso il decreto della Corte di appello di Roma l’ A. propone ricorso per cassazione, fondato su due motivi.

Il Ministero della giustizia ha depositato un mero atto di costituzione ai fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere dichiarato manifestamente fondato, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

Atteso che:

il Collegio non condivide la proposta di definizione della controversia notificata alle parti costituite nel presente procedimento e ritiene che detto ricorso debba rigettato per le ragioni di seguito esposte;

– con il primo motivo il ricorrente lamenta, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, la violazione e la falsa applicazione del D.M. n. 55 del 2014, art. 1 e art. 4, commi 1 e 3, nonchè della L. n. 247 del 2012, art. 13, comma 6, per avere la Corte di appello liquidato globalmente le spese di lite delle due fasi del giudizio di merito.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., in combinato disposto con le norme del D.M. n. 55 del 2014 e con la L. n. 247 del 2012, art. 13, comma 6. A detta del ricorrente, l’importo delle spese di lite liquidato dalla Corte di appello di Roma sarebbe al di sotto dei valori minimi individuati dal D.M. n. 55 del 2014 e dalle relative Tabelle poichè per il procedimento monitorio sarebbe previsto un importo minimo di Euro 225,00 e per il giudizio di opposizione innanzi alla medesima Corte di appello sarebbe previsto un importo minimo di Euro 236,00. La Corte avrebbe, dunque, dovuto condannare il Ministero al pagamento delle spese di lite per un importo complessivo di Euro 461,00, anzichè Euro 300,00.

Le censure, che possono essere trattate congiuntamente vertendo entrambe sulla liquidazione delle spese di lite, sono infondate.

Questa Corte ha già chiarito (v. Cass. 22 dicembre 2016 n. 26851) che l’opposizione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 5-ter, non introduce un autonomo giudizio di impugnazione del decreto che ha deciso sulla domanda, ma realizza, con l’ampio effetto devolutivo di ogni opposizione, la fase a contraddittorio pieno di un unico procedimento, avente ad oggetto la medesima pretesa fatta valere con il ricorso introduttivo (Cass. n. 19348/15; analogamente, Cass. n. 20463/15). Il tutto avviene a (quasi) perfetta somiglianza con il procedimento per decreto ingiuntivo (al cui archetipo il legislatore si è dichiaratamente ispirato), col quale il procedimento ex lege Pinto condivide una prima fase, che si svolge inaudita altera parte e che termina con la provocano ad opponendum, e una seconda fase d’opposizione, caratterizzata da un contraddittorio pieno e da una cognizione esaustiva.

Quest’ultima termina con un provvedimento che ha carattere sostitutivo del decreto emesso in sede monitoria solo se ed in quanto l’opposizione sia accolta in tutto o in parte. In tal caso, infatti, l’esito dichiarativo finale è difforme dall’accertamento compiuto con il decreto opposto, che pertanto va necessariamente revocato. Di riflesso, sostituendosi a quest’ultimo il decreto collegiale quale unica statuizione di merito, viene meno anche il capo relativo alle spese liquidate in favore della parte istante e poste a carico di quella erariale ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 5, u.p.. Spese che, pertanto, devono essere (non più semplicemente liquidate ma) regolate a misura dell’intera vicenda processuale e non soltanto della fase d’opposizione, in base al criterio di soccombenza e mediante una valutazione complessiva del procedimento di equa riparazione.

Al pari dell’opposizione a decreto ingiuntivo (sulle cui spese per l’ipotesi di accoglimento v. Cass. n. 19120/09), anche il giudizio inscenato ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 5-ter, costituisce una struttura procedimentale essenzialmente unitaria. E dunque, in caso di accoglimento dell’opposizione deve essere altrettanto indivisibile la statuizione sulle spese (salvo il giudice dell’opposizione le regoli diversamente secondo le due fasi, solo per esprimere una consapevole tecnica di compensazione totale o parziale).

Il quadro appena delineato muta radicalmente se, invece, l’opposizione ai sensi della L. n. 89 del 2001, ex art. 5-ter, è respinta, poichè il decreto monocratico sopravvive tanto nel suo contenuto dichiarativo quanto nel capo che liquida le spese. Con la conseguenza che il regolamento che ne segue in sede di opposizione, non potendo riguardare anche le spese, ormai intangibili, della fase monitoria, è ulteriore e autonomo.

Solo che a differenza dell’opposizione ex art. 645 c.p.c., le cui spese in caso di rigetto non possono essere stabilite in maniera contraddittoria rispetto al decreto ingiuntivo, dato il principio per cui la parte totalmente vittoriosa non può essere condannata a pagare neppure una frazione delle spese (giurisprudenza costante: cfr. per tutte e fra le tante, Cass. n. 15317 del 2013), l’opposizione ai sensi della L. n. 89 del 2001, ex art. 5-ter, non accolta può legittimamente condurre a un tale esito.

Si consideri che l’opposizione può essere attivata sia dalla parte erariale, che subisce l’ingiunzione di cui al decreto pronunciato ai sensi dell’art. 3, comma 5, sia da quella privata insoddisfatta da tale provvedimento, nel qual caso l’opposizione è necessitata dalla non riproponibilità della domanda (L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 6). Quest’ultima ipotesi s’invera allorchè il decreto monocratico abbia respinto in toto ovvero abbia accolto parzialmente la domanda d’equa riparazione, escludendo una o più voci di danno o liquidandole in misura inferiore al richiesto.

Su tale premessa positiva, questa Corte ha già avuto occasione di affermare il principio secondo cui l’opposizione ex art. 5-ter della parte privata insoddisfatta dall’esito della fase monitoria ha carattere pretensivo, a differenza di quella erariale che ha sempre e solo natura difensiva (cfr Cass. n. 26851 del 2016 cit.). Pertanto, salvo l’ipotesi di opposizione incidentale, il Ministero opposto, avendo prestato acquiescenza al decreto emesso ai sensi dell’art. 3, comma 5, affronta un giudizio che non aveva interesse a provocare e del quale, se vittorioso, non può sopportare le spese.

Di conseguenza queste ultime nel caso di rigetto dell’opposizione vanno regolate in maniera del tutto autonoma, anche a carico integrale della parte privata opponente, ancorchè essa abbia diritto a ripetere quelle liquidate nel decreto monocratico che abbia accolto solo parzialmente la domanda di equa riparazione.

L’affermata unitarietà del procedimento della L. n. 89 del 2001 e il suo esito finale allorchè, come nel caso in oggetto, resti comunque accertata la responsabilità dello Stato per la durata irragionevole del giudizio presupposto, non consentono di evocare, in funzione di contrasto, il principio per cui la parte vittoriosa non può soggiacere al pagamento delle spese sostenute da quella soccombente, con la conseguenza che la tutela del diritto all’equa riparazione non resta monca, ma soddisfatta dalle spese della fase monitoria; il di più provocato da un’opposizione infondata è correttamente posto a carico della parte opponente, salvo ricorrano ipotesi di compensazione ai sensi dell’art. 92, cpv. c.p.c..

Ed è ciò che ha fatto la Corte territoriale nella specie, allorchè proposta opposizione dalla parte privata rimasta insoddisfatta dall’esito della fase monitoria e, dunque, con carattere pretensivo, ha liquidato le spese di giudizio in base al criterio della soccombenza, a misura dell’intera vicenda processuale, per cui applicando la massima riduzione ai singoli importi spettanti per ciascuna voce, ai sensi del cit. D.M., art. 4, comma 1, si perviene al riconoscimento della somma totale di Euro 286,00 (così computata: Euro 67,50 per la fase di studio della controversia (a fronte di Euro 135,00 come importo medio ordinario); Euro 67,50 per la fase introduttiva del giudizio (a fronte di Euro 135,00 quale importo medio ordinario); Euro 51,00 per la fase istruttoria (e non Euro 119,00, come richiesto dal ricorrente, computando l’importo liquidato quale risultante per effetto della riduzione del 70% – applicabile per tale voce – rispetto alla somma ordinaria prevista in tabella di Euro 170,00); Euro 100,00 per la fase decisionale (a fronte di Euro 200,00 quale importo medio ordinario)), liquidato il maggiore importo di Euro 354,00.

In conclusione, il ricorso va respinto.

In assenza di difese svolte dalla parte erariale, nessuna pronuncia sulle spese. Non vi è l’obbligo di pagamento del doppio contributo unificato (v. D.P.R. n. 115 del 2002, art. 10 e Cass., Sez. Un., 28 maggio 2014 n. 11915).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6-2 Sezione Civile, il 28 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2020

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