Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9725 del 26/05/2020

Cassazione civile sez. VI, 26/05/2020, (ud. 13/02/2020, dep. 26/05/2020), n.9725

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31987-2018 proposto da:

G.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI

SCIPIONI 268/A, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCA FEGATELLI,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIANFRANCO CARBONE;

– ricorrente –

contro

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA, in persona del Procuratore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FEDERICO CESI 72, presso lo

studio dell’avvocato BERNARDO DE STASIO, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato GIUSEPPE MILESI CACCIAMALI;

– controricorrente –

contro

R.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GRAMSCI

20, presso lo studio dell’avvocato PAOLO SALVATORI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIORGIO FRUS;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza n. 7939/2018 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di

ROMA, depositata il 30/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 13/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIETTA

SCRIMA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

G.A. convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Bergamo, R.A., quale unico erede di R.R., S.A.M. e Fondiaria SAI S.p.a., chiedendo il risarcimento dei danni conseguenti alla morte del figlio minore P., verificatasi a seguito del sinistro stradale avvenuto il 28 ottobre 1981, allorchè il predetto minore (deceduto alle ore 10 del giorno successivo), mentre procedeva in bicicletta, era stato investito dal veicolo di proprietà della S. e condotto da R.R..

Il Tribunale adito, con sentenza 1836/12, condannò i convenuti, in solido, al pagamento della somma di Euro 518.698,89, oltre interessi legali dal 28 ottobre 1981, fino alla concorrenza di Euro 755.053,00 quanto alla Fondiaria SAI S.p.a., e nel limite dell’eredità di R.R. e S.A., accettata con beneficio di inventario, quanto ad R.A..

Avverso tale sentenza proposero appello principale Fondiaria SAI S.p.a. ed appello incidentale sia il R. che il G..

La Corte di appello di Brescia, con sentenza pubblicata il 2 luglio 2015, dichiarò inammissibile la querela di falso proposta da G.A.; dichiarò che il sinistro si era verificato per colpa concorrente di R.R., nella misura del 70%, e del minore G.P., nella misura del 30%; rideterminò l’importo residuo spettante in favore di G.A. a titolo di risarcimento in Euro 524.269,50, comprensivo di rivalutazione ed interessi e detratti gli acconti; condannò la società assicuratrice e R.A. al pagamento di Euro 57.570,87, in solido, e, per il residuo, il solo R. nei limiti dell’eredità beneficiata; condannò Unipolsai Assicurazioni S.p.a. (già Fondiaria SAI S.p.a.) a rifondere il R. a titolo di mala gestio propria di tutto quanto corrisposto in favore del G.; dichiarò compensate le spese dei due gradi di giudizio nella misura della metà e condannò Unipolsai Assicurazioni S.p.a. e R.A., in solido, al rimborso della restante metà, come indicato nel dispositivo di quella sentenza.

Avverso la sentenza della Corte territoriale G.A. propose ricorso, cui resistettero con distinti controricorsi R.A. e Unipolsai Assicurazioni S.p.a..

Questa Corte, con ordinanza n. 7939/2018, depositata il 30 marzo 2018, dichiarò l’improcedibilità del ricorso e condannò il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità; in particolare rilevarono i giudici di legittimità che la sentenza impugnata era stata notificata in forma telematica e che, ai fini del rispetto di quanto imposto, a pena di improcedibilità, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, “il difensore che propone il ricorso per cassazione contro un provvedimento che gli è stato notificato con modalità telematiche, deve depositare nella cancelleria della Corte di cassazione copia analogica, con attestazione di conformità ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 9, commi 1-bis e 1-ter, del messaggio di posta elettronica certificato ricevuto, nonchè della relazione di notifica e del provvedimento impugnato, allegati al messaggio…”, laddove, nella specie, il ricorrente non aveva depositato l’attestazione di conformità della relazione di notifica in modalità telematica, sicchè ricorreva la causa di improcedibilità prevista dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2.

Avverso tale ordinanza G.A. ha proposto ricorso per revocazione, basato su tre motivi.

Unipolsai Assicurazioni S.p.a. e R.A. hanno resistito con distinti controricorsi.

La proposta del relatore è stata ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

R.A. ha depositato memoria ex art. 380-bis c.p.c..

G.A. ha depositato atto intestato come “opposizione del ricorrente”.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia “falsa applicazione della L. n. 53 del 1994, art. 9, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Nullità dell’ordinanza per omessa) motivazione, art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”.

Il ricorrente sostiene che questa Corte avrebbe omesso di precisare “la ragione logica che unisce gli art. 325/369 c.p.c., con la L. n. 53 del 1994, art. 9”, riferendosi le menzionate norme del codice di rito all’improcedibilità del ricorso qualora ad esempio il ricorrente ometta di produrre la sentenza che gli è stata notificata, unitamente alla relata di notifica della stessa, così impedendo alla S.C. di verificare il rispetto dei termini di cui all’art. 325 c.p.c., mentre la L. n. 53 del 1994, art. 9, statuisce che chi notifica gli atti in via telematica deve attestare, in calce all’atto cartaceo che poi produce in giudizio, la conformità dell’atto stesso a quello notificato in via telematica.

Ad avviso del ricorrente, pertanto, contrariamente a quanto affermato da questa Corte con la sentenza impugnata, il difensore che propone ricorso per cassazione contro un provvedimento che gli è stato notificato con modalità telematiche è il destinatario di tale atto il quale “a tutto concedere, può solo contestare, con il ricorso in Cassazione…, eventuali difformità tra la sentenza notificatagli in via telematica, con la sentenza in copia conforme che deve produrre, per non incorrere nella sanzione processuale di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2. Da ciò deriva l’evidenza logica che il ricorrente, astenutosi dal contestare quanto ricevuto invia telematica, può solo attestare la conformità del suo ricorso ponendo la firma nell’atto cartaceo come di fatto avvenuto”.

2. Con il secondo motivo si deduce “doppia nullità della ordinanza in esame, per omesso esame e omessa motivazione sulle risultanze documentali, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”.

Lo stesso ricorrente, premesso che pur in mancanza, a suo avviso, di una puntuale motivazione, da parte di questa Corte, circa l’operato richiamo degli artt. 325 e 369 c.p.c., assume che, dal complesso dell’ordinanza impugnata in questa sede, si desumerebbe che questa Corte avrebbe ritenuto di non poter essere in grado di verificare se il ricorso fosse stato proposto nei termini previsti dall’art. 325 c.p.c..

A tal proposito, richiamato il principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 25513/2016, secondo cui va esclusa la sanzione processuale della improcedibilità del ricorso quando manca la copia della sentenza notificata e/o della relata di notifica quando dagli atti risulta comunque rispettato il termine di cui all’art. 325 c.p.c., il G. evidenzia che: a) nel ricorso sarebbe indicata la data di notifica della sentenza della Corte di appello di Brescia, b) dalle relate di notifica allegate al ricorso risulterebbe che tale atto sarebbe stato notificato il 27 ottobre 2015, quindi il 58 giorno successivo alla data della notifica della sentenza impugnata, c) nei controricorsi di R.A. (v. p. 19 e di Unipolsai Assicurazioni S.p.a. (p. 3) nonchè nell’elenco degli atti e documenti prodotti con il ricorso per cassazione sarebbero indicate le date di notifica le ricorso e della sentenza impugnata. Pertanto, ad avviso del ricorrente, “al di l(à) della omessa dichiarazione di: “attestazione della conformità” richiesta dall’ordinanza impugnata in questa sede, se la Corte avesse esaminati la prima pagina dei richiamati atti, sarebbe dovuta pervenire alla conclusione logica che ricorso proposto era procedibile in quanto notificato nel termine breve di cui all’art. 325 c.p.c..

3. Con il terzo motivo si lamenta “violazione dell’art. 128 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; violazione del diritto di difesa e del giusto processo di cui agli artt. 24/111 Cost.; violazione dell’art. 6 della Convenzione Europea”.

Rappresenta il ricorrente che con la mai del 12 dicembre 2017 la cancelleria comunicò, al suo difensore nel giudizio di cassazione conclusosi con l’ordinanza impugnata in questa sede, la data dell’udienza in camera di consiglio del 31 gennaio 2018, precisando che l’udienza si sarebbe svolta, per la trattazione del ricorso, ai sensi dell’art. 380-bis 1 c.p.c.. Sostiene il G. che “trattazione del ricorso” e “discussione della causa” esprimerebbero lo stesso concetto e che, mentre l’art. 128 stabilisce che l’udienza in cui si discute la causa è pubblica a pena di nullità, la disciplina dettata dall’art. 380-bis 1 c.p.c., con riferimento alla decisione in camera di consiglio dinanzi alla sezione semplice, impedirebbe non solo ogni comunicazione alle difese delle parti in causa di conoscere le ragioni per cui viene esclusa l’udienza pubblica (prevista dall’art. 128 c.p.c., dall’art. 111 Cost. e dall’art. 6 della Convenzione Europea) ma escluderebbe tassativamente pure la presenza delle parti, sicchè sarebbe evidente la violazione del diritto di difesa e del giusto processo di cui all’art. 24 e 111 Cost. nonchè dell’art. 6 della Convenzione Europea. Inoltre, deduce il ricorrente che se questa Corte, unitamente alla fissazione della data di trattazione del ricorso, avesse comunicato alle parti in causa anche la ragione per cui era stata disposta l’udienza camerale (che, nel caso in esame, a suo avviso, sarebbe stata: “l’omesso deposito della conformità, ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 9, commi 1 bis e 1 ter del messaggio di posta elettronica”), il suo difensore avrebbe potuto rappresentare alla Terza Sezione che: a) la L. n. 53 del 1994, art. 9, dispone che la “conformità” sia effettuata solo dal notificante e non dal destinatario della posta telematica, b) le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 25513/2016, hanno statuito comunque la procedibilità del ricorso quando in atti, “pur mancando una componente contemplata dall’art. 369 c.p.c. vi sono… altre prove documentali confermative del rispetto dei termini di cui all’art. 325 c.p.c.” (v. ricorso per revocazione p. 13) e c) in atti vi erano, “come sopra visto… plurime prove documentali attestativ(e) che il ricorso, iscritto al R.G. 25842/2015, è stato notificato il 58 giorno dopo la notifica della sentenza impugnata” e, quindi, la S.C. avrebbe riconosciuto la procedibilità del ricorso e rimesso la causa alla pubblica udienza.

Infine, il ricorrente sostiene che quanto rilevato in tema di pretesa incostituzionalità dell’art. 380-bis 1 c.p.c. debba valere anche per l’art. 380-bis c.p.c. richiamato dall’art. 391 c.p.c. e ha, quindi, chiesto la sospensione del giudizio revocatorio con rimessione della questione alla Corte Costituzionale affinchè la stessa si pronunci “sulla costituzionalità degli artt. 380 bis 1 e 380 bis del c.p.c. nella parte in cui non prevedono esplicitamente che la Suprema Corte, quando fissa la data dell’udienza di “trattazione del ricorso in generale” e/o di “trattazione del ricorso revocatorio”, comunichi alle parti in causa, una succinta motivazione, delle ragioni per cui dispongono la camera di consiglio, nonchè sul diritto delle parti in causa di essere informati dalla S.C. con una succinta motivazione, sulle ragioni per cui dispone l’udienza camerale” (così testualmente).

4. Il ricorso è inammissibile.

5. Le questioni sollevate con i tre motivi proposti ben possono essere congiuntamente esaminate, essendo le censure sollevate strettamente connesse.

5.1. Va rilevato anzitutto che le questioni di costituzionalità proposte da parte ricorrente risultano palesemente prive del requisito della non manifesta infondatezza sotto tutti gli evocati profili di censura e che neppure può essere accolta l’istanza di rimessione del ricorso alla pubblica formulata dalla stessa parte e basata pure su profili di violazione di principi costituzionali e convenzionali.

5.2. Il Collegio, infatti, condivide ed intende dar seguito alle considerazioni – di portata generale e dunque senz’altro estensibili al presente procedimento – già espresse da questa Corte in ordine alla compatibilità costituzionale e convenzionale del “nuovo rito camerale non partecipato” a motivazione della reiezione di analoghe istanze.

In particolare va a tal fine ribadito che “l’intervento novellatore del giudizio di legittimità recato dalla L. n. 197 del 2016 è ispirato, secondo una linea di tendenza registratasi nell’ultimo decennio, da pressanti esigenze di semplificazione, snellimento e deflazione del contenzioso dinanzi alla Corte di cassazione, in attuazione del principio costituzionale, di cui all’art. 111 Cost. (e convenzionale: art. 6 CEDU), della ragionevole durata del processo e di quello, in esso coonestato, dell’effettività della tutela giurisdizionale; che in siffatta prospettiva il legislatore (attingendo ad indicazioni de iure condendo, provenienti dalle Commissioni ministeriali di riforma del processo civile del 2013 e del 2015, in parte approdate all’esame parlamentare) ha inteso modulare il giudizio di legittimità (incidendo, segnatamente, sugli artt. 375,376, 380-bis, 380-bis. 1 e 380-ter c.p.c.) in ragione di una più generale suddivisione del contenzioso in base alla valenza nomofilattica, o meno, delle cause, riservando a quelle prive di siffatto connotato (ossia, il contenzioso più nutrito) un procedimento camerale, tendenzialmente assunto come procedimento ordinario, “non partecipato” e da definirsi tramite ordinanza (in luogo della celebrazione dell’udienza pubblica e della decisione con sentenza, previste essenzialmente per le cause “dalla particolare rilevanza della questione di diritto”); che, tanto premesso, occorre osservare che il principio di pubblicità dell’udienza – di rilevanza costituzionale in quanto, seppur non esplicitato dalla Carta Fondamentale, è connaturato ad un ordinamento democratico e previsto, tra gli altri strumenti internazionali, segnatamente dall’art. 6 CEDU – non riveste carattere assoluto e può essere derogato in presenza di “particolari ragioni giustificative”, ove “obiettive e razionali” (Corte Cost., sent. n. 80 del 2011); che una siffatta deroga – anche alla luce dei principi espressi dalla giurisprudenza della Corte EDU (tra le tante, v. sentenza 21 giugno 2016, Tato Alarinho c. Portogallo), seguiti da un costante orientamento di questa Corte (tra le altre, Cass., 18 luglio 2008, n. 19947; Cass., 16 marzo 2012, n. 4268; Cass., 9 ottobre 2015, n. 20282; Cass., 5 maggio 2016, n. 9041) – è consentita in ragione della conformazione complessiva del procedimento, là dove, a fronte della pubblicità del giudizio assicurata in prima o seconda istanza, una tale esigenza non si manifesti comunque più necessaria per la struttura e funzione dell’ulteriore istanza, il cui rito sia volto, eminentemente, a risolvere questioni di diritto o comunque non “di fatto”, tramite una trattazione rapida dell’affare, non rivestente peculiare complessità; che in tal senso, come accennato in precedenza, viene a declinarsi la disciplina dell’art. 380-bis c.p.c. (sul modello di quella già dettata per il giudizio penale di cassazione dall’art. 611 c.p.p.), funzionale alla decisione, in sede di legittimità (quale giudizio che, oltre a non postulare in sè profili di autonomo accertamento dei fatti, ha assunto, in ambito civile, a seguito della novella legislativa del 2012 recante la modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, una ancor più spiccata accentuazione del sindacato sugli errores in indicando rispetto a quello sul vizio di “motivazione”, resecato nei confini indicati dall’esegesi compiuta da Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053), di ricorsi che si presentino, all’evidenza (“a un sommario esame”: art. 376 c.p.c.), inammissibili, manifestamente infondati o manifestamente fondati (art. 375 c.p.c.), ossia di impugnazioni per le quali, lungi dal porsi questioni giuridiche di rilevanza nomofilattica (cui soltanto è riservata la pubblica udienza e la decisione con sentenza dall’art. 375 c.p.c.), risulta consentanea, nei termini e per le ragioni innanzi evidenziati, la decisione resa con ordinanza (ex art. 375 c.p.c., quale provvedimento per definizione succintamente motivato: art. 134 c.p.c.) all’esito di adunanza camerale non partecipata; che, proprio sotto tale ultimo profilo, la garanzia del contraddittorio, necessaria in quanto costituente il nucleo indefettibile del diritto di difesa, costituzionalmente tutelato dagli artt. 24 e 111 Cost. (cfr., in rapporto all’art. 24 Cost., già Corte Cost., sent. n. 102 del 1981), è, comunque, assicurata dalla trattazione scritta della causa, con facoltà delle parti di presentare memorie per illustrare ulteriormente le rispettive ragioni (che, del resto, devono essere già compiutamente declinate con il ricorso per quanto riguarda, segnatamente, i motivi dell’impugnazione), non solo in funzione delle difese svolte dalla controparte, ma anche in rapporto alla proposta del relatore circa la sussistenza di ipotesi di trattazione camerale, ex art. 375 c.p.c.; che l’interlocuzione scritta, attraverso la quale viene a configurarsi il contraddittorio nell’ambito del procedimento di cui all’art. 380-bis c.p.c., si mostra come l’esito di un bilanciamento, non irragionevolmente effettuato dal legislatore alla stregua dell’ampia discrezionalità che gli appartiene nella conformazione degli istituti processuali (tra le tante, Corte Cost., sent. n. 152 del 2016), tra le esigenze del diritto di difesa e quelle, del pari costituzionalmente rilevanti, in precedenza evidenziate, di speditezza e concentrazione, in funzione della ragionevole durata del processo e della tutela effettiva da assicurare, anche in tale prospettiva, alle parti interessate dal contenzioso; esigenze, queste, che trovano congruente contestualizzazione nel peculiare assetto strutturale e funzionale del procedimento previsto dalla L. n. 197 del 2016; che, infine, la previsione di una proposta di trattazione camerale da parte del relatore, in ragione della ravvisata esistenza di ipotesi di decisione del ricorso di cui all’art. 375 c.p.c. – in luogo della relazione (o cd. “opinamento”) depositata in cancelleria, secondo la formulazione del previgente art. 380-bis c.p.c. – appartiene anch’essa all’esercizio della discrezionalità del legislatore in ambito processuale e non è tale da vulnerare il diritto di difesa, giacchè trattasi di esplicitazione interlocutoria di mera ipotesi di esito decisorio, non affatto vincolante per il Collegio e che, di per sè, ove rimanga confinata nell’alveo del thema decidendum segnato dai motivi di impugnazione, neppure è idonea a sollecitare profili attinenti allo stesso principio del contraddittorio” (Cass., ord., 10/01/2017, n. 395; Cass., ord., 2/03/2017 n. 5371).

5.2.1. Vale la pena di precisare che già con riferimento alla previgente formulazione dell’art. 391-bis c.p.c. questa Corte ha ritenuto “manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 391-bis c.p.c. in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. nella parte in cui non prevede la trattazione del ricorso per revocazione in udienza anzichè in camera di consiglio essendo comunque assicurate le garanzie della difesa ed in particolare del contraddittorio” (Cass., sez. un., 10/10/1997, n. 9862 e Cass. 30/07/1999, n. 8295) e che “la procedura camerale prevista dagli art. 391-bis e 375 c.p.c. per le impugnazioni revocatorie delle sentenze della Corte di cassazione non contrasta con il principio di diritto internazionale della pubblicità dell’udienza e della relativa decisione (dettato, in particolare, dall’art. 6 della Convenzione dei diritti dell’uomo, resa esecutiva in Italia con L. 4 agosto 1955, n. 848), attese le garanzie di difesa assicurate al ricorrente e la pubblicità delle sentenze che definiscono i relativi procedimenti” (Cass., ord., 5/06/2004, n. 10737).

5.3. Va poi posto in evidenza che non sono stati dedotti vizi riconducibili al paradigma di cui all’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, richiamato dall’art. 391-bis c.p.c., in quanto, inammissibilmente (Cass., sez. un., 27/12/2017, n. 30994; Cass., ord., 5/1172019, n. 28429), si denunciano in realtà errori di giudizio e di omessa motivazione in cui si assume sarebbe incorsa questa Corte con l’ordinanza impugnata in questa sede.

5.3.1. In particolare, si osserva che le censure revocatorie sono state imperniate soprattutto sul mero calcolo dei termini di cui all’art. 325 c.p.c. – che il ricorrente assume essere stati rispettati laddove, invece, la decisione di cui si chiede la revocazione è incentrata sulla mancata dimostrazione dell’allegata data di notifica della sentenza impugnata, basandosi al riguardo sull’omesso deposito della copia autentica della sentenza di secondo grado con la relata di notificazione (nella specie telematica) con asseverazione di conformità della copia analogica di tale relata, nel contesto giurisprudenziale anteriore alla sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte 25/03/2019, n. 8312

5.3.2. Ed invero già con la sentenza 14/07/2017, n. 17450, espressamente richiamata, unitamente ad alcune delle decisioni ad essa conferme, nell’ordinanza di cui si chiede la revocazione, questa Corte aveva affermato che “in tema di ricorso per cassazione, qualora la notificazione della sentenza impugnata sia stata eseguita con modalità telematiche, per soddisfare l’onere di deposito della copia autentica della relazione di notificazione, il difensore del ricorrente, destinatario della suddetta notifica, deve estrarre copie cartacee del messaggio di posta elettronica certificata pervenutogli e della relazione di notificazione redatta dal mittente ai sensi della L. n. 53 del 1994, ex art. 3-bis, comma 5, attestare con propria sottoscrizione autografa la conformità agli originali digitali delle copie analogiche formate e depositare nei termini queste ultime presso la cancelleria della Corte”. Nella motivazione dell’ordinanza appena menzionata cui, come già detto, si riporta l’ordinanza revocanda – è stato precisato che “Nel giudizio di cassazione… il deposito ex art. 369 c.p.c. non può che avere ad oggetto documenti in formato analogico (cartaceo), poichè l’applicabilità della disciplina del processo telematico nel grado di legittimità è limitata alle sole comunicazioni e Pertanto, all’indirizzo p.e.c. dell’avvocato mittente” pervengono sia la ricevuta di accettazione sia la ricevuta di avvenuta consegna, documenti in formato digitale che costituiscono prova del perfezionamento della notificazione.

All’indirizzo p.e.c. dell’avvocato destinatario”, invece, perviene il messaggio di posta elettronica certificata inviato dal mittente coi relativi allegati digitali, ma non giungono ricevute rilasciate dai gestori di posta elettronica certificata.

L’esigenza del destinatario di dimostrare la tempestività del proprio ricorso mediante il deposito (prescritto dall’art. 369 c.p.c.) della relata di notificazione non può avvenire, dunque, con la produzione di documenti (necessariamente cartacei nel giudizio di cassazione) emessi dai gestori di posta elettronica certificata: i documenti da depositare sono, infatti, il messaggio di posta elettronica certificata ricevuto e la “relazione di notificazione (redatta) su documento informatico separato, sottoscritto con firma digitale ed allegato al messaggio di posta elettronica certificata” dell’avvocato mittente” ai sensi della L. 21 gennaio 1994, n. 53, cit. art. 3-bis, comma 5.

Nei gradi di merito – nei quali il processo civile telematico è stato da tempo avviato in virtù delle disposizioni del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16-bis, commi 4, 5, 6 e 9-ter, convertito, con modificazioni, dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221 e successive modificazioni e integrazioni il deposito della documentazione delle parti può (anzi, deve) essere eseguito con modalità telematiche e, dunque, il destinatario può produrre nel suo formato digitale anche la relazione di notificazione pervenutagli.

Nel giudizio di cassazione, invece, il deposito ex art. 369 c.p.c. non può che avere ad oggetto documenti in formato analogico (cartaceo), poichè l’applicabilità della disciplina del processo telematico nel grado di legittimità è limitata alle sole comunicazioni e notificazioni da parte delle cancellerie delle sezioni civili (D.M. n. Giustizia 19 gennaio 2016, emesso ai sensi del D.L. n. 179 del 2012, art. 16, comma 10).

Si verte, dunque, nell’ipotesi disciplinata dalla L. 21 gennaio 1994, n. 53, art. 9, comma 1-ter, (“In tutti i casi in cui l’avvocato debba fornire prova della notificazione e non sia possibile fornirla con modalità telematiche, procede ai sensi del comma 1-bis”), norma che, nel rimandare al comma 1-bis, dispone che l’avvocato provveda ad estrarre copia su supporto analogico (id est, cartaceo) del messaggio di posta elettronica certificata, dei suoi allegati e della ricevuta di accettazione e di avvenuta consegna e, poi, ad attestarne la conformità ai documenti informatici da cui le copie sono tratte ai sensi del D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 23, comma 1, (il quale recita: “Le copie su supporto analogico di documento informatico, anche sottoscritto con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale, hanno la stessa efficacia probatoria dell’originale da cui sono tratte se la loro conformità all’originale in tutte le sue componenti è attestata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato)” (v. anche pagine successive della richiamata ordinanza).

5.3.3. Con successivo provvedimento decisorio – pure espressamente richiamato nell’ordinanza revocanda – della Sesta Sezione civile, nella composizione prevista dal par. 41.2 delle tabelle di questa Corte, è stato affermato che: “in tema di ricorso per cassazione, qualora la notificazione della sentenza impugnata sia stata eseguita con modalità telematiche, per soddisfare l’onere di deposito della copia autentica della decisione con la relazione di notificazione, il difensore del ricorrente, destinatario della suddetta notifica, deve estrarre copia cartacea del messaggio di posta elettronica certificata pervenutogli e dei suoi allegati (relazione di notifica e provvedimento impugnato), attestare con propria sottoscrizione autografa la conformità agli originali digitali della copia formata su supporto analogico, ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 9, commi 1 bis e 1 ter e depositare nei termini quest’ultima presso la cancelleria della S.C., mentre non è necessario provvedere anche al deposito di copia autenticata della sentenza estratta dal fascicolo informatico”.

5.3.4. Risulta, così evidente anche che il richiamo, effettuato dalla Corte con l’ordinanza revocanda, alla L. n. 53 del 1994, art. 9, commi 1-bis e 1-ter, era perfettamente in linea con l’orientamento giurisprudenziale dell’epoca sul punto.

5.3.5. Peraltro, lo stesso ricorrente, non contesta di non aver prodotto quanto indicato da questa Corte nell’ordinanza di cui chiede la revocazione nè allega di aver provveduto al deposito richiesto, ma assume che “al di l(à) della omessa dichiarazione di “attestazione di conformità”, come vorrebbe l’ordinanza impugnata” sarebbe stata comunque depositata tale sentenza con la mail di notifica e che i controricorrenti avrebbero indicato a loro volta la data della notifica di detta sentenza e quella della notifica del ricorso sicchè si sarebbe potuto far applicazione del principio affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza 13/12/2016 n. 25513.

Va al riguardo osservato che tale arresto si riferisce alla diversa specifica ipotesi del ricorso per cassazione proponibile, ex art. 348-ter c.p.c., comma 3, avverso la sentenza di primo grado, e con lo stesso è stato affermato che siffatto ricorso, da proporre entro sessanta giorni dalla comunicazione, o notificazione se anteriore, dell’ordinanza d’inammissibilità dell’appello resa ai sensi dell’art. 348-bis c.p.c., è soggetto, ai fini del requisito di procedibilità di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, ad un duplice onere di deposito, avente ad oggetto la copia autentica sia della sentenza suddetta che, per la verifica della tempestività del ricorso, della citata ordinanza, con la relativa comunicazione o notificazione; in difetto, il ricorso è improcedibile, salvo che, ove il ricorrente abbia assolto l’onere di richiedere il fascicolo d’ufficio alla cancelleria del giudice a quo, la Corte, nell’esercitare il proprio potere officioso, rilevi che l’impugnazione sia stata proposta nei sessanta giorni dalla comunicazione o notificazione ovvero, in mancanza dell’una e dell’altra, entro il termine cd. lungo di cui all’art. 327 c.p.c.. In motivazione è specificato che il fascicolo d’ufficio contiene l’originale dell’ordinanza d’inammissibilità ex artt. 348-bis e 348-ter c.p.c. e, di regola, anche gli estremi della sua comunicazione e che, allo stesso modo, le medesime informazioni potrebbero emergere anche dal fascicolo della parte controricorrente, che dovesse contenere la copia autentica dell’ordinanza d’inammissibilità notificata.

5.3.6. Piuttosto avrebbe potuto rilevare, nella specie, il diverso principio indicato dalle Sezioni Unite con la sentenza 2/05/2017, n. 10648, secondo cui, in tema di giudizio di cassazione, deve escludersi la possibilità di applicazione della sanzione della improcedibilità, ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, al ricorso contro una sentenza notificata di cui il ricorrente non abbia depositato, unitamente al ricorso, la relata di notifica, ove quest’ultima risulti comunque nella disponibilità del giudice perchè prodotta dalla parte controricorrente o perchè presente nel fascicolo d’ufficio acquisito su istanza di parte, con la precisazione che tale ultima affermazione deve essere rettamente confinata – come specificato da Cass., ord., 15/09/2017, n. 21386 – alle sole limitate ipotesi – diverse da quella all’esame – in cui la decorrenza del termine breve per ricorrere in cassazione sia ricollegata dalla legge alla comunicazione del provvedimento ovvero nelle altre ipotesi in cui la legge preveda che sia la stessa Cancelleria a notificare la sentenza e che tale notificazione sia idonea a far decorrere il termine di cui all’art. 325 c.p.c., in quanto, al di fuori di tali ipotesi eccezionali, trattasi di attività che non avviene su iniziativa dell’ufficio e che interviene in un momento successivo alla definizione del giudizio.

5.3.6.1. Ma nella specie lo stesso ricorrente in questa sede non deduce che le controparti avessero provveduto a depositare copia autentica della sentenza impugnata con la relata di notifica e che ciò non fosse stato rilevato dalla Corte.

5.4. Va, inoltre, osservato che, con l’ordinanza 22/12/2017, n. 30765 di questa Corte, già prima richiamata, è stato pure precisato che non rileva la mancata contestazione della controparte circa la data della notifica della sentenza impugnata, trattandosi di materia che non è nella disponibilità delle parti (e questo era l’orientamento della giurisprudenza di legittimità all’epoca dell’emissione dell’ordinanza di cui si chiede la revocazione).

Nè può ritenersi possa valere nel caso di specie il principio affermato solo successivamente all’ordinanza revocanda dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 8312 del 25/03/2019, secondo cui “Il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notificazione, di copia analogica della decisione impugnata predisposta in originale telematico e notificata a mezzo PEC priva di attestazione di conformità del difensore ai sensi della L. n. 53 del 1994, ex art. 9, commi 1 bis e 1 ter, oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non determina l’improcedibilità del ricorso per cassazione laddove il controricorrente (o uno dei controricorrenti), nel costituirsi (anche tardivamente), depositi a sua volta copia analogica della decisione ritualmente autenticata, ovvero non disconosca ai sensi del D.Lgs. n. 82 del 2005, ex art. 23, comma 2, la conformità della copia informale all’originale notificatogli; nell’ipotesi in cui, invece, la controparte (o una delle controparti) sia rimasta soltanto intimata, ovvero abbia effettuato il suddetto disconoscimento, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità il ricorrente ha l’onere di depositare l’asseverazione di conformità all’originale della copia analogica, entro l’udienza di discussione o l’adunanza in camera di consiglio”, proprio perchè trattasi di orientamento giurisprudenziale formatosi successivamente alla sentenza impugnata in questa sede ed attenendo tale orientamento, comunque, all’ambito della valutazione del giudice, sicchè esula dal perimetro della revocazione dei provvedimenti decisori della Cassazione.

5.5. Ritiene, infine il Collegio carente del requisito della non manifesta infondatezza la questione di costituzionalità, pure sollevata, peraltro genericamente, dal ricorrente nell’atto intitolato “opposizione del ricorrente” (che ben può essere considerato come memoria di detta parte ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.), (v. p. 6), con riferimento all’art. 395 c.p.c. nella parte in cui non prevede la revocazione delle sentenze (o ordinanze) di questa Corte di cassazione per il caso in cui quest’ultima incorra in violazione e/o falsa applicazione della legge o in omesso esame del fatto.

Al riguardo basta ribadire quanto già hanno avuto modo di affermare le Sezioni Unite di questa Corte con l’ordinanza n. 8984 del 11/04/2018, secondo cui “il combinato disposto dell’art. 391 bis c.p.c. e dell’art. 395 c.p.c., n. 4, non prevede come causa di revocazione della sentenza di cassazione l’errore di diritto, sostanziale o processuale, e l’errore di giudizio o di valutazione; nè, con riguardo al sistema delle impugnazioni, la Costituzione impone al legislatore ordinario altri vincoli oltre a quelli, previsti dall’art. 111 Cost., della ricorribilità in cassazione per violazione di legge di tutte le sentenze ed i provvedimenti sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari e speciali, sicchè non appare irrazionale la scelta del legislatore di riconoscere ai motivi di revocazione una propria specifica funzione, escludendo gli errori giuridici e quelli di giudizio o valutazione, proponibili solo contro le decisioni di merito nei limiti dell’appello e del ricorso per cassazione, considerato anche che, quanto all’effettività della tutela giurisdizionale, la giurisprudenza Europea e quella costituzionale riconoscono la necessità che le decisioni, una volta divenute definitive, non possano essere messe in discussione, onde assicurare la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici, nonchè l’ordinata amministrazione della giustizia” (v. pure Cass., sez. un., 27/12/2017, n. 30994).

6. Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile.

7. Tenuto conto del susseguirsi – negli ultimi tempi – di varie decisioni in relazione alla questione della procedibilità del ricorso per cassazione, le spese del presente procedimento ben possono essere interamente compensate tra le parti.

8. Non sussistono, pertanto, i presupposti per l’accoglimento dell’istanza ex art. 96 c.p.c. proposta dal R..

9. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e compensa per intero tra le parti le spese del presente procedimento; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3 della Corte Suprema di Cassazione, il 13 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2020

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