Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9723 del 22/04/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 9723 Anno 2013
Presidente: TRIFONE FRANCESCO
Relatore: VIVALDI ROBERTA

PU

SENTENZA
sul ricorso 19483-2007 proposto da:
CECCHI

UMBERTO

CCCMRT58TO1G337P,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 12, presso
lo studio dell’avvocato SMEDILE SERGIO, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato VILLA
FULVIO giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013
504

contro

SCHIANCHI STEFANIA, elettivamente domiciliata in
ROMA, VIA BOCCA DI LEONE 78, presso lo studio
dell’avvocato VANNI FRANCESCO, che la rappresenta e

1

Data pubblicazione: 22/04/2013

difende unitamente all’avvocato GALLI STEFANO giusta
delega in atti;
BODRIA LUCIANA, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIA BOCCA DI LEONE 78, presso lo studio dell’avvocato
VANNI FRANCESCO, che la rappresenta e difende

in atti;
– controricorrenti –

avverso la sentenza n.

367/2007 della CORTE D’APPELLO

di BOLOGNA, depositata

il 02/04/2007,

R.G.N.

820/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 05/03/2013 dal Consigliere Dott. ROBERTA
VIVALDI;
udito l’Avvocato SERGIO SMEDILE;
udito l’Avvocato ISABELLA ANGELINI per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO SGROI che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso;

2

unitamente all’avvocato GALLI STEFANO giusta delega

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Umberto Cecchi convenne, davanti al tribunale di Parma, i
coniugi Carlo Schianchi e Luciana Bodria chiedendone la
condanna al rilascio dell’immobile di proprietà del primo, già
detenuto dai secondi a titolo di comodato.

suoceri – abitando lo stesso attore con la famiglia già dal
1997 in altro immobile adiacente – consentendo che vi si
trasferissero.
Intervenuta la separazione coniugale – nell’ambito della quale
l’abitazione familiare era stata assegnata alla moglie Stefania
Schianchi – ‘ trovandosi nella necessità di reperire un
alloggio che gli consentisse anche di incontrare i figli,
aveva, inutilmente, richiesto la riconsegna dell’immobile, che
gli era stata negata dagli occupanti in ragione della
complessiva assegnazione intervenuta, unitamente alla casa
coniugale, in sede di separazione.
I convenuti, costituitisi, contestarono il fondamento della
domanda.
Il tribunale, con sentenza del 18.8.2005, escluso il carattere
dell’accessorietà dell’immobile all’edificio principale, ne
dispose la restituzione al comodante.
A diversa conclusione pervenne la Corte d’Appello che,
investita dell’impugnazione da parte di Luciana Bodria, con
l’intervento di Stefania Schianchi, dichiarò, con sentenza del
2.4.2007, la nullità della sentenza impugnata per la mancata
3

Chiarì che l’immobile era stato messo a disposizione dei

partecipazione al giudizio di Stefania Schianchi, rimettendo le
parti davanti al primo giudice.
Ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un motivo
illustrato da memoria il Cecchi.
Resistono con controricorso Luciana Bodria e Stefania

moTrvI

DELLA DECISIONE

Il ricorso è stato proposto per impugnare una sentenza
pubblicata una volta entrato in vigore il D. Lgs. 15 febbraio
2006, n. 40, recante modifiche al codice di procedura civile in
materia di ricorso per cassazione; con l’applicazione, quindi,
delle disposizioni dettate nello stesso decreto al Capo I.
Secondo l’art. 366-bis c.p.c. – introdotto dall’art. 6 del
decreto – i motivi di ricorso debbono essere formulati, a pena
di inammissibilità, nel modo lì descritto ed, in particolare,
nei

casi previsti

dall’art.

360,

n.

l),

2),

3)

e 4,

l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere con la
formulazione di un quesito di diritto, mentre, nel caso
previsto dall’art. 360, primo comma, n. 5), l’illustrazione di
ciascun motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto
controverso in relazione al quale la motivazione si assume
omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la
dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a
giustificare la decisione.
Segnatamente, nel caso previsto dall’art. 360 n. 5 c.p.c., l’
illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di
4

Schianchi.

inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in
relazione al quale la motivazione si assume omessa o
contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta
insufficienza della motivazione la renda inidonea a
giustificare la decisione; e la relativa censura deve contenere

circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare
incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione
della sua ammissibilità (S.U. 1.10.2007 n. 20603; Cass.
18.7.2007 n. 16002).
Il quesito, al quale si chiede che la Corte di cassazione
risponda con l’enunciazione di un corrispondente principio di
diritto che risolva il caso in esame, poi, deve essere
formulato, sia per il vizio di motivazione, sia per la
violazione di norme di diritto, in modo tale da collegare il
vizio denunciato alla fattispecie concreta ( v. S.U. 11.3.2008
n. 6420 che ha statuito l’inammissibilità – a norma dell’art.
366 bis c.p.c. – del motivo di ricorso per cassazione il cui
quesito di diritto si risolva in un’enunciazione di carattere
generale ed astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo
della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie
in esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a
definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, non
potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo od
integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale
abrogazione del suddetto articolo).
5

un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne

La funzione propria del quesito di diritto – quindi – è quella
di far comprendere alla Corte di legittimità, dalla lettura del
solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della
questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal
giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del

8463; v, anche S.U. ord. 27.3.2009 n. 7433).
Inoltre, l’art. 366 bis c.p.c., nel prescrivere le modalità di
formulazione dei motivi del ricorso in cassazione, comporta ai fini della declaratoria di inammissibilità del ricorso
stesso -, una diversa valutazione, da parte del giudice di
legittimità, a seconda che si sia in presenza dei motivi
previsti dai numeri l, 2, 3 e 4 dell’art. 360, primo comma,
c.p.c., ovvero del motivo previsto dal numero 5 della stessa
disposizione.
Nel primo caso ciascuna censura

– come già detto – deve,

all’esito della sua illustrazione, tradursi in un quesito di
diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va
funzionalizzata, ai sensi dell’art. 384 c.p.c.,
all’enunciazione del principio di diritto, ovvero a

dicta

giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare
importanza.
Nell’ipotesi, invece, in cui venga in rilievo il motivo di cui
al n. 5 dell’art. 360 c. p.c.c. (il cui oggetto riguarda il
solo iter argomentativo della decisione impugnata), è richiesta
una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve
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ricorrente, la regola da applicare ( da ultimo Cass.7.4.2009 n.

concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto
controverso ( cd. momento di sintesi) – in relazione al quale
la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero
delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende
inidonea la motivazione a giustificare la decisione (v. da

24255).
Con unico motivo il ricorrente denuncia

violazione

e

falsa

applicazione degli artt. 155 c.c. e 102 c.p.c..
Il motivo rispetta i requisiti richiesti dall’art. 366

bis

c.p.c.
Esso è fondato per le ragioni e nei termini che seguono.
La Corte di merito ha affermato che ”

il diritto fatto valere

da Schianchi mediante intervento in questo grado di giudizio è
quello del coniuge assegnatario ai sensi dell’art. 155 c.c.,
che trova autonomo titolo nel provvedimento giudiziale, il
quale, benchè ” non attribuisce un diritto reale di abitazione,
ma un diritto personale di godimento, variamente segnato da
tratti

di

atipicità”…. definisce un nuovo assetto nella

disponibilità dell’immobile, opponibile persino a terzi ed
intrinsecamente, per definizione, limitativo delle facoltà
inerenti la proprietà del medesimo: legittimo pertanto
l’intervento di Schianchi, già nella mera proposizione del
rilievo di nullità della sentenza negativamente incidente sul
proprio godimento in quanto emessa in esito al grado di

7

ultimo Cass. 25.2.2009 n. 4556; v. anche Cass. 18.11.2011 n.

giudizio nel quale avrebbe dovuto assumere ruolo di parte
necessaria”.
Su tale base ha, quindi, ritenuto che

\

In relazione

all’oggetto della causa, promossa dal proprietario al fine di
ottenere la riconsegna dal detentore dell’immobile che si

separazione, la viziata costituzione del contraddittorio si
profila, quindi, in coerenza con la premessa natura del diritto
del coniuge assegnatario, in termini di inopponibilità a
quest’ultimo della decisione emessa nei confronti del solo
detentore precario”.
E la stessa Corte di merito ha chiarito che ”

in altri termini

la richiesta di Cecchi di restituzione dell’immobile così come
formulata nei confronti della sola Bodria, nell’alveo
contrattuale del comodato intercorso, doveva necessariamente
essere indirizzata nei confronti di Schianchi, quale
destinataria della pronuncia invocata in forza del predetto
titolo giudiziale di assegnazione che la costituiva portatrice
di un interesse autonomo, legittimandola ad interloquire nel
merito della causa in relazione, nella specie, all’estensione
del godimento della casa coniugale al fabbricato in questione,
di cui deduce ora l’accessorietà, per converso derivandone
l’inefficacia della emanata o emananda pronuncia di
trasferimento dell’immobile o porzione di esso, necessariamente
incompatibile con il diritto azionato con l’intervento”.

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prospetti pertinenza di quello principale assegnato in sede di

Le conclusioni, cui perviene la Corte di merito, non possono
essere condivise.
In primo luogo si rileva l’ininfluenza – nel caso in esame dei precedenti giurisprudenziali ( S.U. 26.7.2002 n. 11096
21.7.2004 n.13603) citati dalla sentenza impugnata.

disciplina applicabile all’assegnazione della

casa familiare

disposta in favore di uno dei coniugi, nell’ipotesi in cui
l’immobile sia stato concesso in comodato al fine di essere
destinato a

del comodatario, coniuge

casa familiare

dell’assegnatario.
In tali occasioni, la Corte di cassazione ha enunciato il
seguente principio di diritto:

\N

Quando un terzo (nella

specie: il genitore di uno dei coniugi) abbia concesso in
comodato un bene immobile di sua proprietà perché sia destinato
a casa familiare, il successivo provvedimento – pronunciato nel
giudizio di separazione o di divorzio – di assegnazione in
favore del coniuge (nella specie: la nuora del comodante)
affida tario di figli minorenni o convivente con figlio
maggiorenni non autosufficienti senza loro colpa, non modifica
nè la natura nè il contenuto del titolo di godimento
sull’immobile, atteso che l’ordinamento non stabilisce una
del diritto di proprietà del
terzo a tutela di diritti che hanno radice nella solidarietà
coniugale o postconiugale, con il conseguente ampliamento della
posizione giuridica del coniuge assegnatario. Infatti, il
9

Tali sentenze, infatti, hanno affrontato il diverso tema della

provvedimento giudiziale di assegnazione della casa, idoneo ad
escludere uno dei coniugi dalla utilizzazione in atto e a
il godimento del bene in favore della persona
dell’assegnatario, resta regolato dalla disciplina del comodato
negli stessi limiti che segnavano il godimento da parte della

matrimoniale. Di conseguenza, ove il comodato sia stato
convenzionalmente stabilito a termine indeterminato
(diversamente da quello nel quale sia stato espressamente ed
univocamente stabilito un termine finale), il comodante è
tenuto a consentire la continuazione del godimento per l’uso
previsto nel contratto, salva l’ipotesi di sopravvenienza di un
urgente ed impreveduto bisogno, ai sensi dell’art. 1809,
secondo comma, c.c. “.
Ma, nel caso in esame, la questione è ben diversa.
L’immobile, infatti, è stato concesso in comodato ( senza
fissazione di termine) in costanza di matrimonio
dall’attuale ricorrente, proprietario esclusivo del bene, a
soggetti terzi ( i genitori del coniuge Stefania Scianchi),
estranei al nucleo familiare.
Il che, quindi, non può fondare l’affermata necessità della
partecipazione al presente giudizio di Stefania Scianchi sulla
base del provvedimento di assegnazione della casa coniugale
alla stessa ; e ciò in relazione ” all’estensione del godimento
della casa coniugale al fabbricato in questione”.

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comunità domestica nella fase fisiologica della vita

Il nodo della controversia – invece – è costituito dalla natura
dell’intervento spiegato dalla Schianchi nel giudizio di
appello: ovvero se si tratti di un intervento autonomo o
adesivo (dipendente).
La Corte di merito, senza precisare quali siano gli elementi

della sua qualificazione come intervento autonomo o, piuttosto,
adesivo dipendente, si è limitata ad affermare la necessità
della partecipazione all’odierno giudizio – il cui oggetto è
rappresentato dalla domanda di rilascio di un immobile dato in
comodato – di Stefania Schianchi quale coniuge assegnatario nel giudizio di separazione – della casa coniugale, del quale
l’immobile dato in comodato, dall’odierno ricorrente, sarebbe
una pertinenza.
Il punto è fondamentale perché, dal qualificare l’intervento in
uno dei due modi, discende la sua ammissibilità o meno nel
giudizio di appello.
E ciò è pregiudiziale all’esame del merito della stessa
impugnazione.
Ora, è principio pacifico nella giurisprudenza della Corte di
legittimità che l’intervento in appello sia ammissibile
soltanto quando l’interventore sia legittimato a proporre
opposizione di terzo ai sensi dell’articolo 404 c.p.c..
Ciò vuol dire che l’ammissibilità di un tale intervento deve
discendere dalla affermazione della titolarità di un diritto
autonomo, nei confronti di entrambe le parti; diritto la cui
11

che caratterizzano l’intervento in grado di appello, ai fini

tutela sia incompatibile con la situazione accertata o
costituita dalla sentenza di primo grado.
Diversamente, quando l’intervento stesso sia qualificabile come
adesivo, perchè volto a sostenere l’impugnazione di una delle
parti per porsi al riparo da un pregiudizio mediato, dipendente

di una delle parti, la possibilità di intervenire nel giudizio
di appello è negata (Cass. 10.4.2012 n. 5656; Cass. 23.5.2006
n. 12114; Cass. 5.3.2003 n. 3258).
Ora, con l’atto di intervento in appello

ex artt. 344 e 404

c.p.c., Stefania Schianchi ha sostenuto l’esistenza di un
vincolo pertinenziale tra la casa coniugale – a lei assegnata
in sede di separazione -ed il fabbricato concesso in comodato
ai suoi genitori dal Cecchi.
Su tale base, ha chiesto che fosse dichiarata la nullità della
sentenza di primo grado per la sua mancata partecipazione al
giudizio che si era concluso con un provvedimento idoneo a
pregiudicarla, negandole il diritto di disporre del bene
immobile facente parte del complesso familiare.
Dal canto suo, Lucia Bodria, impugnando la sentenza di primo
grado, ha riproposto l’eccezione di difetto di legittimazione
attiva del Cecchi sul presupposto che lo stesso, con il
provvedimento di assegnazione della casa coniugale al coniuge,
era stato privato della disponibilità dell’immobile.
E’ di tutta evidenza che, con tale intervento, Stefania
Schianchi sostiene l’appello proposto dalla Bodria la quale, in
12

da un rapporto che lega il diritto dell’interventore a quello

sostanza, fa valere le medesime censure, finalizzate ad
inserire il bene in contestazione fra quelli oggetto di
assegnazione alla figlia in sede di separazione; e, quindi, al
di fuori della sfera di disponibilità del proprietario.
Il pregiudizio che la Schianchi subirebbe dall’esito del

posto che, con la restituzione del bene al proprietario, sulla
base del comodato intercorso fra il Cecchi e la Bodria, ella
sarebbe privata del godimento di un bene che si afferma fare
parte, quale pertinenza, della casa familiare; con l’evidente
interesse, quindi, a sostenere i motivi di impugnazione
proposti dalla madre comodataria.
Ma, così facendo, la Schianchi non fa valere un diritto
autonomo, nei confronti di entrambe le parti; piuttosto tende
ad evitare le conseguenze alle quali di riflesso andrebbe
incontro una volta affermato – sulla base del contratto di
comodato – il diritto del Cecchi al rilascio dell’immobile da
parte della comodataria.
Ne deriva che l’intervento svolto in appello – nel presente
giudizio – da Stefania Scianchi deve essere qualificato come
adesivo; come tale, inammissibile.
Erronea è, dunque la statuizione della Corte di merito che, sul
presupposto della ricorrenza di un’ipotesi di litisconsorzio
necessario, ha ritenuto la nullità della sentenza di primo

,

grado, per la mancata partecipazione a quel giudizio di

13

giudizio sfavorevole alla Bodria è allora soltanto mediato,

Stefania Schianchi, rimettendo le parti davanti al primo
giudice.
La

Schianchi,

invece,

avrebbe

dovuto,

eventualmente,

sussistendone i presupposti, intervenire volontariamente nel
giudizio di primo grado per fare valere, in quella sede,

giudiziaria proposta dal Cecchi nei confronti dei coniugi Carlo
Schianchi e Luciana Bodria, legati all’affermato vincolo
pertinenziale.
Un tale accertamento non può, invece, chiedere al giudice
dell’appello, investito soltanto dell’impugnazione proposta da
Luciana Bodria contro la sentenza che ha accolto la domanda del
proprietario, di restituzione e rilascio del bene dato in
comodato.
Va, quindi, affermato il seguente principio di diritto:
Non sussiste litisconsorzio necessario che legittimi la
necessaria partecipazione del coniuge assegnatario della casa
coniugale al giudizio di rilascio del bene dato in comodato a
terzi dall’altro coniuge, proprietario dello stesso, sul
presupposto che tale bene costituisca pertinenza della casa
familiare. Ne consegue che l’intervento spiegato in appello,
nella causa fra il comodante ed il comodatario, di rilascio e
restituzione del bene dato in comodato, dal coniuge
assegnatario della casa coniugale, e finalizzato a far valere
il dedotto vincolo pertinenziale, deve qualificarsi adesivo;
come tale inammissibile nel giudizio di appello.
14

diritti che riteneva potere essere compromessi dall’azione

Il giudice del rinvio, dovrà – in sede di appello – giudicare
dell’impugnazione proposta esaminandone le ragioni di merito,
senza che la posizione di Stefania Schianchi possa in quella
sede rivestire alcuna rilevanza.
Conclusivamente, il ricorso è accolto. La sentenza è cassata, e

composizione.
Le spese sono rimesse al giudice del rinvio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa e rinvia, anche per le
spese, alla Corte d’Appello di Bologna in diversa composizione.
Così deciso il 5 marzo 2013 in Roma, nella camera di consiglio
della terza sezione civile della Corte di cassazione.

la causa è rinviata alla Corte d’Appello di Bologna in diversa

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