Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9723 del 14/04/2021

Cassazione civile sez. trib., 14/04/2021, (ud. 13/01/2021, dep. 14/04/2021), n.9723

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 12456/2014 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore p.t., rappresentata e

difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici, in

Roma, in via dei Portoghesi n. 12, è domiciliata;

– ricorrente –

contro

MPF Group s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa dall’avv.ti Giuseppe Tenchini, Fabio Franco e

Giuseppe Ferrara, elettivamente domiciliata presso i primi due in

Roma alla via F. De Sanctis n. 4;

– controricorrente –

e

Manifattura Gioielli s.r.l., in liquidazione e con domanda di

ammissione al concordato preventivo, in persona del legale

rappresentante pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza n. 28/24/13 della Commissione tributaria

regionale della Toscana, pronunciata in data 18 marzo 2011,

depositata in data 20 marzo 2013 e non notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13 gennaio

2021 dal consigliere Andreina Giudicepietro.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

L’Agenzia delle Entrate ricorre con un unico articolato motivo avverso la Manifattura Gioielli s.r.l., in liquidazione e con domanda di ammissione al concordato preventivo, e la MPF Group s.r.l. per la cassazione della sentenza n. 28/24/13 della Commissione tributaria regionale della Toscana, pronunciata in data 18 marzo 2011, depositata in data 20 marzo 2013 e non notificata, che, in controversia relativa all’impugnativa dell’atto di contestazione con cui, in relazione all’anno di imposta 2004, veniva irrogata una sanzione di Euro 50.000,00 per l’omessa indicazione separata dei costi di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 1, comma 11, (T.u.i.r.), ha accolto l’appello della MPF Group s.r.l. avverso la sentenza della C.t.p. di Firenze, che aveva rigettato il ricorso della stessa società MPF Group s.r.l.;

la fattispecie trae origine da una verifica della polizia tributaria di Firenze nei confronti della MPF Group s.r.l. finalizzata al controllo dell’applicazione della normativa fiscale in merito agli acquisti effettuati in Paesi inclusi nella c.d. black list di cui al D.M. 23 gennaio 2002;

con l’atto oggetto di impugnazione, l’Agenzia delle entrate irrogava la sanzione di Euro 50.000,00, prevista dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 8, comma 3 bis per l’omessa separata indicazione dei costi di cui agli artt. 10 e 11 T.u.i.r.;

la società impugnava l’avviso di irrogazione delle sanzioni innanzi alla C.t.p. di Firenze che respingeva il ricorso con sentenza riformata dalla C.t.r. della Toscana n. 28/24/13, depositata il 20.3.2013;

con la sentenza impugnata, la C.t.r. riteneva che, sebbene “la facoltà riconosciuta al contribuente dalla normativa di riferimento relativa alla emendabilità della dichiarazione non può essere rapportata, come erroneamente propone l’impugnata sentenza, all’istituto del ravvedimento operoso”, ” non è del pari vero che la dichiarazione fiscale integrativa – presentata anche successivamente alla constatazione di riprese fiscali – produca – come pretende l’appellante – un effetto estintivo totale”;

secondo il giudice di appello, “a mente della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 303 – applicabile retroattivamente anche in virtù del principio di legalità (D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 3, comma 3) – se il contribuente fornisce delle circostanze che gli danno diritto alla deroga contemplata dall’art. 110, comma 11, del T.u.i.r. (circostanze nel caso di specie asseverate e non contestate), l’unica sanzione applicabile per la violazione di carattere meramente formale (mancata indicazione separata) rimane quella da Euro 258,00 ad Euro 2065,00 prevista dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 8, comma 1”;

la C.t.r. concludeva, quindi nel senso che “la sanzione proporzionale del 10%, con un minimo di Euro 500,00 ad un massimo di Euro 50.000,00, si applica soltanto qualora la impresa avente sede in Italia non provi le circostanze che danno diritto alla deduzione in deroga al principio generale di indeducibilità del costo di merci importate dai paesi inclusi nella black list”;

a seguito del ricorso e del deposito della relazione ex art. 380 bis c.p.c. da parte del consigliere relatore della VI sezione, con ordinanza del 25/11/2015, la causa veniva rinviata a nuovo ruolo per consentire la rinotifica del ricorso alla società MPF Group s.r.l. presso il difensore costituito nel precedente grado di giudizio, rag. R.A.;

l’Agenzia delle entrate provvedeva alla rinnovazione della notifica del ricorso mediante invio via p.e.c. al difensore dell’atto, che risultava consegnato in data 11 gennaio 2016;

la società MPF Group s.r.l. si costituiva con controricorso notificato il 22 febbraio 2015 e depositato in data 10 marzo 2016;

il ricorso è stato successivamente inviato alla V sezione civile e fissato per la Camera di Consiglio del 13 gennaio 2021, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380 bis 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197;

le parti hanno depositato memorie.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

preliminarmente, deve rilevarsi che la società MPF Group s.r.l. risulta aver depositato in data 10/3/2016 il controricorso, con cui ha dedotto di aver ricevuto comunicazione dal Rag. R.A. della notifica in rinnovazione, effettuata in data 11 gennaio 2016 dall’Agenzia delle Entrate (per il tramite dell’Avvocatura di Stato) mediante posta elettronica certificata all’indirizzo pec del Rag. R. (doc. 1) del ricorso meglio indicato in epigrafe;

la società, con il controricorso e la memoria successivamente depositata, sostiene di essere del tutto estranea al presente contenzioso, che avrebbe ad oggetto l’impugnazione effettuata da altra società, denominata tuttavia come l’esponente, MPF Group s.r.l., dell’atto di contestazione (OMISSIS) inerente il periodo d’imposta 2004;

nel ricorso introduttivo, in particolare, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che l’atto di contestazione oggetto di impugnazione venne emesso nei confronti della MPF Group s.r.l. a seguito della notifica, alla medesima società, di processo verbale di constatazione;

l’Ente impositore, inoltre, ha evidenziato che il codice fiscale della Mpf Group s.r.l “corrisponde ora a Manifattura Gioielli s.r.l. in liquidazione”;

pertanto, la controricorrente deduce la propria carenza di legittimazione passiva, in quanto sarebbe società diversa, costituita solo nel 2012 e con un differente codice fiscale, da quella che aveva impugnato, nei precedenti gradi di merito, l’atto di contestazione emesso nei suoi confronti dall’Agenzia delle entrate;

la controricorrente produce visure storiche dalle quali si evince quanto sostenuto in controricorso e con la memoria;

l’eccezione di carenza di legittimazione passiva è fondata e va accolta, in quanto la società Mpf Group s.r.l. (p.iva (OMISSIS)) risulta costituita in data 28 dicembre 2011 ed iscritta nel registro delle imprese il 5 gennaio 2012;

essa, quindi, è soggetto distinto rispetto sia alla Mpf Group s.r.l. sia alla Manifattura Gioielli s.r.l., cui l’Agenzia delle Entrate si riferisce nel ricorso per cassazione e nella relata di notifica allo stesso allegata;

tale circostanza è altresì desumibile dal diverso codice fiscale/partita iva attribuito alla comparente rispetto a quello della Manifattura Gioielli s.r.l. (precedentemente denominata Mpf Group s.r.l.);

la controricorrente, conseguentemente, non è stata parte dei precedenti gradi di giudizio del presente contenzioso tributario il quale, al contrario, ha riguardato una società avente denominazione analoga (Mpf Group s.r.l.), ma codice fiscale diverso;

l’odierna società, siccome costituita il 28 dicembre 2011, non ha potuto ricevere la notifica dell’atto di contestazione oggetto del presente contenzioso, il quale, come risulta dallo stesso ricorso introduttivo, è stato emesso in data 28 settembre 2006, ossia cinque anni prima della data della sua costituzione;

i rilievi che precedono dimostrano dunque la fondatezza dell’eccezione preliminare di rito sollevata dalla controricorrente (ossia la carenza di legittimazione passiva di quest’ultima) e la conseguente inammissibilità del ricorso per cassazione notificato alla Mpf Group s.r.l.;

tuttavia, l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, notificato anche alla Manifattura Gioielli s.r.l., nei confronti della quale il ricorso è ammissibile, dovendosi ritenere che vi sia una continuità tra la originaria MPF Group s.r.l. e la Manifattura Gioielli s.r.l., essendo quest’ultima era subentrata nel codice fiscale della prima;

passando, quindi, all’esame dell’unico motivo di ricorso, l’Agenzia delle entrate denunzia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 8, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 16 e della L. 27 dicembre 1996, n. 296, art. 1, commi 302 e 303, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

il motivo è fondato e va accolto;

il giudice di appello aveva ritenuto che la dichiarazione integrativa presentata dalla contribuente, con indicazione separata dei costi anche in epoca successiva alla contestazione, non produceva un effetto estintivo totale delle sanzioni a carico del contribuente, determinando unicamente l’applicazione della sanzione di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 8, comma 1 con esclusione della sanzione massima di Euro 50.000,00, applicabile unicamente in assenza di prova circa i presupposti che davano diritto alla deduzione dei costi;

secondo la ricorrente, la C.t.r. aveva errato nell’escludere l’applicazione della sanzione introdotta dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 8, comma 3 bis come novato dalla L. n. 296 del 2006, commi 302 e 303 il quale aveva sostituito all’indeducibilità dei costi non indicati separatamente in dichiarazione la sanzione fino ad un massimo del dieci per cento dei costi medesimi per il caso di sussistenza dei presupposti per la deducibilità dei costi, ancorchè non fossero stati separatamente indicati in dichiarazione;

la dichiarazione integrativa volta a sanare tale omessa separata indicazione non poteva, pertanto, produrre alcun effetto se intervenuta in epoca successiva alla contestazione della violazione, determinando comunque l’applicazione cumulativa delle sanzioni previste dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 8, commi 1 e 3 bis;

come è stato detto “in tema d’imposte sui redditi, in caso di omessa o lacunosa esposizione di componenti negative del reddito inerenti operazioni commerciali intercorse con imprese aventi sede in Stati aventi regimi fiscali privilegiati, la contestazione della violazione costituisce causa ostativa alla presentazione della dichiarazione integrativa, di cui al D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8, in quanto se fosse possibile porre rimedio alle irregolarità anche dopo la contestazione delle stesse la correzione si risolverebbe in un inammissibile strumento di elusione delle sanzioni previste dal legislatore. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che aveva ritenuto idonea a sanare l’illecito la dichiarazione integrativa del contribuente successiva alla verifica parziale dell’Amministrazione finanziaria, ma anteriore alla notifica del processo verbale di constatazione)” (Cass. Sez. 6 5, Sentenza n. 15798 del 27/07/2015);

inoltre, questa Corte, con le sentenze n. 15285/2015, n. 15260/2015 e n. 15798/2015, depositate rispettivamente il 21 e il 27 luglio 2015, richiamando ulteriori precedenti (in particolare Cass. n. 5398/2012 e 24929/2013), ha compiuto un excursus storico delle modifiche normative apportate alla disciplina degli acquisti operati da Paesi a fiscalità privilegiata, evidenziando il superamento dell’indeducibilità dei costi inizialmente correlato alla triplice dimostrazione che: a) i contraenti stranieri svolgevano attività commerciale; b) le operazioni avevano avuto concreta esecuzione; c) le operazioni fossero indicate separatamente in dichiarazione;

tale sistema, originariamente previsto dal D.P.R. n. 917 del 1976, art. 76, comma 7 bis fino al 31.12.2003 e dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 110, commi 10 e 11, nel testo in vigore dall’I gennaio 2004 al 1 gennaio 2007, ha lasciato il posto ad una diversa regolamentazione normativa, avente decorrenza dall’1 gennaio 2007, secondo cui la deducibilità dei costi scaturenti da operazioni intercorse con soggetti residenti in Paesi Black list risulta subordinata unicamente alla prova dell’operatività dell’impresa estera contraente e dell’effettività della transazione commerciale;

la L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 302 ha, quindi, aggiunto al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 8 il comma 3-bis, secondo il quale “Quando l’omissione o incompletezza riguarda l’indicazione delle spese e degli altri componenti negativi di cui al testo unico delle imposte sui redditi, di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 110, comma 11, si applica una sanzione amministrativa pari al 10 per cento dell’importo complessivo delle spese e dei componenti negativi non indicati nella dichiarazione dei redditi, con un minimo di Euro 500 ed un massimo di Euro 50.000”;

infine, la L. n. 296 del 2006, art. 1, al comma 303, ha ulteriormente disposto in via transitoria che “…La disposizione del comma 302 si applica anche per le violazioni commesse prima della data di entrata in vigore della presente legge, sempre che il contribuente fornisca la prova di cui all’art. 110, comma 11, primo periodo, del citato testo unico delle imposte sui redditi. Resta ferma in tal caso l’applicazione della sanzione di cui al D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 8, comma 1”;

appare chiaro, dunque, che il legislatore ha ritenuto che la violazione (omessa indicazione separata dei costi) comportasse la nuova sanzione amministrativa proporzionale (pari al 10% dei costi) ed anche la sanzione fissa per le violazioni formali, ritenuta, invece erroneamente applicabile in via esclusiva dalla Commissione Tributaria Regionale;

tale interpretazione è stata ribadita anche di recente da questa Corte, che ha affermato che “in tema di determinazione del reddito d’impresa, a decorrere dal 1 gennaio 2007 (data di entrata in vigore della L. n. 296 del 2006), la deducibilità dei costi derivanti da operazioni intercorse con imprese domiciliate fiscalmente in Stati o territori aventi regimi fiscali privilegiati (cd. “black list”) è condizionata alla prova, da parte dell’impresa residente, che “le imprese estere svolgono prevalentemente un’attività commerciale effettiva” ovvero che “le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico”, mentre l’obbligo di separata indicazione nella dichiarazione dei suddetti costi è stato degradato da condizione sostanziale di deducibilità di essi a obbligo di carattere formale. Nel caso di violazione di quest’ultimo obbligo commessa prima del 1 gennaio 2007, in base alla norma transitoria dell’art. 1, comma 303, della legge cit., qualora l’impresa residente fornisca la prova delle menzionate condizioni sostanziali di deducibilità dei costi (o anche qualora l’Amministrazione finanziaria non le contesti), si applica sia la sanzione amministrativa proporzionale pari al 10 per cento dell’importo complessivo delle spese non indicate (primo periodo del comma 303), sia la sanzione amministrativa da 258,23 a 2.065,83 Euro prevista dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 8, comma 1, (secondo periodo del comma 303) (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato l’impugnata sentenza della CTR che aveva affermato che l’impresa contribuente che, nel periodo d’imposta 2003, aveva dedotto costi derivanti da operazioni intercorse con imprese domiciliate fiscalmente in Paesi cd. “black list” senza indicarli separatamente in dichiarazione, fornendo la prova dell’esistenza delle condizioni sostanziali di deducibilità degli stessi costi, andava esente da sanzioni in ragione dell’asserito carattere “meramente formale” della violazione)” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 9338 del 21/05/2020);

nella fattispecie in esame, temporalmente collocata in epoca anteriore al 31.12.2006, ma comunque soggetta alla disciplina di cui al comma 303 ult.cit. in forza della disciplina transitoria, risulta applicabile, per la sola violazione dell’obbligo di separata indicazione, il cumulo della sanzione proporzionale del 10 per cento (entro limiti prescritti) disposta dal sopravvenuto comma 3 bis, con la sanzione, definita nel minimo e nel massimo, di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 8, comma 1;

diversamente ragionando si dovrebbe giungere alla conclusione per cui alle violazioni commesse dopo la novella si applicherebbe la sanzione del 10%, mentre, per le violazioni antecedenti resterebbe applicabile solo la sanzione in misura fissa;

tale lettura della normativa, come rilevato da parte ricorrente, sarebbe del tutto irrazionale e contraria allo spirito della novella di mitigare la sanzione, con un paradossale effetto premiale a vantaggio di chi ha commesso la violazione quando questa era più grave;

in conclusione, il ricorso va accolto nei confronti della Manifattura Gioielli s.r.l. e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla C.t.r. della Toscana, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità, ad eccezione di quelle nei confronti di MPF Group, che vanno compensate.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei confronti della Manifattura Gioielli s.r.l., dichiarato inammissibile nei confronti della MPF Group s.r.l.;

cassa la sentenza impugnata e rinvia alla C.t.r. della Toscana, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità, ad eccezione di quelle tra la MPF Group s.r.l. e l’Agenzia delle entrate, che vanno compensate.

Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2021

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