Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9722 del 23/04/2010

Cassazione civile sez. I, 23/04/2010, (ud. 03/03/2010, dep. 23/04/2010), n.9722

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –

Dott. PICCININNI Carlo – rel. Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Banca Stabiese s.p.a. in persona del legale rappresentante,

elettivamente domiciliata in Roma, via Tacito 41, presso l’avv.

Adolfo Zini, rappresentata e difesa dall’avv. Ruggiero Vincenzo

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

Fallimento Faito Sorgenti Minerali s.p.a. in persona del curatore,

elettivamente domiciliato in Roma, via Calabria 56, presso l’avv.

D’Amato Antonio, che con l’avv. Massimo Peluso lo rappresenta e

difende giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 1021/04 del

22.3.2004;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

3.3.2010 dal Relatore Cons. Dr. Carlo Piccininni;

Udito l’avv. Ruggiero per il ricorrente;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione del 3.3.1998 il fallimento Faito Sorgenti Minerali s.p.a. conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Torre Annunziata la Banca Stabiese, per sentire revocare le rimesse per L. 353.133.824 effettuate su conto corrente acceso presso il detto istituto di credito, nell’anno antecedente al fallimento.

Il tribunale accoglieva la domanda nell’opposizione della banca, che aveva eccepito la natura bilanciata delle operazioni poste in essere, e la sentenza, impugnata, veniva poi confermata dalla Corte di Appello di Napoli.

In particolare la Corte territoriale rilevava: a) l’infondatezza dell’eccezione di nullità dell’atto di citazione per indeterminatezza “del petitum dovuta alla mancata specificazione delle rimesse revocabili”, essendo state dedotte “circostanze sufficienti ad argomentare l’azione proposta”; b) l’avvenuto raggiungimento della prova della “scientia decoctionis”, desumibile segnatamente dalla “revoca dell’affido concesso, con effetto immediato e invito al rimborso”; c) la mancanza di prova in ordine alla pretesa natura bilanciata delle rimesse e la genericità delle prove formulate al riguardo; d) l’inconsistenza dell’eccezione di compensazione; e) la corretta decorrenza degli interessi, fissata a far tempo dalla domanda giudiziale.

Avverso la decisione la banca proponeva ricorso per cassazione affidato a cinque motivi poi ulteriormente illustrati da memoria, cui resisteva con controricorso il fallimento.

La controversia veniva quindi decisa all’esito dell’udienza pubblica del 3.3.2010.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con i motivi di impugnazione la Banca Stabiese ha rispettivamente denunciato: 1) violazione dell’art. 24 Cost., artt. 88, 101, 190 c.p.c., per il fatto che il fallimento, dopo aver presentato una comparsa conclusionale del tutto laconica (“appena quattro righe”), che in quanto tale non aveva consentito alcuna deduzione, si era poi diffuso con la comparsa di replica, precludendo, quindi un corretto svolgimento del contraddittorio;

2) violazione dell’art. 67 L. Fall., artt. 115 e 116 c.p.c., e vizio di motivazione, con riferimento alla negata configurabilità di operazioni bilanciate in alcune delle rimesse poste in essere (per Euro 60.417,34, di cui Euro 25.486,19 versati in contanti), operazioni che viceversa sarebbero state desumibili dalla documentazione prodotta e la cui esistenza avrebbe potuto essere inoltre confortata dall’espletamento di prova testimoniale o di consulenza tecnica, di cui pure era stata chiesta l’ammissione;

3) violazione dell’art. 67 L. Fall. e vizio di motivazione, in relazione all’affermata esistenza del “presupposto soggettivo necessario per l’accoglimento dell’azione revocatoria”, individuato esclusivamente nell’avvenuta revoca dell’affidamento;

4) violazione degli artt. 163 e 164 c.p.c. e vizio di motivazione per la genericità dell’atto di citazione, denunciata sotto il profilo dell’omessa specificazione delle pretese fatte valere in giudizio, e sulla quale la Corte territoriale si sarebbe espressa negativamente in termini apodittici;

5) violazione dell’art. 67, L. Fall. e vizio di motivazione rispetto alla decorrenza degli interessi, a torto stabilita a far tempo dalla domanda anzichè dal deposito della sentenza. Ritiene il Collegio che le censure siano infondate. Prendendo dapprima in esame il quarto motivo di impugnazione, attesa la sua pregiudizialità sul piano logico, si osserva che la doglianza attiene alla pretesa nullità dell’atto di citazione per indeterminatezza del “petitum”, eccezione disattesa dapprima in primo grado e quindi in sede di gravame, per il fatto che il fallimento aveva dedotto la revocabilità di tutte le rimesse affluite, nel periodo sospetto, richiamando l’estratto conto bancario prodotto all’atto della costituzione … con riferimenti articolati all’epoca del fallimento, all’esecuzione delle rimesse nel periodo sospetto …”.

A fronte di tale valutazione di merito, sorretta da adeguata motivazione e confortata anche nella giurisprudenza di questa Corte (C. 08/14552, C. 06/7667), il ricorrente si è limitato a denunciare genericamente l’erroneità della statuizione, senza neppure indicare sotto quale profilo e per quale motivo i suoi diritti di difesa sarebbero stati nel concreto compressi e violati.

Venendo quindi al primo motivo di ricorso, si rileva che il vizio è insussistente poichè nel denunciato comportamento del fallimento non è ravvisabile alcuna violazione di disposizioni processuali o compressione dei diritti di difesa … . La redazione o meno di comparse conclusionali e di replica, il loro contenuto e la relativa estensione rientra infatti nell’ambito della strategia processuale delle parti – pertanto ad esse discrezionalmente rimessa -, mentre la lesione del diritto di difesa è astrattamente configurabile in presenza di fatti ostativi al relativo esercizio, neppure astrattamente ipotizzabili nella specie, non risultando frapposto alcun ostacolo alla presentazione di atti e scritti difensivi. Con il secondo motivo la banca si è poi doluta del fatto che a torto la Corte di appello aveva negato l’esistenza di operazioni bilanciate.

In proposito occorre tuttavia premettere che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’esclusione della revocabilità di rimesse affluite su un conto corrente presuppone il venir meno delle funzioni solutorie delle stesse, in virtù di accordi intercorsi tra “solvens” ed “accipiens” che le abbiano destinate a costituire la provvista di coeve o prossime operazioni di prelievo o di pagamenti mirati in favore di terzi, in modo cioè da poter escludere che la banca abbia beneficiato dell’operazione (C. 08/6190, C. 07/23393, C. 04/24084).

Nella specie la Corte territoriale ha escluso che dagli atti (perizia allegata dalla banca, documentazione richiamata) fosse desumibile il carattere bilanciato delle operazioni, ritenendo inoltre inammissibile per genericità la prova richiesta sul punto, come d’altro canto già affermato dal primo giudice.

Tale valutazione è stata contestata dalla ricorrente essenzialmente sotto il profilo del vizio di motivazione, ma la doglianza appare generica ed inadeguata.

Ed infatti, contrariamente a quanto sostenuto, la Corte di appello non ha rigettato la domanda sulla base del presupposto della non configurabilità di operazioni bilanciate in un conto corrente scoperto, ma per il fatto che nel concreto non vi sarebbe stata dimostrazione della natura bilanciata delle operazioni in contestazione, dimostrazione che non sarebbe neppure astrattamente conseguibile con la prova per testi quale riportata nel ricorso, incentrata esclusivamente sulle date e le occasioni dei pagamenti oggetto di esame, anzichè sull’esistenza di un accordo tra “solvens ed accipiens”, relativamente alla destinazione dei pagamenti.

Ad analoghe conclusioni deve poi pervenirsi per quanto riguarda il richiamo alla consulenza tecnica di parte di cui non si sarebbe tenuto il debito conto, richiamo che risulta assolutamente generico, non essendo stata fornita alcuna indicazione in ordine al relativo contenuto ed alla sua potenziale incidenza sulla definizione della controversia in esame.

Il terzo motivo attiene all’affermata esistenza di prova in ordine alla “scientia decoctionis” della società Faito da parte della banca.

Detta prova è stata desunta dalla revoca dell’affido concesso, con effetto immediato ed invito al rimborso, revoca che tuttavia, secondo il ricorrente, non avrebbe quel connotato di univocità, idoneo a farlo assurgere al valore probatorio conferitogli.

Osserva il Collegio che, pur tralasciando gli ulteriori elementi non contestati indicati nel controricorso (pignoramento richiesto dalla banca, stralcio del credito in sofferenza, presentazione del ricorso per fallimento), il giudizio circa la consapevolezza della conoscenza dell’insolvenza è espressione di valutazione di merito, e quindi insindacabile in questa sede di legittimità se, come nella specie, sorretta da motivazione non viziata sul piano logico.

Resta infine il quinto motivo relativo alla decorrenza degli interessi, che a dire del ricorrente la Corte di appello avrebbe dovuto far risalire alla data della sentenza anzichè a quella della domanda.

La doglianza, fra l’altro formulata in modo generico, non può essere condivisa tenuto conto della natura costitutiva dell’azione revocatorie avente ad oggetto l’esercizio di un diritto potestativo e non un diritto di credito, circostanza da cui discende che i frutti da restituire, in essi compresi gli interessi, decorrono dalla domanda giudiziale (C. 09/14896, C. 07/6991, C. 01/11594, C. 00/2912, C. 98/10140). Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente, soccombente, al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 7.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 3 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 aprile 2010

 

 

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