Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9721 del 14/04/2021

Cassazione civile sez. trib., 14/04/2021, (ud. 11/01/2021, dep. 14/04/2021), n.9721

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 1758/2018 R.G. proposto da:

G.G., rappresentato e difeso dall’avv. Antonio Pimpini del

Foro di Chieti, ed elettivamente domiciliato in Roma, Via Savoia, n.

80, presso lo studio dell’avv. Elettra Bianchi;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro-tempore;

– intimata –

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale

dell’Abruzzo, Sezione Staccata di Pescara, n. 473/07/2017,

pronunciata il 18.4.2017 e depositata il 24.5.2017;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’11 gennaio 2021 dal consigliere Giuseppe Saieva.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Commissione tributaria provinciale di Chieti accoglieva il ricorso proposto da G.G. ed annullava l’avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle entrate aveva accertato, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 per l’anno 2008, un maggior reddito di capitale, derivante da una presunta distribuzione di utili ai soci dell’Impresa G.G. s.r.l. di cui il ricorrente deteneva una partecipazione sociale del 70%.

2. La Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, Sezione staccata di Pescara, con sentenza n. 473/07/2017, depositata il 24.5.2017, accoglieva l’appello interposto dall’Ufficio, ritenendo che ai fini della determinazione del reddito di impresa, il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32 impone di considerare ricavi sia i prelevamenti, sia i versamenti su conto corrente, salvo che il contribuente non provi che questi ultimi siano registrati in contabilità e che i primi sono serviti per pagare determinati beneficiari, anzichè costituire acquisizione di utili; che nella specie il contribuente, socio di una s.r.l. a ristrettissima base partecipativa (composta da due coniugi ed un figlio), a fronte delle movimentazioni effettuate sui conti correnti bancari, non aveva fornito alcuna prova documentale idonea a superare la presunzione che i versamenti e i prelevamenti fossero operazioni imponibili o comunque imputabili a ricavi conseguiti nell’esercizio dell’attività d’impresa.

3. Avverso tale decisione il contribuente ha quindi proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, mentre l’Agenzia delle entrate è rimasta intimata.

4. Il ricorso è stato fissato nella camera di consiglio dell’11 gennaio 2021, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380 bis 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 avendo la C.T.R. accolto l’appello benchè l’ufficio finanziario non avesse fornito la prova della pretesa tributaria, preferendo “utilizzare la prova presuntiva, al fine di sottrarsi a doveri probatori assolutamente necessari”.

2. Con il secondo motivo deduce “violazione e falsa applicazione, dell’art. 2467 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 asserendo di avere allegato prove documentali pacificamente riconducibili nello schema del richiamato disposto normativo e dimostrando che le somme contestate costituivano “un finanziamento indiretto del socio G.G., derivante dalla cessione di immobili di cui era titolare, versate direttamente dai terzi acquirenti in favore della società” (Impresa G.G. s.r.l.).

3. A parte l’inconferente richiamo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 le dedotte violazioni delle citate norme del codice civile appaiono suscettibili di esame congiunto e vanno entrambe disattese in quanto prive di fondamento.

4. Invero, costituisce consolidato orientamento di questa Corte, quello secondo cui “in tema di accertamento delle imposte sui redditi e con riguardo alla determinazione del reddito di impresa, il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32 impone di considerare ricavi sia i prelevamenti, sia i versamenti su conto corrente, salvo che il contribuente non provi che i versamenti siano registrati in contabilità e che i prelevamenti siano serviti per pagare determinati beneficiari, anzichè costituire acquisizione di utili; e ciò senza che si debba procedere alla deduzione presuntiva di oneri e costi deducibili, giacchè, in forza della disposta inversione dell’onere della prova, grava sul contribuente l’onere di superare la contraria presunzione di legge (relativa), attestando la ricorrenza di specifici costi deducibili con concreti elementi di prova, non mediante affermazioni, di carattere generale, semplici presunzioni o il richiamo all’equità. Alla presunzione di legge (relativa) va infatti contrapposta una prova, non un’altra presunzione semplice ovvero una mera affermazione di carattere generale” (cfr. Cass. Sez. 6-5, 01/02/2016, n. 1898; nonchè Sez. 5, 28/11/2014, n. 25317; Sez. 5, 04/03/2011, n. 5192; Sez. 5, 05/12/2007, n. 25365).

5. Nel caso in esame, l’Agenzia delle Entrate, avvalendosi legittimamente della presunzione stabilita dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, comma 1, n. 2) ha ritenuto il contribuente titolare del reddito corrispondente, talchè era onere del contribuente, a norma del stesso art. 32, fornire la prova che si trattava di disponibilità reddituale esente da imposta, dimostrando analiticamente l’irrilevanza di ciascuna singola operazione; lo stesso contribuente, peraltro, in violazione del dovere di autosufficienza, ha omesso altresì di indicare il documento (e la relativa localizzazione) che attesterebbe il movimento di somme da terzi acquirenti d’immobili verso la omonima società.

6. Quanto poi alla dedotta illegittimità di doppia presunzione va osservato che nel sistema processuale non esiste il divieto delle presunzioni di secondo grado, in quanto lo stesso non è riconducibile nè agli artt. 2729 e 2697 c.c. nè a qualsiasi altra norma e ben potendo il fatto noto, accertato in via presuntiva, costituire la premessa di un’ulteriore presunzione idonea in quanto a sua volta adeguata a fondare l’accertamento del fatto ignoto (cfr. Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 20748 del 01/08/2019 (Rv. 655040 – 01). Inoltre, in tema di presunzioni, la prova inferenziale che sia caratterizzata da una serie lineare di inferenze, ciascuna delle quali sia apprezzata dal giudice secondo criteri di gravità, precisione e concordanza, fa sì che il fatto “noto” attribuisca un adeguato grado di attendibilità al fatto “ignorato”, il quale cessa pertanto di essere tale divenendo noto, ciò che risolve l’equivoco logico che si cela nel cd. divieto di doppie presunzioni (cfr. Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 27982 del 07/12/2020 (Rv. 659820 – 01).

7. è evidente, pertanto, la legittima applicazione dell’art. 32, da parte dei giudici della C.T.R. i quali hanno correttamente ritenuto ricavi d’impresa le somme contestate, in assenza di qualsiasi documentazione, non avendo il contribuente allegato alcunchè a sostegno della propria tesi, malgrado l’onere probatorio che gravava su di lui ai sensi della disposizione normativa in esame il cui carattere di specialità la rende prevalente rispetto alle disposizioni civilistiche richiamate dal ricorrente.

8. Nella sentenza impugnata non appaiono dunque ravvisabili i dedotti vizi di violazione di legge, talchè il ricorso va rigettato. Nulla per le spese non avendo l’ufficio finanziario svolto attività difensiva.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 11 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2021

 

 

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