Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9719 del 14/04/2021

Cassazione civile sez. trib., 14/04/2021, (ud. 11/01/2021, dep. 14/04/2021), n.9719

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 10518/2014 R.G. proposto da:

G.G., rappresentato e difeso dall’avv. Antonio Pimpini del

Foro di Chieti, ed elettivamente domiciliato in Roma, Via Savoia, n.

80, presso lo studio dell’avv. Elettra Bianchi;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro-tempore,

rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato,

presso i cui uffici è domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, n.

12;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale

dell’Abruzzo, Sezione staccata di Pescara, n. 505/10/2013,

pronunciata il 14.3.2013 e depositata il 22.10.2013;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’11 gennaio 2021 dal consigliere Giuseppe Saieva.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. G.G. impugnava l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle entrate ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4 rettificava sinteticamente il reddito complessivo per l’anno 2004 in Euro 83.035,37 ed irrogava le relative sanzioni per infedele presentazione della dichiarazione dei redditi ai fini dell’Irpef, nonchè addizionali regionali e comunali.

2. La Commissione tributaria provinciale di Chieti accoglieva il ricorso proposto dal contribuente ritenendo che lo stesso aveva dato conto di possedere adeguate disponibilità finanziarie derivanti dalli vendite dei cespiti immobiliari descritte e prodotte agli atti. Inoltre, evidenziava che l’Ufficio non aveva svolto alcun accertamento sulla ditta individuale dello stesso G.G..

3. La Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, Sezione Staccata di Pescara, accoglieva l’appello interposto dall’Ufficio, precisando che, avendo l’Ufficio proceduto ad effettuare un accertamento sintetico, era il contribuente che avrebbe dovuto dimostrare che il reddito non esisteva o esisteva in misura inferiore.

4. Avverso tale decisione il G. ha quindi proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui l’Agenzia delle entrate resiste con contro ricorso.

5. Il ricorso è stato fissato nella camera di consiglio dell’11 gennaio 2021, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380 bis 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè omesso esame sul punto decisivo della controversia relativo “alla distinzione creata tra contribuente persona fisica e contribuente titolare di ditta individuale omonima”, contestando la distinzione effettuata tra il reddito prodotto come persona fisica ed il reddito d’impresa di cui egli era altresì titolare, ritenendo comunque di avere dimostrato non solo che il maggior reddito determinato sulla base del redditometro era costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta, ma anche che il reddito presunto sulla base del redditometro non esisteva o esisteva in misura inferiore o addirittura in misura finanche superiore all’accertato.

2. Con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione, dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, per non avere l’Ufficio fornito la prova della pretesa tributaria, utilizzando il metodo sintetico al fine di sottrarsi ai propri doveri probatori.

3. I due motivi, suscettibili di trattazione unitaria, per evidente connessione, sono privi di fondamento.

4. Oltre al richiamo inconferente dell’art. 360 c.p.c., n. 5, vanno in primo luogo disattese le doglianze del ricorrente in ordine alla distinzione effettuata tra il reddito prodotto come persona fisica ed il reddito d’impresa, nonchè alla non applicabilità dell’accertamento sintetico al titolare di una ditta individuale trattandosi di priva di qualsiasi riscontro normativo. Le dismissioni cui si fa riferimento nel ricorso altro non sono che operazioni legate all’attività d’impresa del contribuente in relazione alle quali l’Ufficio ha considerato costi e ricavi secondo le regole di determinazione del reddito d’impresa e proprio l’esiguità del reddito dichiarato ha determinato la possibilità per l’ufficio di chiedere giustificazioni in merito all’acquisto di un’imbarcazione in relazione alla quale è stato versato un importo incompatibile con quanto dichiarato.

5. Questa Corte ha già chiarito (Cass. Sez. 5, 26/11/2014, n. 25104) che “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 4, prevede (al primo periodo) che gli uffici finanziari, in base ad elementi e circostanze di fatto certi, possano “determinare sinteticamente il reddito complessivo netto del contribuente, in relazione al contenuto induttivo di tali elementi e circostanze, quando il reddito complessivo netto accertabile si discosta per almeno un quarto da quello dichiarato”. In sostanza, il dettato del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, prevede che il controllo della congruità dei redditi dichiarati venga effettuato partendo da dati certi ed utilizzando gli stessi come indici di capacità di spesa, per dedurne, avvalendosi di specifici e predeterminati parametri di valorizzazione (c.d. redditometro), il reddito presuntivamente necessario a garantirla. Quando il reddito determinato in tal modo si discosta da quello dichiarato per almeno due annualità, l’ufficio può procedere all’accertamento con metodo sintetico, determinando il reddito induttivamente e quindi utilizzando i parametri indicati, a condizione che il reddito così determinato sia superiore di almeno un quarto a quello dichiarato.

6. A fronte di un accertamento induttivo sintetico eseguito “a norma del D.P.R. n. 600 del 1973 (art. 38, comma 6), l’accertamento del reddito con metodo sintetico non impedisce al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta”, ma, come previsto dalla citata disposizione “l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione” (Cass. Sez. 5, 18/04/2014, n. 8995).

7. La norma, infatti, richiede qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte) e, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi siano stati utilizzati per sostenere le spese contestate, richiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere). In tal senso va letto lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) della entità di tali eventuali ulteriori redditi e della “durata” del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi, escludendo quindi che i suddetti siano stati utilizzati per finalità non considerate ai fini dell’accertamento sintetico, quali, ad esempio, un ulteriore investimento finanziario, perchè in tal caso essi non sarebbero ovviamente utili a giustificare le spese e/o il tenore di vita accertato, i quali dovrebbero pertanto ascriversi a redditi non dichiarati. Nè la prova documentale richiesta dalla norma in esame risulta particolarmente onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la “durata” del possesso dei redditi in esame; quindi non il loro semplice “transito” nella disponibilità del contribuente”.

8. In sostanza, l’applicazione di tale metodo – sulla base degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992, riguardanti il cd. redditometro – dispensa l’Amministrazione da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva, sicchè è legittimo l’accertamento fondato su di essi, restando a carico del contribuente – posto nella condizione di difendersi dalla contestazione dell’esistenza di quei fattori – l’onere di dimostrare che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore.

9. Ciò posto, avendo l’ufficio accertato nella specie un rilevante scostamento fra reddito imponibile dichiarato e reddito accertato, per nulla giustificato dal contribuente, appare conforme ai principi normativi sopra richiamati la decisione della C.T.R. secondo cui l’Ufficio erariale ha assolto l’onere di individuare elementi certi indicatori di capacità di spesa, non avendo invece il contribuente assolto l’onere, su di lui gravante, oltre che, ovviamente, di contestare il possesso degli indicatori di capacità di spesa, di provare, con idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente era costituito in tutto o in parte “da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta”, così restando esposto alle conseguenze, in tema di accertamento presuntivo del reddito della propria dichiarazione.

10. Invero la scelta del metodo di accertamento del reddito è rimessa all’apprezzamento dell’ufficio finanziario il quale, può procedere all’accertamento con metodo sintetico dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4 in presenza di determinati presupposti quali uno scostamento di almeno un quarto del reddito complessivo netto accertabile rispetto a quanto dichiarato per due periodi d’imposta ed in presenza di fatti significativi; fatti che nel caso di specie, si erano concretizzati nell’acquisto da parte del contribuente di un’imbarcazione da Euro 290.000,00 a fronte di un reddito dichiarato per l’anno sottoposto ad accertamento di Euro 438,00.

11. Nella sentenza impugnata non appare dunque ravvisabile alcun vizio di violazione di legge, avendo i Giudici di secondo grado correttamente applicato le disposizioni normative poste alla base dell’accertamento sintetico.

12. Il ricorso va quindi rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese sostenute dall’Agenzia delle Entrate che liquida in 4.100,00 Euro, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 11 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2021

 

 

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