Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9716 del 13/05/2015


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 9716 Anno 2015
Presidente: CAPPABIANCA AURELIO
Relatore: FEDERICO GUIDO

SENTENZA

sul ricorso 24530-2009 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente 2015
625

contro
PRINCIPE TERESA in qualità di titolare della omonima
ditta individuale, domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR
presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE,
rappresentata e difesa dall’Avvocato TOMMASO ALBANESE
con studio in TORRE DEL GRECO (NA) CORSO VITTORIO

Data pubblicazione: 13/05/2015

EMANUELE

12 (avviso postale ex

art. 135) giusta

delega in calce;

avverso la sentenza n.

controricorrente
242/2008

della

COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di SALERNO, depositata il

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 12/02/2015

dal Consigliere Dott.

GUIDO

FEDERICO;

udito per il ricorrente l’Avvocato PALATIELLO che si
riporta;
udito il P.M. in persona del
Generale

Dott.

Sostituto

Procuratore

RICCARDO FUZIO che ha concluso per

l’accoglimento del ricorso.

27/10/2008;

Svolgimento del processo
L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, avverso la
sentenza della CTR della Campania che, in riforma della sentenza della CTP di Avellino, annullava
l’accertamento con il quale era stato rettificato ex art. 39 comma 1 lett d) il reddito della
contribuente Teresa Principe.

piccolissimo Comune, con modalità commerciali al minimo della sopravvivenza e con una
pressante concorrenza.

Riteneva dunque che , anche alla luce di tali circostanze di fatto, l’Ufficio avesse omesso di
evidenziare significative situazioni di incoerenza delle risultanze della contabilità.
La contribuente resiste con controricorso.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate denunzia la violazione e falsa applicazione
degli artt. 38, 39 comma 1 lett d) Dpr 600/73 in combinato disposto con l’art. 62 sexie,s DI 331/93 e
dell’art. 14 comma 2 L.413/91, in combinato disposto con il DM 217/93 e degli artt. 51, 56, 54
comma 5 Dpr 633/72 e con l’art. 2729 c.c. in relazione all’art. 360 n.3) cpc, deducendo che la
sentenza della CTR ha erroneamente affermato l’illegittimità dell’accertamento fondato sulla
presunzione di maggiori ricavi non contabilizzati, pur a fronte di una percentuale di ricarico
palesemente antieconomica della contribuente, quale risultante dall’ esame comparato delle fatture
di acquisto con le rimanenze iniziali e finali.
Con il secondo motivo si denunzia la violazione e falsa applicazione dell’ art. 39 Dpr 600/73 in
combinato disposto con l’art, l e 2 Dpr 570/96 e con l’art. 88 comma 3 lett.b) TUIR e in combinato
disposto con l’art. 2697 comma 1 c.c., in relazione all’art. 360 n.3) cpc, lamentando che, una volta
accertata la mancata contabilizzazione di ricavi, era onere del contribuente provare le specifiche
cause per le quali era stata omessa detta contabilizzazione in presenza di specifiche spese e costi di
acquisto di carni.
1

La CTR , in particolare, affermava da un lato che la contribuente svolgeva l’attività in un

-4

I motivi che in quanto strettamente connessi vanno congiuntamente esaminati sono infondati.
Costituisce invero orientamento consolidato di questa Corte , cui si intende darsi senz’altro
continuità, che l’accertamento induttivo del reddito è consentito,. anche in presenza di scritture
contabili formalmente corrette, qualora la contabilità possa essere considerata complessivamente
inattendibile, in quanto confliggénte con regole fondamentali di ragionevolezza (Cass.n.5870/2003).

alla considerazione della difformità della percentuale di ricarico applicata dal contribuente rispetto a
quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza, soltanto ove tale difformità aggiunga
livelli di abnormità ed irragionevolezza tali da privare appunto la documentazione contabile di ogni
attendibilità (Cass.26388/05).
Le medie di settore, infatti, non costituiscono un fatto noto, storicamente provato, dal quale
argomentare quello ignoto da provare, ma il risultato di una mera estrapolazione statistica di una
pluralità di dati disomogenei che fissa una regola d’esperienza, e pertanto non sono idonee, di per sé
stesse, ad integrare gli estremi di una prova per presunzioni.
L’Amministrazione finanziaria pertanto non è legittimata a procedere all’accertamento induttivo, al
di fuori delle ipotesi tipiche previste dagli artt. 39, primo comma, lett. d), del d.P.R. 29 settembre
1973, n. 600 e dell’art. 54 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, allorché si verifichi un mero
scostamento non significativo tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli
fondatamente desumibili dagli studi di settore di cui all’art. 62 bis del d.l. 30 agosto 1993, n. 331,
conv. con modif. dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, ma solo quando venga ravvisata una “grave
incongruenza”, secondo la previsione del successivo art. 62 sexies, trovando riscontro la persistenza
di tale presupposto – nel quadro di una lettura costituzionalmente orientata al rispetto del principio
della capacità contributiva – anche dall’art. 10, comma 1, della legge 8 maggio 1998, n. 146, il
quale, pur non contemplando espressamente il requisito della grave incongruenza, compie un rinvio
recettizio al menzionato art. 62 sexies del d.l. n. 331 del 1993.

2

In particolare è stato affermato che l’accertamento di maggiori ricavi d’impresa può essere affidato

,
i

-.
Ai fini dell’accertamento di un maggior reddito d’impresa, dunque, non basta il solo rilievo
dell’applicazione da parte del contribuente di una percentuale di ricarico diversa dalla media
riscontrata nel medesimo settore commerciale, dovendo Io scostamento essere di proporzioni
assolutamente rilevanti.(Cass. 26481/2014)
Al di fuori di tale ipotesi occorre che risulti qualche elemento ulteriore incidente sull’attendibilità

Nel caso in esame deve ritenersi che il giudice di appello abbia fatto corretta applicazione di detti
principi, in quanto a fronte di uno scostamento che non sembra presentare caratteri di abnormità o
grave incongruenza ( ricavi determinati dall’Ufficio in 381.746,00 euro, a fronte di ricavi dichiarati
di 356.484,00 euro) , ed in assenza di altri elementi indiziari, ha ritenuto che l’accertamento
dell’Ufficio non fosse presidiato dai requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art.
2729, anche alla luce della concreta situazione prospettata dalla contribuente.
Il giudice di merito può infatti liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standards al caso
concreto, che va dimostrata dall’ente impositore, quanto la controprova sul punto offerta dal
contribuente (Cass. Ss.Uu. n.26635/2009).
Tale valutazione, nel caso di specie, in quanto fondata sull’esame delle risultanze processuali ed
adeguatamente motivata, non appare suscettibile di sindacato nella presente sede e non risulta
superata sulla base degli elementi, generici ed astratti, dedotti dall’Agenzia delle Entrate a sostegno
del ricorso.
La CTR ha dunque fatto corretta applicazione dei principi in materia di ripartizione dell’onere della
prova in materia di accertamento tributario standardizzato, ritenendo, con valutazione di merito non
sindacabile in questa sede, che, in considerazione della contenuta entità dello scostamento, non
sussistessero adeguati elementi per affermare la congruità dello studio di settore , ritenuto dunque
non applicabile alla concreta situazione economica e reddituale del contribuente.

3

complessiva della dichiarazione e la concreta ricorrenza di circostanze gravi, precise e concordanti.

-; • 1

Con il terzo e quarto motivo si denunzia, rispettivamente la insufficiente pronuncia, e la
motivazione contraddittoria su un fatto controverso e decisivo della causa, in relazione all’art. 360
n.5) cpc.
I motivi sono entrambi manifestamente inammissibili.
Essi sono infatti privi del momento di sintesi ex art. 366 bis ultima parte cpc, mancando

puntualmente i limiti, e che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo stesso, sí

da consentire al giudice di valutare con immediatezza contenuto ed ammissibilità del ricorso (Cass.
Ss.UU. n.12339/2010).
Il ricorso va dunque respinto e l’Agenzia va condannata alla refusione delle spese del presente
giudizio, che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso.
Condanna l’Agenzia delle Entrate alla refusione delle spese del presente giudizio, che liquida in
1.600,00 € per compensi oltre a rimborso forfettario per spese generali in misura del 15%.
Cosí deciso in Roma, il 12 febbraio 2015
L’Este SOTC

Il Presidente

un’ indicazione riassuntiva e sintetica del contenuto del motivo, idonea a circoscriverne

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