Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9715 del 13/05/2015


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 9715 Anno 2015
Presidente: CAPPABIANCA AURELIO
Relatore: FEDERICO GUIDO

SENTENZA

sul ricorso 22804-2009 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente contro

2015
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DISTILLERIA MARZADRO SPA;
– intimato –

Nonché da:
DISTILLERIA

MARZADRO

SPA

in

persona

dell’Amministratore Delegato e legale rappresentante

Data pubblicazione: 13/05/2015

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE
G. MAZZINI 11, presso lo studio dell’avvocato LIVIA
SALVINI, che lo rappresenta e difende giusta delega a
margine;
– controricorrente e ricorrente incidentale –

AGENZIA DELLE ENTRATE;

intimato

avverso la sentenza n. 56/2008 della COMM. TRIBUTARIA
Il GRADO di TRENTO, depositata il 14/07/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 12/02/2015 dal Consigliere Dott. GUIDO
FEDERICO;
udito per il ricorrente l’Avvocato PALATIELLO che ha
chiesto raccoglimento del ricorso principale,
rigetto incidentale;
udito per il controricorrente l’Avvocato BRANDA
delega

Avvocato

SALVINI

che

ha

chiesto

l’inammissibilità del ricorso principale,
accoglimento incidentale;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RICCARDO FUZIO che ha concluso per il
rigetto del ricorso principale e incidentale.

contro

Svolgimento del processo
A seguito di verifica fiscale generale eseguita dall’Agenzia delle Entrate di Rovereto venivano
notificati alla Distilleria Marzadro spa distinti avvisi di accertamento con i quali si accertavano
maggiori imposte in materia di Iva, Irpeg ed kap relativamente agli anni d’imposta 2001 e 2002 e
conseguenti sanzioni.

A.1-A.4

nel recupero a tassazione di costi imputati dalla società all’esercizio

1.9.2001/30.9.2002, ma ritenuti dall’Agenzia non interamente di competenza di tale esercizio,
dovendo essere imputati all’esercizio precedente;
A.5, nella parziale indeducibilità di costi sostenuti dalla società in occasione di eventi
organizzati a favore della clientela, che venivano pertanto ricondotti alle c.d. spese di
rappresentanza, deducibili in misura di 113( e non anche per l’intero) ;
A.6, A.7 nel recupero a tagsazione di spese di acquisto e manutenzione di beni in leasing, ad
utilità pluriennale;
A.9,per maggiori ricavi imputati in conseguenza di sconti su vendite non documentati;
A.10 , A.I1 a titolo di maggiori ricavi imputati per . rientri di merce, a seguito di fiere e
manifestazioni, non documentati;
A.12. per la ripresa di imposta non deducibile;
A.13, A.14 relativi al disconoscimento di costi per carenza del requisito di inerenza o per
mancanza di idonea documentazione;
A.15 per indebito ammortamento dell’avviamento riportato in bilancio a seguito dell’acquisto,
da parte della Distilleria Merzadro spa del ramo d’azienda, avente ad oggetto l’
imbottigliamento di distillati, dalla Distilleria Merzadro snc: in relazione a tale cessione di ramo
di azienda veniva censurata l’esorbitanza del prezzo, riportando a tassazione, ex art. 39 comma
1 lett d) e 40 Dpr 600/73 la quota di ammortamento imputata all’esercizio 2001/2001.

1

Le contestazioni dell’Agenzia consistevano:

,La CTP di Trento accoglieva parzialmente il ricorso della contribuente annullando gli avvisi, con
esclusione dei soli rilievi A6, A7 e A8.
La CTR del Trentino Alto Adige, in riforma della sentenza di primo grado, riconosceva la
legittimità anche dei rilievi Al,. A2, A3, A4, A9 ed A13.
Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione, affidato a 3 motivi, l’Agenzia delle Entrate.

Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate denunzia la violazione e falsa applicazione
dell’art. 74 TULR(vigente ratione temporis) in relazione all’art. 360 n.3) cpc, censurando il capo
della sentenza che ha annullato il rilievo sub A5 degli avvisi di accertamento impugnati, avente ad
oggetto le spese di vitto e alloggio sostenute dalla contribuente in occasione di convegni organizzati
con propri clienti e rappresentanti.
Lamenta, in particolare, che la CTR abbia erroneamente qualificato le spese ivi indicate come spese
promozionali, e non anche di pappresentanza, fondando tale statuizione sulla strumentalità di dette
spese all’incremento dei ricavi.
Con il secondo motivo censura il medesimo capo della sentenza, sotto il profilo della carenza
motivazionale in relazione alla violazione dell’art. 360 n.5) cpc, lamentando che i giudici di
secondo grado abbiano del tutto trascurato di valutare i diversi elementi specificamente dedotti
dall’Agenzia, che ne attestavano la natura di spese di rappresentanza.
I motivi che, intimamente connessi, possono essere unitariamente esaminati, sono fondati.
Come questa Corte ha già affermato, in tema di imposte sui redditi delle persone giuridiche, ai sensi
74 comma 2 TUTR( nella formulazione anteriormente vigente) , il criterio discretivo tra spese di
rappresentanza e di pubblicità va individuato nella diversità, anche strategica, degli obiettivi:
costituiscono spese di rappresentanza i costi sostenuti per accrescere il prestigio e l’immagine della
società e per potenziarne le possibilità di sviluppo, senza dar luogo ad una aspettativa di incremento
delle vendite; sono spese di pubblicità o propaganda quelle erogate per la realizzazione di iniziative
2

La contribuente resiste con controricorso e propone ricorso incidentale.

4r
;

tendenti, prevalentemente, anche se non esclusivamente, alla pubblicizzazione di prodotti, marchi e
servizi, o comunque al fine diretto di incrementare le vendite, sicché è necessaria una rigorosa
verifica in fatto della effettiva finalità di dette spese (Cass. 16812/14), dovendo riscontrarsi una
diretta relazione tra spese di pubblicità e maggior ricavi.
Questa Corte ha altresi precisato che, nell’ambito della distinzione prevista, ai fini della diversa

rappresentanza, i costi sostenuti per accrescere il prestigio della società senza dar luogo ad una
aspettativa di incremento nelle vendite, mentre ne restano escluse quelle di pubblicità e propaganda,
aventi come scopo preminente quello di informare i consumatori circa l’esistenza di beni e servizi
prodotti dall’impresa, con l’evidenziazione e l’esaltazione delle loro caratteristiche e dell’idoneità a
soddisfare i bisogni al fine di incrementare le vendite, evidenziando la necessità di una rigorosa
verifica in fatto delle effettiva finalità delle spese ed eventualmente della loro diretta
imputabilità(Cass. 17645/2013).
Nel caso di specie tale rigoroso accertamento in ordine a natura e finalità delle spese è mancata
giacchè la sentenza si è limitata apoditticamente a qualificare le spese suddette come spese di
pubblicità, senza però verificare la concreta e diretta finalità di incremento commerciale,
concernente la produzione della contribuente realizzata in un determinato
contesto(Cass.21270/2008).
Con il terzo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 1 Dpr
441/97 in relazione all’artt. 360 n.3) cpc, censurando il capo della sentenza che ha affermato
l’illegittimità dei rilievi sub A10 e A//.L’Agenzia formula al riguardo il seguente quesito di diritto:
“Dica la Corte se è onere del contribuente e non dell’ufficio finanziario documentare la rettifica di
un ricavo, trattandosi di una componente negativa del reddito la cui effettività dev’essere dimostrata
dal contribuente , ai sensi dell’art. 2697 c.c., tramite la contabilità di cui egli, e non l’ufficio,
dispone; dica pertanto la Corte . se abbia errato la CTR nel disporre — avendo affermato che” non vi
sono elementi per ritenere che la merce indicata in rientro nel magazzino sia stata per contro
3

deducibilità, dall’art. 74, comma 2, della legge 22 dicembre 1986, n. 917, rientrano tra le spese di

yenduta, con conseguente sottrazione dei ricavi alla dovuta imposizione” — la conferma
dell’ annullamento dell’ accertamento.”
Orbene l’assunto dell’Agenzia appare essenzialmente fondato sul mancato rinvenimento, in sede di
verifica generale della contabilità, di documenti di trasporto attestanti il “rientro” in magazzino
della merce invenduta e sulla genericità delle relative note di credito emesse dalla contribuente.

merce “rientrata” in sede e quindi della corrispondenza tra le due registrazioni contabili( della
merce originariamente fatturata e di quella oggetto di resa) , prova che non sarebbe stata assolta.
Il motivo è infondato.
Non sussiste infatti la dedotta violazione dell’ art. 1 1.447/97 nè dell’art. 2697 c.c.
Premesso che nessuna disposizione prevede, nella materia in esame, l’obbligatoria emissione e
conservazione dei documenti di trasporto, deve anzitutto escludersi l’applicabilità dell’art. 1
L.441/97, in materia di presunzioni di cessione e di acquisto di beni, la quale presuppone che gli
ammanchi siano riscontrati a seguito di un inventario fisico dei beni o di un confronto basato su
documentazione contabile obbrigatoria (Cass.9628/2012).
Non appare neppure ravvisabile la violazione dell’art. 2697 c.c.
Secondo quanto rilevato dalla CTU la prova della effettiva quantità della merce restituita era
fondata sul fatto che il rientro della merce veniva registrato sia nella contabilità di magazzino che
nei Registri UTIF, fermo che le periodiche verifiche dell’UHF, effettuate anche nell’esercizio per
cui è causa, non avevano evidenziato alcuna irregolarità da parte della contribuente.
La CTR ha altresí correttamente rilevato che i ricavi, derivanti dalla vendita dei prodotti della
contribuente nel corso di fiere e manifestazioni, risultavano regolarmente contabilizzati, senza che
siano stati allegati elementi, anche indiziari, idonei a far presumere una mancata registrazione di
componenti positivi.
La CTR, in conclusione, ha condivisibilmente ritenuto che il rientro della merce risultava
regolarmente annotato sulla base delle scritture contabili obbligatorie , che risultavano formalmente
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Secondo la prospettazione dell’Agenzia era onere della contribuente provare quantità e qualità della

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i

«regolari, mentre non sussisteva alcun elemento per ritenere che la merce indicata in rientro fosse
stata al contrario venduta, con conseguente sottrazione di ricavi.
Non appare dunque ravvisabile la dedotta violazione dell’art. 2697 c.c.
Si perviene cosí all’esame del ricorso incidentale della contribuente.
Con i primi due motivi di ricoi-so incidentale la contribuente censura il capo della sentenza che ha

confermato l’accertamento dell’Agenzia, con riferimento al rilievo sui costi per clichè utilizzati per
la fabbricazione di astucci ed etichette( rilievo A.7), denunziando la violazione dell’art. 74 TU1R, e
la carenza motivazionale in ordine alla natura di detti costi.
Lamenta infatti che essi siano stati ritenuti costi ad utilità pluriennale piuttosto che spese relative a
studi o ricerche.
I motivi, intimamente connessi, sono infondati.
La CTR ha infatti qualificato detti costi come “ad utilità pluriennale”, in quanto riferiti a beni( quali
appunto i clichè) dotati di caratteristiche tali da farli ritenere destinati ad un uso protratto nel tempo
e di durata pluriennale.
Tale valutazione appare logicamente argomentata e deve ritenersi condivisibile in quanto fondata
sulla intrinseca natura dei beni cui detti costi si riferiscono.
Appare quindi corretto l’inquadramento nella categoria, di carattere residuale, di cui all’art. 74
comma 3 TUIR.
In particolare non può ritenersi che i relativi costi siano riconducibili alla categoria delle spese per
studi e ricerche, che concernono, non già il prodotto finito, ma gli eventuali studi di ricerca
applicata, vale a dire l’insieme di indagini e studi direttamente collegati allo sviluppo di un
determinato progetto aziendale.
Con il terzo motivo di ricorso incidentale si censura il capo della sentenza della CTR che ha
confermato il rilievo (A9) con cui è stata ripresa a tassazione la somma di 11.196,67 euro, in quanto

relativa ad una rettifica di ricavi non di competenza e non documentata, denunziando la violazione
dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 n.3) cpc.
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.Formula al riguardo il seguente quesito di diritto:
“Dica l’Ill.ma Corte se la nota di accredito, nell’ambito di un accertamento analitico induttivo ai fini
delle imposte dirette e dell’Iva fa prova delle operazioni economiche cui essa si riferisce, fino a che
l’Amministrazione non adduca elementi gravi, precisi e concordanti che lascino ritenere
l’inesistenza di dette operazioni.”

Questa Corte ha già affermato che il ricorso alla procedura di variazione prevista dall’art. 26,
secondo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 in conseguenza dell’applicazione di abbuoni o
sconti, con la connessa riduzione dell’ammontare imponibile, richiede una duplice condizione: a)
che venga praticato al cessionario o committente, dal cedente o dal prestatore, uno sconto sul prezzo
della vendita effettuato; b) che la riduzione del corrispettivo al cliente sia il frutto di un accordo, il
quale può essere documentale, o verbale, e persino successivo, purchè del medesimo sia fornita la
prova, da parte dei soggetti interessati, mediante la trasfusione del patto stesso in note di accredito,
emesse da una parte a favore dell’altra, con l’allegazione della causale che, volta per volta, abbia
giustificato gli sconti medesimi’ (Cass. 26513/2011).
In generale deve ritenersi che in forza dell’art. 26 Dpr 633/72 sia onere del contribuente provare là
ricorrenza dei presupposti per accedere al regime di variazione in diminuzione dell’imposta
attraverso la corretta e soprattutto completa registrazione delle operazioni, in modo da consentire di
palesare inequivocabilmente la corrispondenza tra le operazioni medesime(Cass. 8535/2014).
Nel caso di specie, come rilevato dalla CTR, la documentazione risulta invece del tutto inidonea, in
considerazione della assoluta genericità della nota di accredito che, oltre a non riportare il valore
unitario dei beni cui si riferisce, non indica neppure gli estremi della fattura, essendo corredata da
un documento contenente una descrizione del tutto generica della merce e che non consente dunque
una verifica della rispondenza tra l’operazione inizialmente annotata e la successiva variazione per
sconto su vendite.

Il motivo non ha pregio.

.La CTR ha dunque correttamente applicato principi in materia di onere della prova, ritenendo che la
contribuente non avesse assolto all’onere sulla stessa gravante.
Con il quarto e quinto motivo di ricorso incidentale la contribuente censura il capo della sentenza
che ha confermato l’accertamento avente ad oggetto la ripresa a tassazione di costi, ritenuti non
inerenti, concernenti spese di p. romozione del marchio e dei prodotti della contribuente, sostenuti

dell’art. 2697 c.c., in relazione rispettivamente all’art. 360 n. 5) e n. 3) cpc.
La contribuente lamenta in particolare che la CTR abbia da un lato omesso di esaminare, dandone
conto in motivazione, diversi elementi idonei ad attestare effettività ed inerenza dei costi, e
dall’altro che, in violazione dell’ artt. 2697 c.c., non abbia ritenuto sufficiente ai fini della
dimostrazione di detti costi, l’esibizione di una fattura passiva, registrata dalla contribuente e
perfettamente corrispondente ai costi portati in deduzione.
I motivi che in quanto connessi vanno congiuntamente esaminati sono infondati.
Secondo il consolidato indirizzo di questa Corte , infatti, in tema di accertamento delle imposte sui
redditi, spetta al contribuente l’onere della prova dell’esistenza, dell’inerenza e, ove contestata
dall’Amministrazione finanziaria, della coerenza economica dei costi deducibili. A tal fine non è
sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata dall’imprenditore, occorrendo anche che esista una
documentazione di supporto da cui ricavare, oltre che l’importo, la ragione e la coerenza economica
della stessa, risultando legittima, in difetto, la negazione della deducibilità di un costo non congruo
rispetto all’oggetto dell’impresa (Cass. n.21184/14) o comunque fondato su un titolo non
adeguatamente documentato.
Orbene nel caso di specie la fattura emessa dalla controllata DFM srl ha una causale del tutto
generica (“Spese di promozione vs prodotti presso ns. punto di vendita di Brancolino per il periodo
1.10.01/30.9/02”) ed il contratto su cui è fondata la fattura in contestazione non è stato esibito alla
Guardia di finanza; esso inoltre non risulta registrato e non ha data certa.

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per suo conto dalla DFM srl (A13), denunziando il vizio di carenza motivazionale e violazione

-Appare dunque condivisibile la statuizione della CTR che ha ritenuto i costi non deducibili , attesa
la genericità della causale della fattura e l’inidoneità del titolo giustificativo, non sussistendo
adeguata documentazione di supporto dei costi medesimi.
Con il sesto e settimo motivo di ricorso incidentale la contribuente censura il capo della sentenza
che ha confermato l’accertamento avente ad oggetto la ripresa a tassazione di costi, ritenuti non

partecipazione a fiere ed alla diffusione di oggetti pubblicitari (A14), denunziando il vizio di
violazione dell’art. 2697 c.c. e carenza motivazionale, in relazione rispettivamente all’art. 360 n. 3)
e n. 5) cpc.
I motivi che in quanto connessi vanno unitariamente esaminati sono anch’essi infondati.
Come si è già evidenziato, affinchè un costo possa essere incluso tra le componenti negative del
reddito occorre che sia certa l’esistenza e provata l’inerenza in quanto relativa ad attività, da cui
derivano ricavi o proventi che concorrono a formare il reddito d’impresa (Cass. n.6650/2006). Si è
inoltre precisato che trattandosi di una componente negativa del reddito la prova della sua esistenza
ed inerenza incombe sul contribuente (Cass. n.1709/2007) e che per provare tale ultimo requisito
non è sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata dall’imprenditore, atteso che una spesa può
essere correttamente inserita nella contabilità aziendale solo se esiste idonea documentazione di
supporto dalla quale possa inferirsi importo e ragione della stessa.
Da ciò discende che correttamente la CTR ha escluso la deducibilità della spesa di cui alla fattura
emessa dalla Marzadro Iberica in assenza di prova del titolo negoziale diretto a regolare le
reciproche obbligazioni delle parti.
La stessa contribuente del resto ha ammesso la mancata formalizzazione dei rapporti commerciali
relativi alla propaganda, mentre, avuto riguardo alla ulteriore documentazione che la CTR avrebbe
omesso di valutare, con conseguente inadeguatezza motivazionale della sentenza, deve rilevarsi la
mancanza di autosufficienza del ricorso.

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documentati, concernenti spese sostenute nei confronti della Marzadro iberica in relazione alla

t

)
•La contribuente, infatti, si limita ad affermare in modo del tutto generico di avere prodotto in corso
di causa documenti, non meglio specificati, attestanti l’invio di materiale propagandistico, senza
peraltro riportare, neppure per sommi capi, il loro contenuto, rendendo pertanto impossibile a questa
Corte di effettuare il relativo esame di congruità e rilevanza.
Con l’ultimo motivo si denunzia il vizio di omessa pronuncia sulla subordinata richiesta di

quesito di diritto:
“Dica la Suprema Corte se il principio di corrispondenza tra” chiesto e pronunciato” di cui all’art.
112 cpc, impediva o meno alla Commissione di secondo grado di omettere qualsivoglia disamina
della richiesta subordinata di disapplicazione delle sanzioni ex art. 6 comma 2 d.lgs.472/97,
ritualmente sollevata dalla Societa1 nel ricorso introduttivo e ribadita in appello.”
La censura non ha pregio.
La CTR ha infatti espressamente statuito sul punto, confermando 1′ applicabilità delle sanzioni alla
contribuente in relazione ai rilievi dell’avviso di accertamento confermati.
In ogni caso, la domanda di inapplicabilità delle sanzioni a causa della dedotta incertezza
interpretativa, formulata in modo del tutto generico, è infondata.
Ed invero in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, per incertezza
normativa oggettiva deve intendersi la situazione giuridica oggettiva, caratterizzata dalla
impossibilità, esistente in sé ed accertata dal giudice, di individuare con sicurezza ed univocamente,
al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica sotto la
quale effettuare la sussunzione del caso di specie e che è rilevabile attraverso una serie di “fatti
indice”, quali la difficoltà d’individuazione o d’interpretazione di disposizioni normative, l’assenza o
contraddittorietà d’informazioni o prassi amministrative, la formazione di orientamenti
giurisprudenziali difformi, il contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale o
tra opinioni dottrinali, l’adozione di norme d’interpretazione autentica o esplicative di norma
implicita preesistente(Cass. 17250/2014).
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annullamento delle sanzioni, in violazione degli artt. 112 cpc e 360 n.4) cpc, formulando il seguente

Nessuno di tali presupposti è ravvisabile nel caso di specie, afferente alla materia della deducibilità
dei costi, fondata su disposizioni sufficientemente chiare, supportate da circolari esplicative e
consolidati orientamenti giurisprudenziali.
In conclusione va parzialmente accolto, in relazione ai primi due motivi, il ricorso principale
dell’Agenzia, relativo al rilievo A5, respinto il terzo motivo e va conseguentemente cassata, in parte

Va invece respinto il ricorso incidentale della contribuente.
La sentenza impugnata va dunque cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio innanzi ad altra
sezione della medesima CTR, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente
giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e secondo motivo del ricorso principale, respinge il terzo.
Respinge il ricorso incidentale della contribuente.
Cassa la sentenza impugnata irí relazione ai motivi accolti.
Rinvia innanzi ad altra sezione della medesima CTR, anche per la liquidazione delle spese del
presente giudizio.
Cosí deciso in Roma, il 12 febbraio 2015
L’Estensore

Il Presidente

qua, la sentenza impugnata.

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