Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9715 del 05/04/2019

Cassazione civile sez. VI, 05/04/2019, (ud. 14/02/2019, dep. 05/04/2019), n.9715

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23959-2016 proposto da:

L.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA EMILIA n. 81,

presso lo studio dell’avvocato STEFANO MONTI, rappresentato e difeso

dall’avvocato VINCENZO FONTANAROSA;

– ricorrente –

contro

F.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE REGINA

MARGHERITA n. 256, presso lo studio dell’avvocato ALEXANDRU BUJJN,

rappresentato e difeso dall’avvocato MICHELE SAPONARO;

– controricorrente –

e contro

B.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3298/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 19/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/02/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione del 28.10.1999 L.F. evocava in giudizio innanzi il Tribunale di Latina, sezione distaccata di Gaeta, B.A. e F.M., invocandone la condanna al pagamento della somma di Euro 12.741,30 a fronte di prestazioni professionali rese per la redazione di un P.P.E. del Comune di Formia. Esponeva in particolare l’attore di aver partecipato alla redazione di detto atto unitamente ai convenuti e di aver quindi diritto ad 1/3 del compenso da essi percepito dall’Ente locale.

Si costituivano i convenuti resistendo alla domanda.

Con sentenza n. 150/2005 il Tribunale respingeva la domanda. Interponeva appello il L. e si costituivano gli appellati per resistere al gravame.

Con la sentenza oggi impugnata, n. 3298/2014, la Corte di Appello di Roma rigettava il gravame ritenendo che l’appellante avesse rinunciato al compenso, condannandolo “al rimborso, in favore di c.p., delle spese del grado che liquida in Euro 3.600…” In adempimento di detta decisione il L. versava a ciascuna parte la somma di Euro 1.800.

In seguito, l’odierno ricorrente riceveva precetto ad istanza di F. per l’intero importo di Euro 3.600. Interponeva opposizione avverso detto atto sul presupposto che la liquidazione operata dalla Corte romana fosse unitaria. Nelle more del conseguente giudizio il F. chiedeva ed otteneva dalla Corte di Appello la correzione del dispositivo della sentenza dianzi richiamata, con ordinanza con la quale veniva aggiunta la precisazione che la somma di Euro 3.600 doveva intendersi liquidata per ciascuna parte.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione, come integrata dal provvedimento di correzione appena richiamato, L.F. affidandosi a due motivi. Resiste con controricorso F.M.. L’altro intimato B.A. non ha svolto attività difensiva in questo giudizio.

Il ricorso, originariamente chiamato all’udienza del 5.6.2018, è stato rinviato a nuovo ruolo con ordinanza interlocutoria n. 30569/2018, in attesa della decisione delle Sezioni Unite, investite con ordinanza n. 21048/2017 della questione relativa allo strumento per contestare la liquidazione delle spese contenuta in dispositivo suscettibile di plurime interpretazioni (in particolare, se possa procedersi alla correzione dell’errore materiale o si debba piuttosto ricorrere agli ordinari mezzi di impugnazione).

A seguito della pronuncia delle Sezioni Unite, il ricorso è stato chiamato all’odierna udienza del 14.2.2019, in prossimità della quale il controricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il due motivi di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 287 e 288 c.p.c., perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente integrato l’originario dispositivo, non già correggendo un errore materiale ma duplicando, di fatto, l’originaria condanna alle spese di lite. Ad avviso del ricorrente, infatti, nel caso di specie la Corte territoriale avrebbe liquidato le spese in modo unitario: di conseguenza, non sarebbe ravvisabile un errore formale, consistente in una svista materiale emergente dalla sola lettura del provvedimento, bensì al massimo un errore di giudizio, non suscettibile di essere corretto nelle forme di cui agli artt. 287 e 288 c.p.c.

Le doglianze vanno rigettate.

Le Sezioni Unite di questa Corte, con Sentenza n. 16415 del 21/06/2018, Rv. 649295, hanno ribadito che “A fronte della mancata liquidazione delle spese nel dispositivo della sentenza, anche emessa ex art. 429 c.p.c., sebbene in parte motiva il giudice abbia espresso la propria volontà di porle a carico della parte soccombente, la parte interessata deve fare ricorso alla procedura di correzione degli errori materiali di cui agli artt. 287 e ss c.p.c., per ottenerne la quantificazione”.

Il principio era stato già espresso da Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 16959 del 24/07/2014, Rv.631818, secondo la quale “La procedura di correzione di errore materiale è esperibile per rimediare all’omessa liquidazione delle spese processuali nel dispositivo della sentenza, qualora l’omissione non evidenzi un contrasto tra motivazione e dispositivo, ma solo una dimenticanza dell’estensore” (conf. Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 15650 del 27/07/2016, Rv.640597 e Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 11215 del 09/05/2018, Rv.648578).

Nel caso di specie la Corte di Appello ha affermato, in motivazione, che “Le spese seguono la soccombenza” ed ha poi utilizzato, nell’originaria formulazione del dispositivo, l’espressione “condanna L.F. al rimborso, in favore di c.p., delle spese del grado che liquida in Euro 3.600,00 (ivi inclusi Euro 2.800,00 per onorari di avvocato)”.

La successiva ordinanza emessa nelle forme di cui all’art. 287 c.p.c., con la quale la Corte capitolina ha chiarito che l’abbreviazione “c.p.” dovesse essere intesa come l’acronimo di “ciascuna parte” non appare idonea ad integrare la statuizione originaria, ma solamente a precisarne il contenuto.

Va peraltro osservato che dal raffronto tra motivazione e dispositivo emergeva, già prima del provvedimento di correzione, che la condanna doveva intendersi riferita a “ciascuna parte” e che quindi non si fosse in presenza -come erroneamente ritenuto dal ricorrente- di un’unica liquidazione da ripartire tra le due parti appellate, bensì di una liquidazione riferita a ciascuna di esse, singolarmente considerata.

Non si configura pertanto alcuna violazione degli artt. 287 e 288 c.p.c., poichè la decisione della Corte di Appello appare pienamente in linea con i principi di diritto varie volte affermati da questa Corte.

In definitiva, il ricorso va rigettato.

In considerazione della peculiarità del caso concreto, le spese del presente giudizio vanno interamente compensate.

Poichè il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, va dichiarata la sussistenza, ai sensi del Testo Unico, art. 13, comma 1-quater, di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dei presupposti per l’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del presente giudizio di cassazione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, il 14 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 aprile 2019

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