Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9714 del 14/04/2021

Cassazione civile sez. trib., 14/04/2021, (ud. 14/10/2020, dep. 14/04/2021), n.9714

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. PUTATURO Donati Viscido di Nocera M.G. – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. FICHERA Giuseppe – Consigliere –

Dott. MELE Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5452-2014 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso. AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

A.P. SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

SICILIA 66, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO ESPOSITO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROBERTO ALTIERI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 12/2013 della COMM.TRIB.REG. della Puglia

SEZ.DIST. di TARANTO, depositata il 08/01/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/10/2020 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MELE;

Per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria

Regionale della Puglia, sezione staccata di Taranto n. 12/2013

depositata l’8.1.2013.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14 ottobre 2020 dal relatore, cons. Francesco Mele.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

La soc. A.P. srl proponeva ricorso avverso avviso di accertamento recante recupero maggior somma per IVA/2001 oltre interessi e sanzioni; la contribuente deduceva l’illegittimità dell’atto impositivo per carenza di motivazione e, nel merito, per infondatezza della pretesa, oltre alla nullità delle sanzioni per indeterminatezza del quantum; l’Ufficio si costituiva per resistere al ricorso del quale chiedeva il rigetto. La Commissione Tributaria Provinciale di Taranto pronunciava sentenza con cui accoglieva il ricorso e annullava l’atto impositivo.

Avverso tale sentenza proponeva appello la Agenzia delle Entrate, che deduceva la omessa motivazione della medesima e quindi il rigetto del ricorso introduttivo del giudizio in quanto infondato in fatto e in diritto. Resisteva la società eccependo l’inammissibilità del gravame per difetto di specifico motivo e, nel merito, per infondatezza dello stesso.

Con la summenzionata sentenza la CTR rigettava l’appello.

Per la cassazione di tale sentenza l’Agenzia delle Entrate propone ricorso affidato a due motivi; resiste con controricorso, illustrato da memoria, la società contribuente.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Il ricorso consta di due motivi che recano: 1)”Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 42, (recte n. 600 del 1973) e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”; 2) “Violazione e falsa applicazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 41, comma 1, lett. a), del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8 e dell’art. 28-quater, punto a), lett. a), della direttiva 77/388/CEE (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”.

– Prima di passare all’esame dei motivi di ricorso, occorre dare conto della eccezione con cui la contribuente ha, in via preliminare, eccepito la “Generale inammissibilità del ricorso erariale per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1 n. 3 concernente l’esposizione dei fatti di causa e per difetto di autosufficienza”.

– L’eccezione non è fondata.

Quanto alla esposizione dei fatti di causa, si osserva che – contrariamente all’assunto della controricorrente – la sentenza non ne è priva, per come, in definitiva, finisce con l’ammettere implicitamente la stessa contribuente laddove trascrive la parte del ricorso destinata dalla ricorrente alla esposizione dei fatti di causa, esposizione da qualificarsi – ad avviso del collegio – sintetica ma non assente e, comunque, da leggersi in uno ai motivi (in particolare il n. 2), il cui contenuto integra – con ogni evidenza – i fatti di causa. Del pari non sussiste il difetto di autosufficienza del ricorso, tale da legittimare una eventuale pronuncia di inammissibilità del ricorso: invero, il ricorso ha una sua struttura, che consente una informata compiuta valutazione da parte del collegio, per come si esporrà nel seguito della presente decisione.

– Con il primo motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata laddove afferma che “….i rilievi della Guardia di Finanza sono fatti propri acriticamente dall’Ufficio che ha proceduto all’emissione dell’avviso di accertamento. Infatti, in questo caso, l’accertamento appare essere privo di una valutazione da parte dell’Ufficio degli elementi forniti dalla Guardia di Finanza, per cui il relativo atto sembrerebbe viziato sia per difetto di motivazione, sia per infondatezza delle pretese tributarie stesse”, per fare da ciò discendere che “Ogni provvedimento amministrativo deve essere motivato e la motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione”.

– Del primo motivo va dichiarata la inammissibilità per violazione del principio di autosufficienza, violazione eccepita anche da parte resistente in sede di controricorso.

L’Ufficio ricorrente, nel dedurre che l’atto impositivo oggetto del presente contenzioso fosse adeguatamente motivato, è incorsa nella rilevata violazione per avere omesso di trascrivere il contenuto dell’avviso di accertamento e del p.v.c. in esso richiamato, così da consentire la necessaria verifica della sussistenza o meno del requisito della motivazione.

– Con il secondo motivo, la ricorrente ha censurato la sentenza laddove ha affermato che “….per quanto concerne le operazioni effettuate nei confronti di operatori commerciali intracomunitari, la società cedente, una volta verificato i documenti di identificazione del cliente, la correttezza dei dati identificativi dell’acquirente, l’esistenza dell’attività commerciale dell’acquirente presso lo stato comunitario, l’esistenza di un valido numero di identificazione IVA ed avere effettuato i pagamenti mediante strumenti finanziari bancari, nonchè avere emesso fattura ai sensi del D.L. n. 331 del 1993, art. 41 e presentato i relativi modelli intrastat, ha sufficientemente provato la propria diligenza nell’adempimento delle suddette operazioni, e conseguentemente l’avvenuta cessione intracomunitaria. Come anche, per quanto riguarda la vendita in sospensione di imposta ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8, la società cedente, una volta riscontrata la conformità alle disposizioni di legge delle dichiarazioni di intento presentate dalle società acquirenti, comunicato all’Amministrazione Finanziaria i dati contenuti nelle suddette dichiarazioni pervenute ed emesso fattura ai sensi della sopra citata norma, null’altro è tenuto ad eseguire, rimanendo la responsabilità, anche penale, derivante da una eventuale falsità di tali attestazioni totalmente a carico di chi emette detta dichiarazione, come peraltro è riconosciuto dalla stessa amministrazione. Del resto, la controparte erariale non ha mai dedotto chiaramente che le società che acquistavano i prodotti dalla società P. srl avessero esibito delle dichiarazioni di intento false, limitandosi a rilevare altri elementi che non potevano certo rientrare nella conoscibilità della società cedente, come il fatturato delle stesse, l’affidamento del trasporto a vettori non qualificati e la particolare destinazione dei beni acquistati. Nè finalmente, il pagamento per contanti di alcune somme può costituire indice di elusione fiscale”.

Il motivo è fondato.

L’esenzione dall’IVA della cessione intracomunitaria di un bene diviene applicabile solo quando sono soddisfatte tre condizioni, vale a dire quando, in primo luogo, il potere di disporre di tale bene come proprietario è stato trasmesso all’acquirente, in secondo luogo, il fornitore prova che tale bene è stato spedito o trasportato in un altro Stato membro e, in terzo luogo, in seguito a tale spedizione o trasporto il medesimo bene ha lasciato fisicamente il territorio dello Stato membro di cessione (cfr. Corte Giust., 9.10.2014, Traum; Corte Giust., 6.9.2012, Mecsek-Gabona, 27.9.2997. Teleos).

E’ stato evidenziato che, con riferimento a quelle ipotesi in cui l’acquirente benefici del potere di disporre del bene di cui trattasi come proprietario nello Stato membro di cessione e provveda al trasporto di detto bene verso lo Stato membro di destinazione, la prova che il venditore può produrre alle autorità tributarie dipende fondamentalmente dagli elementi che egli riceve a tal fine dall’acquirente, per cui laddove l’obbligo contrattuale di spedire o trasportare il bene interessato fuori dallo Stato membro di cessione non sia stato assolto dall’acquirente, è quest’ultimo che dovrebbe essere considerato debitore dell’IVA in tale Stato membro (v., in tema, Corte Giust., 16.10.2010, Euro Tyre Holding).

Tuttavia, il riconoscimento, in questi casi, del diritto all’esenzione dell’imposta richiede, in ragione dell’interesse che presidia la lotta contro eventuali evasioni, elusioni e abusi, la dimostrazione del fatto che l’operatore abbia agito in buona fede, nel senso dell’adozione da parte sua di tutte le misure che gli si possono ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che l’operazione effettuata non lo coinvolga in una evasione tributaria (cfr., Corte Giust. 6.9.2012, Mecsek-Gabona, nonchè, da ultimo, Corte Giust. 21.2.2018, Kreuzmayr).

La buona fede del contribuente, che conduce alla tutela del suo legittimo affidamento in ordine alla estraneità dell’operazione ad una frode fiscale, presuppone l’impiego della diligenza massima esigibile da un operatore accorto, valutata secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità, in rapporto alle circostanze del caso concreto.

La sentenza impugnata – nel riconoscere l’esenzione dalla imposta nonostante la mancata dimostrazione del trasporto della merce all’estero, in ragione della sussistenza degli aspetti formali (verifica documenti identificativi cliente, correttezza dati identificativi dello stesso, esistenza di attività commerciale dell’acquirente presso Stato comunitario, esistenza di un valido numero di identificazione IVA, effettuazione pagamenti con strumenti finanziari bancari, con emissione di rituale fattura) – non ha fatto corretta applicazione dei richiamati principi di diritto, omettendo di accertare se il contribuente medesimo avesse utilizzato la massima diligenza esigibile, al fine di evitare di essere coinvolto nell’evasione, e, in particolare, se, avuto riguardo alle concrete modalità di svolgimento del rapporto contrattuale, egli potesse sapere del mancato rispetto delle condizioni cui l’esenzione dalla imposta è subordinata, in relazione alla presenza di elementi idonei a far venir meno l’incolpevolezza del suo affidamento in ordine al rispetto degli stessi.

il collegio accoglie quindi il secondo motivo, così dando continuità all’orientamento manifestato dalle recenti ordinanze n. 22333 del 13.9.2018 e n. 25651 del 15.10.2018, e cassa la sentenza impugnata con rinvio, anche per le spese, alla CTR della Puglia, in diversa composizione.

P.Q.M.

Accoglie il secondo motivo – inammissibile il primo – cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione Tributaria Regionale della Puglia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2021

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