Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9713 del 23/04/2010

Cassazione civile sez. I, 23/04/2010, (ud. 14/01/2010, dep. 23/04/2010), n.9713

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 2034/2008 proposto da:

V.P.M. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA F. MARCHETTI 19, presso l’avvocato PINTO

Guglielmo, che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

VI.MA.SA. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA G. AVEZZANA 8, presso l’avvocato GRASSI

Paolo, che la rappresenta e difende, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3928/2007 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 03/10/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

14/01/2010 dal Consigliere Dott. SALVATORE SALVAGO;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato GUGLIELMO FINTO che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato PAOLO GRASSI che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO LIBERTINO Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Roma con sentenza del 15 settembre 2005 pronunciò la separazione dei coniugi V.P.M. e V.M. S. senza addebito, assegnò la casa coniugale di (OMISSIS) alla moglie che ivi viveva con le figlie maggiorenni D. e V.P., e condannò il V. a contribuire al loro mantenimento con un assegno mensile di Euro 2.200,00.

In parziale accoglimento delle impugnazioni di ciascuno dei coniugi, la Corte di appello di Roma, con sentenza del 3 ottobre 2007, ha posto a carico del V. l’obbligo di corrispondere alla moglie un assegno di Euro 500,00 e ridotto il suo contributo al mantenimento delle figlie all’importo complessivo di Euro 1.800,00 osservando (per quanto qui ancora interessa): a) che sussisteva notevole sproporzione tra i redditi dei coniugi, poichè la Vi. esercitava la professione di dirigente medico presso il servizio di igiene medico della ASL di Tivoli ed era comproprietaria di due appartamenti insieme al marito,mentre quest’ultimo oltre ad essere medico convenzionato con 1.500 assistititi e proprietario di diversi appartamenti,era responsabile sanitario di una casa di riposo per anziani gestita dalla s.r.l. Golden Heart ed esercitava la libera attività professionale di specialista in malattie del cuore presso i suoi ambulatori, oltre ad avere interessi economici nell’attività del commercio del legname della s.r.l. S.M.G. Parquets: con proventi almeno doppi rispetto a quelli della moglie; b) che le due figlie, tuttora studentesse, non erano ancora autosufficienti e che tuttavia anche la madre doveva contribuire al loro mantenimento in proporzione dei suoi minori redditi;per cui stabilendo nella misura di Euro 1.350,00 mensili dato l’elevato standard di vita della famiglia, l’assegno necessario a ciascuna,il contributo del padre, andava determinato in Euro 900,00 da versare direttamente a ciascuna delle figlie destinatarie.

Per la cassazione della sentenza quest’ultimo ha proposto ricorso per 3 motivi, illustrati da memoria; cui resiste con controricorso Vi.Ma.Sa..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il V., deducendo violazione degli artt. 156, 155 e 155 quinquies cod. civ., censura la sentenza impugnata per aver posto a suo carico sia un assegno di mantenimento a favore della moglie, che altro assegno quale contributo al mantenimento delle figlie maggiorenni, senza considerare: a) quanto al primo (che detta normativa postula che il coniuge richiedente sia privo di redditi che gli consentano di mantenere un tenore di vita adeguato a quello goduto durante la convivenza; laddove la moglie era titolare di un reddito elevato quale medico dirigente di una ASL, godeva della casa familiare ed era comproprietaria di due appartamenti,sicchè l’assegno aveva semmai comportato un incremento rispetto al pregresso tenore di vita; b) che il contributo al mantenimento delle figlie maggiorenni non poteva essere disposto nell’ambito di un giudizio di separazione, senza peraltro ascoltarle, all’inizio della controversia, in quanto il diritto e la legittimazione a richiederlo spettava esclusivamente a queste ultime, che invece non avevano mai partecipato ad alcuna fase di questo giudizio.

Le censure sono in parte inammissibili ed in parte infondate.

Inammissibili con riguardo a quest’ultimo profilo perchè il Tribunale aveva condannato il V. a corrispondere alla moglie un assegno di Euro 2.200,00 mensili, quale contributo al mantenimento delle due figlie maggiorenni, non ancora autosufficienti; e perchè il V., come accertato dalla sentenza impugnata e da lui stesso confermato, ha impugnato la suddetta statuizione sotto il duplice profilo dell’eccessiva misura della determinazione del suo contributo, di cui ha chiesto la riduzione domandando altresì che fosse corrisposto direttamente a ciascuna delle figlie, e della mancata determinazione di eguale obbligo di mantenimento a carico della moglie.

Pertanto,come specificato dalla Corte di appello nessuna censura è stata rivolta dall’appellante sul proprio obbligo di contribuire al mantenimento delle figlie; e men che mai sotto il profilo processuale si è dedotto che detta obbligazione non potesse essere accertata nel presente giudizio, ma soltanto in un giudizio autonomo in cui la legittimazione a richiederlo spettasse soltanto alle figlie. Per cui le relative questioni sono nuove e non prospettabili per la prima volta in sede di legittimità ove resta preclusa la proposizione di doglianze che, modificando la precedente impostazione difensiva, pongano a fondamento delle domande e delle eccezioni titoli diversi da quelli fatti valere nel giudizio di merito e prospettino, comunque, questioni fondate su elementi nuovi e diversi da quelli dedotti nelle precedenti fasi processuali. Mentre le doglianze relative alla corresponsione dell’assegno direttamente a ciascuna delle figlie nonchè alla loro mancata audizione al riguardo riguardano esclusivamente le modalità di pagamento dello stesso ex art. 155 quinques cod. civ.; che d’altra parte la sentenza ha regolato in modo conforme alla richiesta del ricorrente, disponendone direttamente il versamento a ciascuna delle figlie, dopo avere peraltro accolto entrambe le censure del V., posto che ha ridotto per un verso il contributo al mantenimento delle figlie, e determinato per altro verso quello a carico della moglie.

Pertanto sotto questi profili il ricorrente difetta di interesse ad impugnare le statuizioni richieste nell’atto di appello ed a far valere asserite violazioni delle regole del processo poste dal nuovo art. 155 quinques cod. civ. a tutela delle figlie. Mentre per quel che riguarda il suo interesse a conseguire una riduzione ancora maggiore del contributo, è sufficiente rilevare che la richiesta è fondata sulla mera considerazione che lo stesso non può concretarsi in una rendita a favore dei figli maggiorenni: senza alcuna censura nei confronti delle considerazioni con cui la sentenza impugnata lo ha determinato nella misura di Euro 900,00 per ciascuna delle figlie.

Questa Corte, poi, ha ripetutamente affermato che condizioni per il sorgere del diritto al mantenimento in favore del coniuge cui non sia addebitabile la separazione sono non solo la mancanza assoluta di redditi da parte del richiedente,ma anche la non titolarità di adeguati redditi propri, ossia di redditi che gli permettano di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio nonchè la sussistenza di una disparità economica tra le parti, occorrendo avere riguardo, al fine della valutazione della adeguatezza dei redditi del coniuge che chiede l’assegno, al parametro di riferimento costituito dalle potenzialità economiche complessive dei coniugi durante il matrimonio, quale elemento condizionante la qualità delle esigenze e l’entità delle aspettative del medesimo richiedente.

Proprio a tali criteri si è attenuta la Corte di merito,la quale ha dato atto da un lato che la Vi., quale dirigente del servizio di igiene medico di una ASL era titolare di una retribuzione mensile di poco inferiore a quella del marito, insieme al quale era altresì proprietaria di due appartamenti; e dall’altro che la famiglia prima della separazione manteneva un tenore di vita particolarmente elevato. E tuttavia ha accertato altresì che dopo la separazione si era determinato un notevole divario tra i redditi dei coniugi di modo che le entrate del marito erano sostanzialmente di importo doppio rispetto a quelle della Vi. (pur autosufficiente); e che costei non poteva più conservare il pregresso tenore di vita se non attraverso la percezione dell’assegno richiesto al marito, che valutate e comparate le situazioni economiche di entrambi i coniugi è stato determinato nella misura di Euro 500,00 mensili perciò non incorrendo nella violazione di alcuno dei presupposti richiesti dall’art. 156 cod. civ. per la sua attribuzione.

Con il secondo motivo il ricorrente, deducendo violazione degli artt. 116 e 247 cod. proc. civ., nonchè art. 2721 cod. civ., censura la sentenza impugnata per aver ritenuto raggiunta la prova delle sue attività professionali in aggiunta a quella di medico convenzionato, nonchè della partecipazione ad altre attività commerciali in base a dichiarazioni di testi rese su circostanze apprese de relato, e che dovevano essere provate documentalmente; e per di più provenienti da parenti di una delle parti.

Questo motivo è infondato.

Oggetto della prova gravante sulla Vi., richiedente l’assegno, era la sussistenza dei presupposti cui lo stesso è subordinato,e per quanto riguarda la sua quantificazione (che qui interessa) la complessiva situazione economica di ciascuno dei coniugi e quella del marito in particolare; che non rientra fra quelle per cui le disposizioni dell’art. 1350 c.c. o quelle degli artt. 2721 e 2725 cod. civ. introducono limitazioni. Anzi al riguardo la giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente enunciato i seguenti principi: a) che la valutazione delle condizioni economiche suddette non richiede la determinazione dell’esatto importo dei redditi posseduti attraverso l’acquisizione di dati numerici, in quanto è necessaria, ma anche sufficiente, una attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi, in relazione alle quali sia possibile pervenire a fissare l’erogazione, in favore di quello più debole, di una somma corrispondente alle sue esigenze (Cass. 13592/2006; 23051/2007; 25618/2007); b) che l’onere di siffatta prova può essere assolto dalla parte che vi è tenuta anche mediante la mera prospettazione al giudice dell’esistenza di elementi presuntivi; c) che conseguentemente il ricorso del giudice a presunzioni semplici deve ritenersi consentito nel concorso dei requisiti e delle condizioni di ammissibilità contemplate dall’art. 2729 cod. civ.; e lo stesso non configura un’indebita sostituzione dell’iniziativa d’ufficio a quella della parte (Cass. 7061/1986;

2656/1985). E d’altra parte nè il contratto di opera professionale o quello di lavoro autonomo,nè l’esistenza di una società di fatto richiedono la necessità che la prova delle prestazioni o dei compensi ricavati dal professionista o dal socio debba essere data per iscritto ovvero attraverso specifica documentazione;mentre neppure le disposizioni contenute nell’art. 244 cod. proc. civ., introducono limitazioni di alcun genere alla facoltà delle parti di avvalersi della prova testimoniale; ovvero di scegliere i testi nell’ambito delle categorie dei parenti e degli affini dopo la nota sentenza 248/1974 con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo – per contrasto con l’art. 24 Cost. – l’art. 247 cod. proc. civ. laddove non consentiva di testimoniare al coniuga, parenti, affini ed affiliati, in quanto il relativo divieto era fondato esclusivamente su una aprioristica valutazione negativa di credibilità di chi è legato alla parte da vincolo familiare perciò limitando ingiustificatamente il diritto alla prova, che è nucleo essenziale del diritto di difesa. Questa Corte, poi, ha ripetutamente affermato che le deposizioni de relato, soprattutto in materia di rapporti di famiglia, possono concorrere a determinare il convincimento del giudice, ove valutate in relazione a circostanze obiettive e soggettive o ad altre risultanze probatorie che ne suffraghino il contenuto (Cass. 11844/2006; 2815/2006): come nel caso ha fatto la sentenza impugnata con riferimento alla deposizione della teste legata alla Vi. da un rapporto di affinità o parentela:

della quale peraltro il V. non ha trascritto nel ricorso il contenuto, perciò non consentendo alla Corte di valutare se la stessa abbia avuto scienza diretta o meno dei fatti che egli assume da lei riferiti.

Ed infine lo stesso ricorrente ha smentito che la moglie non abbia provato per mezzo dei testi la sua titolarità di assegni bancari, fondi di investimento nonchè di conti correnti, avendo riferito (pag. 21 e 22) della documentazione bancaria allegata dalla controparte non soltanto in questo giudizio, ma anche in altre controversie, fra le quali ha in particolar modo ricordato quella in cui era stato necessario ricostruire un conto-titoli un tempo intestato ad entrambi i coniugi, per il complessivo controvalore di Euro 130.198,39, definita in primo grado dalla sentenza 8655/2005 del Tribunale di Roma, Con l’ultimo motivo, infine, il ricorrente deducendo insufficienza e contraddittorietà della motivazione censura la sentenza impugnata per avergli attribuito redditi assai più elevati di quelli della moglie senza considerare: a) che la stessa sentenza aveva dato atto della sua attività di medico convenzionato con 1.500 assistiti (costituenti il numero massimo consentito) che gli precludevano materialmente la possibilità di svolgere altri lavori; b) che la sua attività presso la soc. Golden Heart era smentita dalle certificazioni rilasciate da detta società che la escludevano; e non confermata dalla deposizione del teste C., avendo quest’ultimo riferito su fatti avvenuti molti anni prima ed ai quali aveva dichiarato di non aver assistito; c) che anche la sua partecipazione ad attività di falegnameria non era stata confermata dal teste S., non preso in considerazione dalla sentenza impugnata che aveva illogicamente ritenuto di privilegiare le deposizioni degli altri testi; d) che pure la documentazione bancaria certa si concretava nel menzionato conto corrente già in comune tra i coniugi e non provava la sua disponibilità di altri titoli o conti correnti bancari.

Anche queste censure sono inconsistenti.

La Corte di appello ha infatti applicato il principio ricavato dall’art. 156 cod. civ., e più volte enunciato dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. 6712/2005; 13747/2003) che ai fini della quantificazione dell’assegno di divorzio il giudice non può limitarsi a considerare soltanto il reddito (sia pure molto elevato) emergente dalla documentazione fiscale prodotta, ma deve tenere conto anche degli altri elementi di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito dell’onerato, suscettibili di incidere sulle condizioni delle parti (quali la disponibilità di un consistente patrimonio, immobiliare ed anche mobiliare). E fra di essi ha indicato anzitutto lo svolgimento di libera attività professionale nella qualità di specialista in malattie del cuore con esecuzione dei relativi esami presso gli ambulatori a sua disposizione,nonchè di attività di consulenza medico-legale in campo assicurativo, con ulteriori remunerazioni che il V. non ha contestato; così come non ha contestato di essere titolare oltre agli appartamenti in comproprietà con la moglie, dell’immobile già adibito a casa coniugale nonchè di altro appartamento concesso in locazione per un canone mensile non inferiore ad Euro 500,00; con la conseguenza che già questi elementi sarebbero stati sufficienti ad evidenziare la sproporzione tra i redditi dei coniugi ed il loro diverso potenziale tenore di vita successivo alla frattura del matrimonio.

Ma la sentenza di appello ha considerato anche il suo rapporto professionale con la casa di riposo gestita dalla s.r.l. Golden Heart, ove egli svolge la funzione di responsabile sanitario, i suoi interessi e la sua partecipazione ad altre attività commerciali quale quella nel commercio del legname esercitato dalla s.r.l.

Parquets ed infine la sua titolarità di conti correnti, conti titolo e fondi di investimento anche all’estero: traendo la relativa prova sia da ammissioni dello stesso V. (con particolare riguardo alla vicenda Golden Heart), sia dalle deposizioni testimoniali,ove ritenute concordi, attendibili e convincenti, sia dalla documentazione prodotta dalla controparte (non soltanto con riguardo ai rapporti bancari) e non contestata dal ricorrente: peraltro globalmente e contestualmente apprezzate, sì da pervenire ad un quadro probatorio coerente e rispettoso dei principi che governano la prova. Come dimostra proprio la dichiarazione proveniente dalla Golden Heart (priva di qualunque valore legale quanto al suo contenuto che il giudice era libero di valutare secondo il suo prudente apprezzamento in concorso con gli altri elementi probatori acquisiti al processo, e che non è stata ritenuta attendibile per il suo palese contrasto con tutte le altre risultanze probatorie,se non in relazione alla conferma dell’attività professionale che il V. ha intrattenuto con la società suddetta.

Ed anche per ogni altra risultanza probatoria valutata la Corte territoriale non si è limitata ad enunciare le ragioni del proprio convincimento, ma ha esaminato specificamente le contestazioni e gli elementi contrari prospettati dal ricorrente, nonchè esposto dettagliatamente le ragioni per cui erano inidonei a disconoscere la validità di quelli privilegiati e confermavano la correttezza delle conclusioni raggiunte. E d’altra parte l’art. 116 cod. proc. civ., consacra il principio del libero convincimento del giudice, al cui prudente apprezzamento – salvo alcune specifiche ipotesi di prova legale – è rimessa la salutazione globale delle risultanze processuali; e quella, in particolare delle risultanze della prova testimoniale così come il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla loro credibilità involge apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito (Cass. 12912/2004; 1554/2004; 13910/2001;

5231/2001). In conclusione, – non sussiste nè è addebitabile alla decisione impugnata alcun vizio di motivazione, in quanto i vizi di motivazione omessa, insufficiente o contraddittoria sussistono solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o l’insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalla parte o rilevabili d’ufficio, ovvero l’insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione. E detti vizi non possono in alcun modo consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello prospettato e preteso dal ricorrente, perchè spetta soltanto al giudice del merito di individuare le fonti del proprio convincimento e all’uopo valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute più idonee a dimostrare i fatti in discussione, e dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova. Con la conseguenza che sotto tale profilo le censure del V. devono essere dichiarate inammissibili.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in favore della Vi. in complessivi Euro 3.700,00 di cui Euro 3.500,00 per onorario di difesa, oltre a spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 aprile 2010

 

 

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA