Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9712 del 14/04/2021

Cassazione civile sez. trib., 14/04/2021, (ud. 24/09/2020, dep. 14/04/2021), n.9712

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 4857/13 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, 12 è elettivamente

domiciliata;

– ricorrente –

contro

COMES – COMMERCIO E SVILUPPO S.R.L. -, in persona del legale

rappresentante, rappresentata e difesa, giusta delega a margine del

controricorso e del ricorso incidentale, dall’avv. Gabriele Escalar

e dall’avv. Livia Salvini, con domicilio eletto presso il loro

studio in Roma, Viale Giuseppe Mazzini, n. 11;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria della Lombardia n.

169/38/12 depositata in data 18 dicembre 2012;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24 settembre

2020 dal Consigliere Dott.ssa Pasqualina Anna Piera Condello.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con processo verbale di constatazione l’Amministrazione finanziaria accertava in capo alla società Comes – Commercio e Sviluppo s.r.l. – maggiori ricavi e costi non deducibili relativi all’anno 2005.

La pretesa fiscale traeva origine dai seguenti fatti.

La Comes s.r.l., in data 22 febbraio 2005, aveva acquistato beni immobili in costruzione, da destinare a centro commerciale, dalla società Interporto Sud Europa s.p.a. per un corrispettivo di Euro 97.283.358,00; a seguito di controversia insorta a causa del mancato pagamento dei corrispettivi dovuti da parte della Comes s.r.l., le parti avevano formalizzato un atto di transazione che prevedeva la risoluzione consensuale del contratto stipulato in data 22 febbraio 2005 ed il trasferimento dell’immobile dalla Comes alla Interporto, al prezzo di Euro 120.461.124,00, oltre I.V.A.; il trasferimento dell’immobile era stato poi formalizzato con contratto del 1 novembre 2005, con il quale la Comes aveva ceduto alla Interporto il terreno, sito nel Comune di (OMISSIS), sul quale sorgeva il corpo di fabbrica destinato a centro commerciale ed un corpo di fabbrica adiacente, per un prezzo dichiarato di Euro 120.461.124,00, a fronte del quale era stata emessa fattura di vendita comprensiva di I.V.A..

Secondo la ricostruzione dell’Ufficio, poichè l’attività della Comes, sulla base di quanto risultante dall’originario contratto di vendita di cosa futura, era finalizzata unicamente ad acquisire il centro commerciale e poichè con il trasferimento dell’immobile formalizzato in data 1 novembre 2005 la Comes aveva di fatto riconosciuto l’impossibilità di raggiungere lo scopo per il quale era stata costituita, ossia l’acquisizione “chiavi in mano” del centro commerciale, la società avrebbe dovuto riclassificare in bilancio l’attività economica svolta nell’anno 2005 da compravendita di immobili strumentali da destinare alla locazione a compravendita di beni immobili destinati alla rivendita, con conseguente contabilizzazione di tutta l’operazione in conformità alla disciplina prevista dall’art. 92 del t.u.i.r. in regime di variazioni di rimanenze. Ritenendo che la contribuente non avesse correttamente contabilizzato l’operazione di acquisto e vendita del complesso immobiliare, aveva emesso avviso di accertamento con il quale aveva contestato l’omessa contabilizzazione di componenti positivi di reddito per un importo pari ad Euro 120.461.123,00.

2. A seguito di impugnazione della contribuente, la Commissione tributaria provinciale, accogliendo parzialmente il ricorso, ha ritenuto che la società avesse correttamente esposto i costi relativi al centro commerciale e fornito prova della prestazione per servizi.

3. Proposto appello principale dall’Ufficio ed appello incidentale dalla contribuente, la Commissione regionale della Lombardia, con la sentenza in epigrafe indicata, li ha rigettati entrambi.

Ha osservato, in particolare, con riferimento al primo, che il negozio stipulato dalla Comes s.r.l. con la Interporto dovesse essere qualificato come preliminare di compravendita di cosa futura, per effetto del quale l’Interporto si era impegnata a trasferire alla contribuente un centro commerciale una volta realizzata la costruzione, senza stipulare alcun contratto di appalto, e che il complesso immobiliare acquistato con atto notarile del 22 febbraio 2005 era stato ritrasferito dalla Comes alla società Interporto con atto notarile del 1 novembre 2005 in seguito alla conclusione di un accordo tra le parti; ha poi rilevato che le parti avevano successivamente concluso una transazione in data 6 ottobre 2006 con la quale la Interporto aveva nuovamente ceduto il centro commerciale alla contribuente per l’importo di Euro 120.461.124,00, ossia al medesimo importo della precedente cessione.

Ha, inoltre, ritenuto che la contribuente avesse dimostrato l’inesistenza dei ricavi recuperati dall’Ufficio e ha disatteso le eccezioni di invalidità della notifica dell’atto impositivo e di nullità dello stesso atto per superamento dei termini massimi di permanenza dei verificatori nei locali della contribuente.

Ha, infine, confermato la decisione di primo grado nel resto per non avere la contribuente, nemmeno in grado di appello, fornito idonea prova a sostegno dell’appello incidentale.

4. Ricorre per la cassazione della suddetta decisione l’Agenzia delle entrate, con quattro motivi.

La società contribuente resiste con controricorso e propone ricorso incidentale, affidato a quattro motivi, ulteriormente illustrati con memoria ex art. 380-bis.1. c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo del ricorso principale la difesa erariale, deducendo violazione dell’art. 112 c.p.c., assume che la C.T.R. ha omesso di pronunciarsi sulle censure rivolte alla sentenza di primo grado.

Ribadisce al riguardo che:

a) ai sensi dell’art. 109 del t.u.i.r. i corrispettivi delle cessioni si considerano conseguiti e le spese dei beni sostenute alla data di stipulazione dell’atto per gli immobili ovvero, se diversa o successiva, alla data in cui si verifica l’effetto traslativo o costitutivo della proprietà;

b) nella specie, alla data in cui l’immobile era stato ritrasferito dalla Comes alla Interporto (1 novembre 2005) lo stesso non poteva considerarsi ultimato, tenuto conto anche della relazione del 9 gennaio 2006, a firma dell’ing. A., nominato dal Tribunale di Milano;

c) conseguentemente tutti i comportamenti posti in essere dalla contribuente nel 2005 dovevano essere ricondotti nella sfera dell’acquisto di beni immobili con destinazione alla rivendita, rientrante nella disciplina di cui all’art. 92 del t.u.i.r.;

d) poichè l’attività della Comes era finalizzata all’acquisizione del bene immobile e poichè con il trasferimento dello stesso in data 1 novembre 2005 la Comes aveva di fatto attestato l’impossibilità di raggiungere lo scopo per cui si era costituita, l’attività economica svolta nell’anno 2005 avrebbe dovuto essere riclassificata in bilancio da compravendita di immobili strumentali da destinare a locazione ad attività di compravendita di immobili destinati alla rivendita, con conseguente contabilizzazione dell’intera operazione ai sensi dell’art. 92 del t.u.i.r.;

e) nella dichiarazione dei redditi 2005 la società non aveva dichiarato redditi, ma solo proventi finanziari; di fatto, tutte le spese di acquisizione del complesso immobiliare fino al 1 novembre 2005 risultavano sterilizzate dal corrispettivo di cessione di Euro 120.461.123,00 attribuito a cessione di beni strumentali.

Secondo l’Ufficio, tali conclusioni erano suffragate dalle seguenti ulteriori considerazioni: a) l’esistenza di un contratto di vendita di cosa futura tra la Comes s.r.l. e la Interporto, per effetto del quale il bene sarebbe venuto ad esistenza solo al momento della sua realizzazione; b) la Comes s.r.l. non aveva mai avuto il possesso materiale dei beni se non alla data di ultimazione del centro commerciale, avvenuta nel 2006; 3) l’acquisizione del complesso immobiliare in corso di costruzione, risultante dagli stati di avanzamento lavori redatti, ma non sottoscritti dalla promissaria acquirente Comes s.r.l., alla data del 22 febbraio 2005 era motivata dalla necessità di acquisire circa 70 milioni di Euro (contratto di finanziamento del 17 febbraio 2005); d) la cessione del complesso immobiliare intervenuta in data 1 novembre 2005 era giustificata dalla necessità della Comes s.r.l. – inadempiente nei pagamenti – di rientrare dall’esposizione debitoria nei confronti dell’Interporto con incondizionata rinuncia all’acquisizione del bene.

La sentenza impugnata, affermando che la cessione del novembre 2005 era pari “al corrispettivo d’acquisto dell’atto del 22.2.2005, oltre a Euro 21.018.443 relativi a costi per varianti e lavori aggiuntivi e ad Euro 2.159.322 derivanti dalla capitalizzazione dei costi per interessi passivi e prestazioni professionali”, aveva ritenuto che non esistesse differenza tra il corrispettivo di cessione ed il costo relativo e che non esistevano i ricavi recuperati dall’Ufficio; le ragioni poste a fondamento del decisum, ad avviso della ricorrente, affrontavano questioni non poste, omettendo di giudicare sulla res controversa.

2. Con il secondo motivo del ricorso principale la difesa erariale denuncia la violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 92 e 109 sostenendo che la C.T.R. ha violato le norme in tema di accertamento e formazione del reddito, con particolare riguardo al profilo della incidenza delle plusvalenze e delle rimanenze.

Se, come ritenuto dai giudici di appello, non sussisteva differenza tra il corrispettivo di cessione ed il costo relativo, risultavano irrilevanti i riferimenti alle pattuizioni transattive del 6 ottobre 2006, non oggetto di contestazione, giacchè l’appello verteva unicamente sulla classificazione in bilancio dell’importo di cessione e sui costi relativi alla costruzione, tanto che era stato segnalato che erano in corso indagini penali dalle quali era emerso che nell’importo delle varianti compariva una fattura (la n. 116 del 2005 per Euro 5.000.000,00), con causale “acconto su varianti”, palesemente fittizia.

La Commissione regionale, argomentando che non sussistevano ricavi, aveva sostanzialmente violato la norma in tema di rimanenze e di plusvalenze, nonchè i principi in materia di formazione del reddito, poichè non aveva attribuito alla complessiva vicenda in esame natura di compravendita di beni immobili destinati alla rivendita.

3. Con il terzo motivo del ricorso principale deduce omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), ponendo in rilievo che la statuizione contenuta nella sentenza impugnata non è altro che la mera trascrizione della vicenda contrattuale che nulla spiega circa le ragioni dell’accoglimento del ricorso della contribuente; la decisione dei giudici di appello, ad avviso della ricorrente, è priva di motivazione poichè non indica per quale ragione si sia ritenuto che i costi di costruzione fossero giustificati, non potendo avere rilievo che il costo della cessione fosse uguale al costo della vendita proprio perchè l’oggetto della contestazione da parte dell’Ufficio era la natura, ai fini fiscali, dell’intera operazione posta in essere tra la Comes e la Interporto e, quindi, se si fosse trattato o meno di compravendita di beni immobili destinati alla rivendita.

Non avendo la società contabilizzato plusvalenze, erano stati quantificati i costi ed era stato rideterminato il reddito d’impresa, ma la C.T.R. aveva fatto esclusivo riferimento al prezzo della cessione, pur essendo in contestazione i costi di costruzione, omettendo in tal modo di esaminare i motivi di gravame proposti.

4. Con il quarto motivo del ricorso principale la Agenzia delle entrate censura la sentenza impugnata per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) e sostiene che l’argomentazione della C.T.R. secondo cui “è stato dimostrato dalla contribuente che i ricavi recuperati dall’Ufficio non sussistono” è meramente apodittica, non essendo chiaro se i giudici di appello abbiano ritenuto corretta la contabilizzazione in bilancio effettuata dalla contribuente o se il prezzo della successiva cessione del 2006 avesse annullato i ricavi.

Non essendo stata contabilizzata una plusvalenza e a fronte della mancata imputazione dei ricavi conseguiti dalla cessione, i giudici di appello non avrebbero dovuto limitarsi a statuire che sussisteva prova, fornita dalla contribuente, della inesistenza dei ricavi recuperati dall’Ufficio, ma avrebbero dovuto piuttosto verificare se l’intera operazione avesse prodotto una plusvalenza tassabile, confrontando il valore di cessione con i costi ad essa relativi.

5. In controricorso la società contribuente ha eccepito l’inammissibilità del ricorso dell’Agenzia delle entrate perchè volto ad introdurre circostanze nuove non contenute nell’avviso di accertamento oggetto di impugnazione. In particolare, ha evidenziato che l’Ufficio sia nel ricorso per cassazione, sia nell’atto di appello ha dedotto che “i costi riconosciuti dall’Ufficio da contrapporre ai ricavi non dichiarati risultano, in base al processo verbale del 17 dicembre 2010, pari ad Euro 115.461.123,00”, assumendo la fittizietà dei costi indicati nella fattura n. 116 del 2005 e ponendo a fondamento della pretesa tributaria presupposti di fatto diversi da quelli che avevano formato oggetto dell’avviso di accertamento impugnato, desunti da un processo verbale sopravvenuto rispetto all’emanazione dell’avviso di accertamento.

Precisa, sul punto, che mentre nell’avviso di accertamento l’Ufficio si era limitato a riconoscere parte dei costi, senza spiegare le ragioni per cui aveva escluso gli altri, ed a ritenere che fossero certi e determinati costi per un importo di Euro 108.526.920,65, in appello, emendando la motivazione del recupero a tassazione, aveva per la prima volta sostenuto che la pretesa fiscale trovasse giustificazione nella presunta fittizietà di parte dei costi imputati ad incremento del valore fiscalmente riconosciuto del Centro commerciale al momento in cui era stato ceduto con l’atto stipulato il 1 novembre 2005, introducendo in tal modo una pretesa impositiva diversa da quella originariamente avanzata.

5.1. Sempre in via pregiudiziale, la controricorrente ha eccepito l’inammissibilità del primo, del secondo e del quarto motivo del ricorso principale per genericità delle censure che non attingono l’iter logico decisivo della sentenza impugnata e non possono, di conseguenza, determinarne l’annullamento.

Ad avviso della società, anche laddove la C.T.R. avesse ritenuto che la vendita del Centro commerciale posta in essere dalla Comes a favore di Ise in data 1 novembre 2005 fosse produttiva di ricavi, anzichè di plusvalenze, in quanto avente ad oggetto cd. beni di magazzino, avrebbe comunque dovuto annullare l’atto impositivo, dato che anche in tale ipotesi non sarebbe stato legittimo l’accertamento di un maggior imponibile ai fini IRES e IRAP.

5.2. Il terzo ed il quarto motivo del ricorso principale, secondo la controricorrente, sono in ogni caso inammissibili, poichè, trovando applicazione nel caso di specie l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, l’Agenzia delle entrate ha omesso di indicare la sussistenza del fatto controverso tra le parti che la Commissione regionale avrebbe pretermesso di esaminare.

5.3. Deduce, inoltre, che il terzo motivo del ricorso principale difetta di autosufficienza, posto che l’Agenzia delle entrate ha trascurato di indicare in quale sede del giudizio di merito sarebbero stati depositati i documenti che attesterebbero la fittizietà della fattura n. (OMISSIS) del (OMISSIS) e non ne ha trascritto il contenuto. Aggiunge, sul punto, che in ogni caso non spetta al contribuente dimostrare che l’operazione è effettiva, ma incombe sull’amministrazione, che adduce la falsità del documento e quindi l’inesistenza dell’operazione, provare che l’operazione non è mai stata posta in essere.

6. In via di ricorso incidentale, con il primo motivo, illustrato al paragrafo B.1), la società contribuente deduce nullità della sentenza impugnata, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere i giudici di secondo grado ritenuto erroneamente ammissibile l’appello, nonostante l’Amministrazione avesse introdotto in grado di appello una pretesa impositiva diversa da quella che costituiva oggetto dell’avviso di accertamento impugnato.

6.1. Con il secondo motivo, illustrato al paragrafo B.2., deduce nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 329 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62. Assume, al riguardo, che con l’atto di appello l’Ufficio aveva ridotto l’ammontare della propria pretesa imponibile, prestando in tal modo parziale acquiescenza alla sentenza impugnata, che, di conseguenza, sarebbe, in parte qua, passata in giudicato.

6.2. Con il terzo motivo del ricorso incidentale (illustrato al paragrafo C.1. del controricorso), con il quale si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., la società censura la decisione impugnata laddove i giudici regionali hanno respinto il motivo di appello incidentale, rubricato “illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato il motivo di ricorso esposto al par. 5 del ricorso introduttivo della società, in quanto carente in punto di motivazione e, comunque, infondata. Sulla presunta inesistenza di prestazioni di servizi – violazione e falsa applicazione dell’art. 109 del t.u.i.r.”.

Si duole che i giudici di appello abbiano respinto l’appello incidentale sul rilievo, errato, che spettasse alla società dimostrare l’effettività dell’operazione a fronte della quale era stata emessa la fattura n. (OMISSIS) del (OMISSIS) dalla Dott.ssa C.A.M., pur trattandosi di notula regolarmente registrata in contabilità e nonostante gravasse sull’Ufficio l’onere di dimostrare l’inesistenza della prestazione.

Formula, quindi, il seguente quesito di diritto: “Stabilisca codesta Ecc.ma Corte se risponde al vero il seguente principio” in un caso in cui, come nella specie, l’Ufficio con un avviso di accertamento abbia recuperato agli effetti della determinazione dell’IRES e dell’IRAP il costo sostenuto dalla società contribuente a titolo di mediazione nella ricerca di un finanziamento necessario per il completamento della costruzione di un centro commerciale resa da un professionista che ha a tale proposito rilasciato apposita notula; viola e falsamente applica l’art. 2697 c.c. la sentenza della CTR che conferma il rilievo dall’Ufficio sul presupposto che la società contribuente non avrebbe fornito alcuna prova dell’effettività di tale prestazione di servizi; anzichè ritenere che incomba all’Ufficio l’onere di provare l’inesistenza di operazioni per le quali la società contribuente ha allegato e dimostrato di avere ricevuto apposita fattura e di avere regolarmente registrato il relativo costo nella propria contabilità”.

6.3. Con il quarto motivo del ricorso incidentale (illustrato al paragrafo C.2. del controricorso) la contribuente deduce nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., art. 118 disp. att. c.c., D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 e D.Lgs. n. 564 del 1992, art. 62 sottolineando che, nel caso in cui dovesse essere rigettato il terzo motivo del ricorso incidentale, la sentenza impugnata dovrebbe comunque essere cassata per motivazione meramente apparente, posto che la C.T.R. si è limitata genericamente ed apoditticamente ad asserire il mancato assolvimento della prova da parte della società, senza indicare le ragioni per cui gli elementi probatori dalla stessa addotti non sarebbero sufficienti ad attestare l’effettività delle prestazioni rese.

7. Il primo motivo del ricorso principale è infondato.

7.1. Ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass. sez. 1, 13/10/2017, n. 24155; Cass., sez. 5, 6/12/2017, n. 29191; Cass., sez. 6-1, 4/06/2019, n. 15255).

7.2. Nella specie, la Commissione regionale, dopo avere ricostruito le diverse fasi dell’operazione commerciale, prendendo le mosse dal contratto concluso in data 22 febbraio 2005 sino ad arrivare alla transazione conclusa in data 6 ottobre 2006, ha integralmente annullato l’accertamento di maggiori ricavi operato dall’Amministrazione finanziaria sul presupposto che la contribuente avesse offerto adeguata prova della inesistenza degli stessi.

Sebbene la motivazione sia estremamente sintetica, risulta evidente che i giudici di appello hanno ritenuto che il prezzo concordato con il contratto di cessione del novembre 2005 fosse pari al corrispettivo di acquisto dell’atto del 22 febbraio 2005, maggiorato di costi per varianti e per lavori aggiuntivi e di quelli per interessi passivi e prestazioni professionali, e che non fossero, conseguentemente, imputabili alla società contribuente i maggiori ricavi accertati, in tal modo, implicitamente, disattendendo la ricostruzione operata dall’Ufficio che contestava la non corretta contabilizzazione dell’operazione.

8. Il secondo, il terzo ed il quarto motivo, strettamente connessi, possono essere trattati unitariamente e sono infondati.

8.1. Come emerge dalla motivazione dell’avviso di accertamento, riportato nel controricorso, l’Agenzia delle entrate ha contestato alla Comes s.r.l. che la contabilizzazione dell’operazione di acquisto e di vendita del complesso immobiliare destinato a centro commerciale, sito in (OMISSIS), avvenuta nell’anno 2005, non sarebbe rispettosa delle norme di riferimento in tema di accertamento e formazione del reddito, con particolare riguardo al profilo delle rimanenze; in particolare, secondo la ricostruzione operata dall’Amministrazione finanziaria, la Comes, in conseguenza del contratto del 1 novembre 2005, con il quale era stato ritrasferito alla società ISE il centro commerciale, avrebbe dovuto riclassificare la vendita come produttiva di ricavi ai sensi degli artt. 85 e 92 del t.u.i.r., configurandosi tale operazione quale vendita di un cd. bene magazzino e non quale compravendita di bene strumentale.

8.2. Risulta pacifico che la società contribuente ha contabilizzato i proventi derivanti dalla cessione del centro commerciale, atteso che nella motivazione dell’atto impositivo si riconosce espressamente che “la cessione immobiliare del 2.11.2005 è risultata dapprima registrata nel conto “ricavi vari” per Euro 120.461.123,76 e quindi giro contata nel conto “immobili in costruzione per Euro 118.301.801,03”, nel conto “oneri finanziari capit. Immob. in costruzione per Euro 1.716.822,73, nel conto “oneri finanziari capit. Immob. in costruz. per Euro 442.500,00”.

Il reddito derivante dalla cessione dell’immobile del 1 novembre 2005, anche qualora si volesse ritenere, come sostenuto dall’Agenzia delle entrate, che la contribuente avrebbe dovuto riclassificare l’intera operazione da vendita di bene strumentale a vendita di bene magazzino, come tale produttiva di ricavi in forza dell’applicazione dell’art. 85 e art. 92, comma 1, del t.u.i.r. – che prevedono il concorso alla formazione del reddito di esercizio delle variazioni delle rimanenze finali dei beni indicati all’art. 85, comma 1, lett. a) e b), del t.u.i.r. -, non potrebbe in ogni caso comportare l’emersione di maggiore imponibile ai fini IRES e IRAP, dovendo il risultato imponibile della vendita essere comunque determinato al netto del costo del bene.

Infatti, anche configurando la cessione perfezionatasi in data 1 novembre 2005 quale vendita di un cd. bene magazzino, al termine dell’esercizio i ricavi fiscalmente rilevanti generati da tale cessione devono in ogni caso essere considerati al netto del relativo costo sostenuto dalla contribuente per l’acquisto del medesimo bene.

A tale riguardo, i giudici di appello hanno affermato che il prezzo di Euro 120.461.124,00, oltre I.V.A., concordato dalle parti e risultante dall’atto notarile del 1 novembre 2005, è pari “al corrispettivo d’acquisto dell’atto del 22.2.2005 oltre a Euro 21.018.443,00 relativo a costi per varianti e lavori aggiuntivi e a Euro 2.159.322,00 derivanti dalla capitalizzazione dei costi per interessi passivi e prestazioni professionali”, in tal modo accertando che non esiste differenza tra il corrispettivo di cessione ed il costo relativo.

Il che impone di ritenere che non sussistono i maggiori ricavi recuperati dall’Amministrazione.

8.3. Va, peraltro, considerato che la destinazione dei beni immobili tra i cd. beni-merce o tra i beni strumentali dipende dall’obiettivo finale di destinazione, vendita o sfruttamento, e quindi dalla funzione che la società intenda imprimere al bene stesso.

Nel caso di specie, sulla base di una valutazione ex ante, risulta evidente che al momento dell’acquisto la Comes volesse destinare il centro commerciale all’esercizio dell’attività d’impresa e non alla rivendita, con la conseguenza che l’immobile non poteva essere ricondotto tra i cd. immobili merce.

Infatti, sulla base della stessa prospettazione difensiva dell’Agenzia delle entrate, la società aveva inizialmente concluso un contratto di vendita di cosa futura, i cui effetti, quanto all’acquisto della proprietà e alla materiale disponibilità dell’immobile, erano subordinati al completamento della costruzione del bene; di conseguenza, la contribuente non poteva destinare l’immobile ad una utilizzazione diversa da quella di bene strumentale all’esercizio dell’attività sociale.

8.4. Va, peraltro, considerato che la ricostruzione dell’operazione operata dall’Ufficio, secondo la quale la Comes s.r.l., con la conclusione del contratto del 1 novembre 2005, avrebbe definitivamente rinunciato all’acquisizione “chiavi in mano” del complesso immobiliare, non giustifica la necessità di riclassificare l’operazione nel bilancio d’esercizio e, comunque, non comporta automatica violazione delle norme in materia di variazione delle rimanenze, tenuto conto che l’operazione di acquisto e di rivendita ha avuto integrale svolgimento nel corso di un unico periodo di imposta, cosicchè al termine di quell’esercizio il complesso immobiliare, ormai ceduto e non più facente parte del patrimonio della società, non poteva essere annoverato in bilancio tra le rimanenze finali.

La motivazione della sentenza impugnata si sottrae, dunque, alle censure ad essa rivolte.

Il rigetto del ricorso principale rende superfluo l’esame delle eccezioni di inammissibilità dei motivi fatte valere dalla parte controricorrente.

9. Vanno dichiarati inammissibili per difetto di interesse il primo ed il secondo motivo del ricorso incidentale condizionato.

In tema di giudizio di cassazione, è inammissibile per carenza di interesse il ricorso incidentale condizionato allorchè proponga censure che non sono dirette contro una statuizione della sentenza di merito bensì a questioni su cui il giudice di appello non si è pronunciato ritenendole assorbite, atteso che in relazione a tali questioni manca la soccombenza che costituisce il presupposto dell’impugnazione, salva la facoltà di riproporre le questioni medesime al giudice del rinvio, in caso di annullamento della sentenza (Cass., sez. 5, 22/09/2017, n. 22095).

Infatti, l’interesse ad agire, necessario anche ai fini dell’impugnazione del provvedimento giudiziale, va apprezzato in relazione alla utilità concreta derivabile alla parte dall’eventuale accoglimento del gravame e non può consistere in un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica, non avente riflessi pratici sulla decisione adottata.

E’, pertanto, inammissibile, per difetto d’interesse, un’impugnazione con la quale si deduca la violazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, che non spieghi alcuna influenza in relazione alle domande o eccezioni proposte e che sia diretta all’emanazione di una pronuncia priva di rilievo pratico (Cass., sez. 1, 27/01/2006, n. 1755; Cass., sez. 3, 4/06/2007, n. 12952; Cass., sez. 3, 29/05/2018, n. 13395; Cass., sez. 6-5, 18/02/2020, n. 3991).

10. Merita, invece, accoglimento il quarto motivo del ricorso incidentale, con assorbimento del terzo motivo.

La Commissione regionale, nel rigettare l’appello incidentale della società contribuente, con il quale si chiedeva la riforma della sentenza di primo grado nella parte in cui era stato confermato il rilievo – pure contestato nell’avviso di accertamento – concernente l’indeducibilità dell’importo di Euro 26.026,00 relativo alla fattura emessa dalla Dott.ssa C.A. per prestazioni di mediazione creditizia, si è limitata in modo apodittico ad asserire il mancato assolvimento della prova da parte della contribuente, senza illustrare le ragioni per cui gli elementi probatori dalla stessa offerti (pagamento della fattura a mezzo assegno bancario, versamento della ritenuta d’acconto e indicazione del percipiente nella dichiarazione dei sostituti d’imposta) non fossero sufficienti a dimostrare l’effettività delle prestazioni.

Infatti, in tema di contenuto della sentenza, il vizio di motivazione previsto dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando, come nella specie, non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, nè alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass., sez. L, 14/02/2020, n. 3819; Cass., sez. 6-3, 30/05/2019, n. 14762; Cass., sez. L, 25/10/2018, n. 27112). Il giudice di merito è, infatti, tenuto a dare conto, in modo comprensibile rispetto alle evidenze processuali, del percorso logico compiuto al fine di accogliere o rigettare la domanda, dovendo considerarsi viziata per apparenza la motivazione meramente assertiva.

11. Alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso principale va rigettato; deve inoltre essere dichiarata l’inammissibilità del primo e del secondo motivo del ricorso incidentale e deve essere accolto il quarto motivo, con assorbimento del terzo motivo del ricorso incidentale.

La sentenza impugnata va, dunque, cassata in relazione alla censura accolta, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, perchè proceda a nuovo esame, nonchè alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale; dichiara inammissibile il primo ed il secondo motivo del ricorso incidentale; accoglie il quarto motivo e dichiara assorbito il terzo motivo del ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 24 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2021

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