Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9711 del 26/05/2020

Cassazione civile sez. III, 26/05/2020, (ud. 18/02/2020, dep. 26/05/2020), n.9711

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27855/2018 proposto da:

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA, in persona del procuratore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 145, presso lo

studio dell’avvocato PAOLO GARAU, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

C.F., ROMA CAPITALE (OMISSIS), M. COSTRUZIONI

GENERALI SPA;

– intimati –

nonchè da:

ROMA CAPITALE, (OMISSIS) in persona della Sindaca p.t., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA POMPEO MAGNO 7, presso lo studio

dell’avvocato VINCENZA DI MARTINO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato CARLO SPORTELLI;

– ricorrente incidentale –

contro

C.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DARDANELLI, 23 presso lo studio dell’avvocato MATTEO ADDUCI (STUDIO

MELINA), che lo rappresenta e difende;

– controricorrente all’incidentale –

e contro

UNIPOL SAI ASSICURAZIONI SPA, M. COSTRUZIONI GENERALI SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 5551/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 10/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/02/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MISTRI Corrado, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

principale, parziale inammissibilità e in subordine rigetto del

ricorso incidentale;

udito l’Avvocato GAIA BALDASSARRI per delega;

udito l’Avvocato MATTEO ADDUCI;

udito l’Avvocato VINCENZA DI MARTINO.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Unipolsai Ass.ni Spa ricorre, affidandosi ad un unico motivo, per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Roma che, riformando integralmente la pronuncia di rigetto del Tribunale, aveva accolto la domanda proposta da C.F. nei confronti di Roma Capitale per il risarcimento dei danni subiti a seguito di un sinistro verificatosi nel (OMISSIS), a causa di un’insidia stradale consistente in un vasto avvallamento sull’asfalto della strada da lui percorsa alla guida del proprio motoveicolo, dislivello che aveva determinato la sua rovinosa caduta.

1.1. Per ciò che interessa in questa sede, la Corte territoriale aveva ribaltato la pronuncia di primo grado con la quale era stato escluso che fosse configurabile un’insidia stradale. Dopo aver accertato, infatti, la sussistenza dei presupposti della responsabilità ex art. 2051 c.c., ed aver negato che la condotta del motociclista potesse configurare un’ipotesi di “caso fortuito” in ragione della sua velocità moderata, aveva condannato Roma Capitale al risarcimento del danno da lui subito; aveva altresì dichiarato che la società M. Costruzioni Srl alla quale era stata appaltata la manutenzione delle strade, chiamata in causa e costituita in primo grado ma rimasta contumace in appello – era tenuta a manlevare l’ente locale dal pagamento di tutte le somme oggetto di condanna a suo carico; ed aveva, infine, condannato la Unipolsai Ass.ni Spa e tenere indenne la società dalle pretese derivanti dalla sentenza, detratta la franchigia contrattualmente pattuita.

2. Roma Capitale ha resistito e, oltre a dedurre la ricorrenza di un errore revocatorio e la conseguente inammissibilità del ricorso principale, ha proposto impugnazione incidentale fondata su tre motivi, illustrati anche da memoria.

3. Il C. ha resistito al ricorso incidentale con controricorso e memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Sul ricorso principale Unipolsai.

1.1. Con unico motivo, la ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., quale vizio di ultra o extrapetizione.

Lamenta, al riguardo, che, nonostante la contumacia in appello della M. Costruzioni srl, la Corte territoriale aveva erroneamente quanto contraddittoriamente dichiarato che la domanda di garanzia era stata riproposta ed aveva, pertanto, condannato la compagnia a tenere indenne la società dalle pretese derivanti dalla sentenza: assumeva che tale statuizione andava oltre i limiti della domanda anche perchè l’art. 346 c.p.c., doveva ritenersi operante anche nei confronti dell’appellato contumace.

1.2. Il motivo è inammissibile.

1.3. Risulta, infatti, incontestato che la società è stata indicata come “contumace” nell’epigrafe della sentenza, ed è stata ritenuta tale nella prima parte della motivazione (svolgimento in fatto, pag. 5 della sentenza), salvo poi ritenersi che avesse riformulato la domanda di garanzia nei confronti della Unipolsai Spa (cfr. pag. 12 della sentenza), statuizione dalla quale è derivata la pronuncia di condanna alla manleva a suo carico.

1.4. Si osserva, al riguardo, che a doglianza prospetta un evidente errore revocatorio, riconducibile all’art. 395 c.p.c., n. 4: tuttavia il ricorrente, pur denunciandolo come fatto pacifico, non ne trae le giuste conseguenze che avrebbero imposto la proposizione di un ricorso per revocazione della sentenza per errore di fatto, e non l’impugnazione in esame.

1.5. Al riguardo, questa Corte ha affermato, con orientamento consolidato e condiviso dal Collegio che qualora la sentenza d’appello abbia esaminato una domanda affermando che essa era stata proposta e tale affermazione sia stata fatta senza essere preceduta da alcuna attività valutativa diretta a fornire dimostrazione dell’assunto, l’vizio denunciato è riconducibile alla revocazione prevista dall’art. 395 c.p.c.: con esso, infatti, viene prospettato un errore di percezione (e non di valutazione) di un fatto processuale fondato su una mera asserzione. A ciò consegue, nel caso in esame, l’inammissibilità del relativo motivo, perchè la censura avrebbe dovuto farsi valere con il mezzo della revocazione (cfr. Cass. 27555/2011 e Cass. 30850/2018).

1.6. Ne deriva chela sentenza – che non è stata oggetto del rimedio di cui all’art. 395 c.p.c. – è coperta, in parte qua,dal “giudicato”: la censura prospettata, pertanto, deve ritenersi, incoerente rispetto al presupposto, ormai definitivo e non più discutibile, che la M. Costruzioni srl si sia costituita in appello ed abbia riproposto la domanda di garanzia nei confronti della sua compagnia di assicurazione.

1.7. La doglianza riguardante il vizio di ultrapetizione con riferimento all’applicabilità dell’art. 346 c.p.c., anche alla parte contumace in sede di gravame è, quindi, inammissibile perchè prende le mosse da un fatto processuale allo stato contraddetto dalla pronuncia passata in giudicato, non essendo tuttavia inutile precisare che la prevalente giurisprudenza di legittimità esclude che la regola sancita dall’art. 346 c.p.c., sia applicabile anche alla parte non costituita in appello, (cfr. Cass. 7999/1992; Cass. 7019/2001; e, da ultimo, Cass. 19185/2018): è stato infatti ritenuto che la scelta della contumacia non implica alcuna manifestazione di volontà abdicativa delle domande originarie e che l’ordinamento processuale considera la decisione della parte di, non partecipare al giudizio in modo assolutamente neutro, “non rivestendo la contumacia il carattere di condotta “ex se” significante, non soltanto con riferimento al riconoscimento del diritto altrui ma neppure in termini di mera non contestazione dei fatti allegati” (cfr. Cass. 19185/2018 in motivazione).

2. Sul ricorso incidentale autonomo di Roma Capitale.

2.1. Con il primo motivo la ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 c.c., art. 1227 c.c., comma 1 e art. 2697 c.c.: lamenta che la Corte abbia svalutato il dovere di cautela da parte del soggetto che entra in contatto con la cosa, tenuto conto del c.d. rischio statico, del dovere di diligenza nella situazione di pencolo e della visibilità delle condizioni della strada, tenuto conto della vasta estensione dell’avvallamento sul quale si era verificata la caduta della motocicletta.

2.2. Con il secondo motivo deduce, ex art. 360, comma 1, n. 4 e art. 111 Cost., la violazione dell’art. 132 c.p.c., per contraddittonetè della motivazione.

Contesta la valutazione di invisibilità dell’insidia, contrastante con le dimensioni di essa e con l’ora in cui si era verificato l’incidente, definita erroneamente, “serale” dalla Corte territoriale.

2.3. Con il terzo motivo, lamenta, infine, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 c.c., dell’art. 2043 c.c. e dell’art. 2697 c.c.: contesta l’omessa dimostrazione da parte del convenuto di aver guidato in modo prudente e di non aver quantomeno concorso a determinare l’incidente, deducendo, altresì, che non era stata data prova dell’obiettiva pericolosità dello stato dei luoghi.

3. I primi due motivi devono essere trattati congiuntamente in quanto sono strettamente connessi.

3.1. Essi sonò entrambi inammissibili.

3.2. Le censure proposte, infatti, riguardano questioni di fatto e postulano una rivalutazione di merito della dinamica del sinistro, delle circostanze in cui esso si è verificato e dell’efficacia causale delle dimensioni dell’avvallamento esistente che ha determinato l’incidente le quali, tutte, sono state oggetto di una motivazione congrua e logica e ben al di sopra della sufficienza costituzionale (cfr. pag. 7, 8, e 9 della sentenza impugnata): entrambe le doglianze, pertanto, non sono consentite in sede di legittimità (cfr. ex multis Cass. 18721/2018; Cass. Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612747; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 13954 del 14/06/2007, Rv. 598004; Cass. Sez. L, Sentenza n. 12052 del 23/05/2007, Rv. 597230; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 7972 de) 30/03/2007, Rv. 596019; sino a risalire a Cass., Sez. 3, Sentenza n. 1674 del 22/06/1963, Rv. 262523, la quale affermò il consolidato principio in esame secondo il quale “la valutazione e la interpretazione delle prove in senso difforme da quello sostenute dalla parte è incensurabile in Cassazione”).

4. Il terzo motivo, invece, è infondato.

4.1. Si osserva infatti che, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, la prova del caso fortuito è a carico della parte convenuta, custode del bene.

4.2. Infatti, la responsabilità disciplinata dall’art. 2051 c.c., costituisce una ipotesi di responsabilità oggettiva e non di colpa presunta: il danneggiato, pertanto, per ottenere il risarcimento da parte del custode, deve dimostrare unicamente l’esistenza del danno e la sua derivazione causale dalla cosa, mentre al custode, per andare esente da responsabilità, non sarà sufficiente provare la propria diligenza nella custodia, ma dovrà dimostrare anche che il pregiudizio è derivato da caso fortuito riconducibile, in ipotesi, alla condotta imprudente della vittima del sinistro.

4.3. Al riguardo, è stato affermato che atteso il carattere oggettivo del criterio di imputazione di responsabilità di cui all’art. 2051 c.c., è sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell’attore del nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno, mentre sul custode grava l’onere della prova liberatoria del caso fortuito, inteso come fattore che, in base ai principi della regolarità o adeguatezza causale, esclude il nesso eziologico fra i due elementi, ed è comprensivo della condotta incauta della vittima, che assume rilievo ai fini del concorso di responsabilità ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1 e deve essere graduata sulla base di un accertamento in ordine alla sua effettiva incidenza causale sull’evento dannoso, che può anche essere esclusiva. (cfr. Cass. 27724/2018).

4.4. Nel caso in esame, la Corte territoriale, dopo aver qualificato la domanda ex art. 2051 c.c., ha applicato correttamente i principi sopra richiamati, ragione per cui la critica – che nella parte in cui si duole dell’omessa dimostrazione dell’obiettiva situazione di pericolosità dello stato dei luoghi (cfr. pag. 10 del ricorso) è sovrapponibile ai primi due motivi ed, in quanto tale, inammissibile, richiedendo una rivalutazione della questione di fatto già compiutamente esaminata – risulta priva di fondamento, essendo stata correttamente osservata la ripartizione degli oneri probatori previsti nella specifica materia.

5. In conclusione, il ricorso principale deve dichiararsi inammissibile e quello incidentale deve essere rigettato.

6. L’esito del giudizio rende opportuna la compensazione delle spese fra i ricorrenti, mentre determina l’applicazione del principio della soccombenza nei confronti del controricorrente.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte:

dichiara inammissibile il ricorso principale e rigetta quello incidentale. Compensa le spese del giudizio di legittimità fra i ricorrenti e li condanna in solido a rifondere quelle sostenute dal controricorrente C.F. che liquida in complessivi Euro 7800,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi oltre ad accessori e rimborso spese generali nella misura di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 18 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2020

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