Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9710 del 26/05/2020

Cassazione civile sez. III, 26/05/2020, (ud. 17/02/2020, dep. 26/05/2020), n.9710

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – rel. Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36485/2018 proposto da:

C.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ANAPO 29,

presso lo studio dell’avvocato MASSIMO GIZZI, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

POLIGRAFICI EDITORIALI SPA in persona del procuratore speciale legale

Dott. CE.LU., elettivamente domiciliata in ROMA,

CIRCONVALLAZIONE CLODIA 29, presso lo studio dell’avvocato BARBARA

PICCINI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

FEDERICO CORNIA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 826/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 22/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/02/2020 dal Consigliere Dott. MARIO CIGNA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con citazione 9-3-2009 C.C. convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Bologna Poligrafici Editore SpA per sentirla condannare al risarcimento del danno subito in conseguenza di una campagna diffamatoria a mezzo stampa operata con più articoli dal giornale “(OMISSIS)”, di proprietà della società convenuta.

A sostegno della domanda l’attore evidenziò: che, nella qualifica di giudice civile presso il Tribunale di Ascoli Piceno (e, in particolare, fino all’autunno del 2008, di giudice delegato ai fallimenti), si era occupato di vicende concernenti gli imprenditori sambenedettesi P.A. ed Al. e le società facenti capo a quest’ultimi (nello specifico procedure fallimentari instaurate in danno degli stessi e molteplici giudizi collaterali instaurati dai soggetti falliti per lamentare presunte irregolarità); che segnatamente Pa.Al. aveva presentato, in relazione a detta attività, numerosi esposti (al CSM, al Presidente della Repubblica ed al Ministero), tutti archiviati, e, dal settembre 2005, numerose denunce penali, in seguito alle quali era stato incardinato presso la Procura di L’Aquila procedimento penale con indagato (tra gli altri) anche lo stesso attore, conclusosi con provvedimento di archiviazione del 15-2-2008; che, nel frattempo, tuttavia, il giornale “(OMISSIS)” aveva pubblicato vari articoli relativi alle suddette vertenze giudiziarie (in particolare in data 19-12-2004, 308-2006, 31-8-2006 e 8-3-2007), basandosi esclusivamente sulle informazioni del P., senza riscontrare la veridicità degli stessi ed omettendo di dare risalto ai provvedimenti che avevano smentito la tesi accusatoria del P..

Si costituì la Poligrafici Editore SpA e chiese il rigetto della domanda.

Il Giudice, ritenuta la causa matura per la decisione senza neanche concedere i richiesti termini ex art. 183 c.p.c., comma 6, fissò udienza per la precisazione delle conclusioni e per la decisione; quindi, con sentenza 20067/2000, l’adito Tribunale rigettò la domanda risarcitoria; in particolare il Tribunale ritenne: che l’oggetto degli articoli era senz’altro riconducibile all’interesse pubblico; che gli articoli non erano redatti con uno stile eccessivo e nel complesso rispondevano al canone della continenza; che talune imprecisioni degli stessi non costituivano diffamazione.

Con sentenza 826/2018 del 22-3-2018 la Corte d’Appello di Bologna ha rigettato il gravame proposto da C.C.; in particolare la Corte territoriale ha innanzitutto evidenziato che i termini ex art. 183 c.p.c., comma 6, erano stati poi concessi in grado d’appello, sicchè, in relazione ai motivi di gravame sul punto, andava dichiarata cessata la materia del contendere; nel merito, poi, la Corte d’Appello, dopo avere ribadito la sussistenza dell’elemento oggettivo e di quello soggettivo del reato di diffamazione, ha ritenuto sussistente la scriminante dell’esercizio del diritto di cronaca per la presenza delle condizioni ritenute necessarie da questa S.C., e cioè la verità oggettiva dei fatti riportati, l’interesse pubblico alla conoscenza degli stessi e la continenza delle espressioni utilizzate (e cioè l’esposizione in forma civile); nello specifico: 1) era indubbia la sussistenza dell’interesse pubblico alla notizia, atteso che la stessa riguardava l’esercizio della giurisdizione da parte della magistratura locale; 2) sussisteva anche il presupposto della verità del fatto storico narrato, atteso che la circostanza che il C. fosse indagato era senz’altro vero; al riguardo vi era solo una marginale imprecisione (il riferito fatto che fosse stato emesso avviso di garanzia, quando invece era stata solo operata l’iscrizione nel registro degli indagati), che però doveva ritenersi priva di valenza diffamatoria, posto che nessun giudizio di colpevolezza era implicato in un atto d’indagine e che comunque la notizia dell’avviso di garanzia era genericamente riferita all’inchiesta sul fallimento dell’imprenditore, e non specificamente correlata al nome del P.; 3) sussisteva, inoltre, anche il requisito della continenza; al riguardo ha rilevato: a) che l’articolo del (OMISSIS), intitolato “l’imprenditore non molla: contraddizioni da verificare”, non aveva alcun contenuto diffamatorio nei confronti del C., non essendo stato lo stesso mai indicato nominativamente, e non contenendo comunque detto articolo alcun accenno alla sua condotta; b) che l’articolo del (OMISSIS), intitolato “bufera giudiziaria scuote il Tribunale”, era anch’esso generico e privo quindi di valenza diffamatoria nei confronti del C. (in quanto mancante del riferimento nominativo al C.), ed era comunque scritto con tono equilibrato e prudente, essendo sottolineato che si trattava di reati (truffa ed abuso d’ufficio) presunti, e che la Magistratura era stata obbligata per legge ad avviare il procedimento; c) che nell’articolo del (OMISSIS), intitolato “abbiamo agito secondo la legge” e contenente una intervista al Presidente del locale Tribunale, non era ravvisabile alcuna valenza lesiva; in particolare, infatti, nell’articolo non vi era alcuna allusione al possibile esito del procedimento, mentre il Presidente, nella detta intervista, aveva replicato alla notizia relativa all’indagine della Procura, difendendo l’operato dei Magistrati; d) nell’articolo dell'(OMISSIS) il riferimento ai fatti avvenuti in Basilicata riguardava affermazioni dello stesso P., trascritte nell’articolo in virgolettato, senza alcuna descrizione di detti fatti, rispetto ai quali comunque l’articolista aveva denotato equidistanza e neutralità; e) il giornale non poteva dare risalto all’archiviazione del procedimento, avvenuta con decreto del 15-2-2008, quasi un anno dopo la pubblicazione dell’ultimo articolo oggetto di causa.

Avverso detta sentenza C.C. propone ricorso per Cassazione, affidato a due motivi ed illustrato anche da successiva memoria.

La Poligrafici Editoriale SpA resiste con controricorso, anch’esso illustrato da successiva memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente, denunciando – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’art. 21 Cost., artt. 51 e 595 c.p. e art. 10 CEDU, sostiene che erroneamente la Corte territoriale non abbia ritenuto superato il limite della continenza nell’articolo del (OMISSIS), il cui titolo “bufera giudiziaria scuote il Tribunale” era del tutto paradossale ed inverosimile rispetto alla presentazione di un esposto che per legge imponeva l’avvio delle indagini ed era quindi autonomamente dotato di valenza diffamatoria; con riferimento, poi, all’articolo del (OMISSIS), ribadisce che nessun avviso di garanzia era stato emesso a suo carico, sicchè il nucleo fattuale della notizia riportata nel detto articolo non era vero ed ingenerava nel lettore un giudizio negativo in relazione alla vicenda narrata, ledendo la reputazione dei soggetti coinvolti; la circostanza relativa all’avviso di garanzia costituiva, infatti, il perno su cui era incentrato l’articolo, presupponendo il compimento di un atto “garantito” dal P.M. ed un filtro operato dalla Procura (entrambi non avvenuti); nell’articolo pubblicato il (OMISSIS) il giornalista non si era limitato a riprodurre evidenze derivate dalle indagini giudiziarie ma, al contrario, aveva formulato un giudizio prognostico in chiave colpevolista; il richiamo ai fatti accaduti in (OMISSIS) aveva il precipuo scopo di rappresentare una gravità della vicenda assolutamente disancorata dalla reale portata dei fatti.

Il motivo è inammissibile.

La censura, invero, benchè formulata sub violazione di legge, si risolve in una critica in fatto sulla valutazione della Corte territoriale in ordine al superamento dei limiti del diritto di critica e di informazione.

Come già precisato da questa S.C., infatti, in tema di risarcimento del danno a causa di diffamazione a mezzo stampa, la valutazione del superamento dei limiti del diritto di critica e di informazione (costituiti dall’interesse pubblico, dalla rispondenza a verità dei fatti esposti e dalla continenza formale; su quest’ultima v. anche Cass. 20608/2011), con conseguente attribuzione di rilevanza diffamatoria ad espressioni usate negli articoli di stampa, si risolve in giudizio di fatto, incensurabile in sede di legittimità se non per vizio motivazionale nei ristretti limiti di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, nuova formulazione, ratione temporis applicabile, (conf. Cass. 3284/2006; 15510/2006; 11259/2007; 620/2010).

Con il secondo motivo il ricorrente, denunziando – ex artt. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 – nullità della sentenza in punto di regolamentazione delle spese nonchè violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., si duole che la Corte territoriale, nonostante l’accoglimento di due motivi di gravame e nonostante la domanda non fosse manifestamente infondata o pretestuosa, lo abbia condannato in toto al pagamento delle spese processuali, applicando per di più i parametri massimi dello scaglione di valore della causa.

Il motivo è inammissibile.

Va, invero, ribadito che “in tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse. Con riferimento al regolamento delle spese, il sindacato della Corte di Cassazione è pertanto limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, sia la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi, sia provvedere alla loro quantificazione, senza eccedere i limiti (minimi, ove previsti e) massimi fissati dalle tabelle vigenti” (Cass. 19613/2017).

In conclusione, pertanto, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, poichè il ricorso è stato presentato successivamente al 30-1-2013 ed è stato rigettato, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 3.200,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 17 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2020

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