Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 971 del 17/01/2018

Cassazione civile, sez. trib., 17/01/2018, (ud. 20/12/2017, dep.17/01/2018),  n. 971

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con l’impugnata sentenza n. 127/26/2009, depositata il 25/11/2009, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, ha accolto l’appello proposto da F.G., nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, e riformato la decisione della Commissione Tributaria Provinciale di Milano, che aveva respinto il ricorso del contribuente avverso l’avviso di liquidazione con il quale erano stati revocati i benefici cosiddetti “prima casa” ex art. 1, Nota 2 bis, Parte 1, Tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, in relazione all’acquisto di un’abitazione, a mezzo rogito del 31/3/2004, per non aver portato la propria residenza entro 18 mesi dall’acquisto nel comune ove è situato l’immobile.

Secondo la CTR “l’effettiva residenza nel Comune ove l’interessato ha deciso di trasferirsi è desumibile da ogni elemento di prova, dal che il contratto di allacciamento e le bollette di fornitura dell’elettricità sono valida prova della sua residenza a (OMISSIS) ben prima della scadenza dei 18 mesi decorrenti dal suo acquisto dell’appartamento ove egli si era trasferito”, ed inoltre che, come si ricava dall’attestazione del Comune, la richiesta di iscrizione in quell’anagrafe come residente, presentata per la prima volta il 17/1/2005, non ebbe seguito “in quanto la polizia locale non lo trovò presso la sua abitazione durante gli accessi eseguiti… nei giorni e orari nei quali il F. si trovava fuori per lavoro”.

Contro la sentenza della CTR l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui il contribuente resiste con controricorso e memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 1, Parte 1, Tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, in quanto nella impugnata sentenza è dato rilievo, ai fini del riconoscimento dell’agevolazione per l’acquisto della prima casa, alla circostanza che entro il termine di 18 mesi il contribuente avesse di fatto stabilito la propria dimora abituale nel Comune del luogo di acquisto dell’abitazione, disattendendo il principio secondo cui occorre invece avere riguardo esclusivamente alla residenza anagrafica acquisita, nella specie, solo il 6/2/2006, tardivamente, con il secondo motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 1, Parte 1, Tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986 e D.P.R. n. 223 del 1989, art. 18, in quanto non può essere dato rilievo alla circostanza che la prima domanda di trasferimento della residenza fosse stata presentata, tempestivamente, il 17/1/2005, e che solo il provvedimento di accoglimento fosse intervenuto dopo la scadenza del termine di 18 mesi dall’acquisto, essendo stata la stessa respinta con provvedimento dell’Amministrazione comunale non impugnato, con il terzo subordinato motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa motivazione circa un fatto decisivo e controverso, in quanto nella decisione impugnata è del tutto trascurata la circostanza che la prima domanda di trasferimento della residenza era stata respinta e che soltanto a seguito di instaurazione di un nuovo ed autonomo procedimento la stessa, in data 6/2/2006, era stata accolta.

La prima e la seconda censura, che possono essere esaminate congiuntamente essendo strettamente connesse, sono fondate e meritano di essere accolte, il che rende superfluo l’esame dell’ultima censura.

In tema di imposta di registro, questa Corte si è più volte espressa nel senso che, “ai sensi del comma 2 bis della nota all’art. 1 della tariffa allegata al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (comma, applicabile “ratione temporis”, introdotto dal D.L. 22 maggio 1993, n. 155, art. 16, conv. in L. 19 luglio 1993, n. 143) – che ricalca sostanzialmente la disposizione contenuta del D.L. 7 febbraio 1985, n. 12, art. 2, conv. in L. 5 aprile 1985, n. 118 – la fruizione dell’agevolazione fiscale per l’acquisto della prima casa richiede che l’immobile sia ubicato nel comune ove l’acquirente ha la residenza. Attesa la lettera e la formulazione della norma, nessuna rilevanza giuridica può essere riconosciuta alla realtà fattuale, ove questa contrasti con il dato anagrafico, o all’eventuale successivo ottenimento della residenza, essendo quest’ultima presupposto per la concessione del beneficio che deve sussistere alla data dell’acquisto” (Cass. n. 4628/2008), ed ancora, che “I benefici fiscali per l’acquisto della prima casa, previsti dal D.L. 22 maggio 1993, n. 155, art. 16 (conv. in L. 19 luglio 1993, n. 243), spettano unicamente a chi possa dimostrare in base ai dati anagrafici di risiedere o lavorare nel comune dove ha acquistato l’immobile senza che, a tal fine, possano rilevare la residenza di fatto o altre situazioni contrastanti con le risultanze degli atti dello stato civile.” (Cass. n. 1530/2012).

Nello stesso senso è la sentenza n. 14399/2010, nella quale, per quanto qui d’interesse, si precisa che “nessuna rilevanza giuridica può rivestire, pertanto, l’eventuale conseguimento della residenza in data successiva al termine all’uopo fissato, ovvero, come nella specie, il mancato accoglimento da parte del Comune di una domanda di trasferimento della residenza anteriormente formulata dall’interessato, in assenza dell’accertamento di vizi inficianti il provvedimento che respinga tale richiesta o attinenti al procedimento che lo origina, essendo necessaria, ai fini predetti, l’esatta identificazione della decorrenza degli effetti dell’iscrizione anagrafica”.

Ciò che conta, dunque, non è il momento conclusivo del procedimento di trasferimento della residenza, ma quello nel quale il contribuente manifesta, con la sua domanda, l’intenzione – poi concretamente realizzata – di ottenere la nuova residenza anagrafica.

Orbene, il F. assume di aver presentato al Comune di Zelo Buon Persico, dopo l’atto di acquisto dell’immobile del 31/3/2004, una prima domanda di cambio della residenza il 17/1/2005, una seconda domanda il 5/1/2006, entrambe però non andate a buon fine, ed una terza domanda il 6/2/2006, quest’ultima finalmente accolta, “pur dimorando di fatto l’interessato nel comune sin da prima del compimento dei diciotto mesi dall’atto di acquisto”, circostanza desumibile dall’attivata utenza elettrica, e dalle relative bollette.

L’ottenimento della residenza, presupposto per la concessione del beneficio, è tuttavia intervenuto oltre l’anno dalla dichiarazione contenuta nell’atto di acquisto, dato oggettivo che non può essere superato – come erroneamente affermato dall’impugnata sentenza – facendo riferimento ad una domanda di cambio di residenza precedente, e non accolta dal Comune in virtù di provvedimento non impugnato, dal momento che, “in assenza di un accertamento dell’esistenza di vizi inficianti il provvedimento che respinge la richiesta di iscrizione all’anagrafe e/o il procedimento amministrativo che lo origina, la richiesta stessa non può avere alcuna rilevanza, in particolare con riferimento all’identificazione della decorrenza degli effetti dell’iscrizione anagrafica” (Cass. n. 14399/2010, citata).

La prova del trasferimento della residenza è data dalla doppia dichiarazione resa al comune dove si intende fissare la dimora abituale e a quello che si abbandona, in base all’unicità del procedimento amministrativo di mutamento dell’iscrizione anagrafica, sancita anche dal D.P.R. n. 223 del 1989, art. 18, comma 2 (contenente il regolamento anagrafico della popolazione residente), che, nell’affermare la necessità della saldatura temporale tra cancellazione dall’anagrafe del comune di precedente iscrizione ed iscrizione in quella del comune di nuova residenza, aggancia la decorrenza alla dichiarazione di trasferimento resa dall’interessato nel comune di nuova residenza, nella specie, quella del 6/2/2006.

All’accoglimento dei motivi di ricorso, consegue la cassazione della sentenza impugnata senza rinvio, in quanto, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, la causa può essere decisa nel merito, con il rigetto dell’originario ricorso del contribuente.

che l’evoluzione della vicenda processuale giustifica la compensazione delle spese di giudizio dei gradi di merito, mentre l’intimato va condannato, secondo soccombenza, alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.

PQM

La Corte, accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso, dichiara assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso del contribuente, che condanna al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in Euro 2.900,00, oltre rimborso spese prenotate a debito. Compensa le spese dei gradi di merito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 dicembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2018

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