Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9709 del 13/04/2021

Cassazione civile sez. VI, 13/04/2021, (ud. 10/02/2021, dep. 13/04/2021), n.9709

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 30321-2019 R.G. proposto da:

GO RACE s.r.l., in persona del legale rappresentate pro tempore,

I.A., rappresentata e difesa, per procura speciale in calce

al ricorso, dall’avv. Tullio MATARESE, presso il cui studio legale,

sito in Faenza, al corso Mazzini, n. 42, è elettivamente

domiciliata;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla via dei

Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1710/05/2019 della Commissione Tributaria

Regionale del LAZIO, depositata il 20/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/02/2021 dal Consigliere Dott. LUCIOTTI Lucio.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. In controversia relativa ad impugnazione di un avviso di accertamento ai fini IVA, IRES ed IRAP per l’anno d’imposta 2011, emesso dall’Agenzia delle entrate nei confronti della GO RACE s.r.l. per recupero a tassazione dei costi relativi ad operazioni commerciali intercorse con la Too Competition s.r.l. che l’amministrazione finanziaria riteneva inesistenti, con la sentenza impugnata la CTR del Lazio rigettava l’appello della società contribuente avverso la sfavorevole sentenza di primo grado, sostenendo, per quanto ancora qui di interesse, che l’avviso di accertamento era correttamente motivato, avendo l’amministrazione finanziaria riportato nello stesso il contenuto essenziale della segnalazione dell’Ufficio antifrode della Direzione Regionale dell’Emilia Romagna, e che la prova della sussistenza della frode messa in atto dalle società attraverso il meccanismo della sovrafatturazione era stato confessato dal legale rappresentante della Too Competition s.r.l. e che la documentazione (contratti e materiale fotografico) prodotta dalla società contribuente non era idonea a provare la veridicità di quelle operazioni “in quanto il complesso meccanismo fraudolento era articolato in modo da prevedere anche tali aspetti”.

2. Avverso tale statuizione la ricorrente propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui replica l’intimata con controricorso.

3. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di ricorso viene dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il vizio di motivazione della sentenza impugnata per avere la CTR omesso di valutare la “copiosissima documentazione cartacea ed elettronica” depositata con l’istanza di accertamento con adesione nonchè “i minuziosi chiarimenti e spiegazioni” forniti all’amministrazione finanziaria.

2. Il motivo è manifestamente inammissibile sia per difetto di autosufficienza, avendo la ricorrente del tutto trascurato di riprodurre il contenuto degli atti che i giudici di appello avrebbero omesso di esaminare, sia perchè il motivo si pone in evidente contrasto con il disposto di cui all’art. 348-ter c.p.c., comma 5, vertendosi in ipotesi di c.d. doppia conforme rispetto alla quale la ricorrente non ha indicato profili di divergenza tra le ragioni di fatto a base della decisione di primo grado e quelle a base del rigetto dell’appello, com’era invece necessario per dar ingresso alla censura ex art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. Cass. n. 26774/2016, n. 5528/2014).

3. Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7 e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 2, lamentando il vizio di motivazione dell’atto impositivo per non essere mai venuto a conoscenza degli atti richiamati nello stesso ma ad essa società contribuente mai notificati.

4. Il motivo è inammissibile per violazione del principio di autosufficienza del ricorso, avendo la ricorrente omesso di riprodurre il contenuto motivazionale dell’avviso di accertamento, così impedendo alla Corte di verificare se lo stesso contenesse un rinvio “per relationem” al contenuto della segnalazione dell’Ufficio antifrode della Direzione Regionale dell’Emilia Romagna ovvero ne riportasse il contenuto essenziale come affermato dalla CTR (cfr. Cass. n. 2614 del 2016, secondo cui è onere del contribuente “provare non solo che gli atti ai quali fa riferimento l’atto impositivo o quelli cui esso rinvia sono a lui sconosciuti, ma anche che almeno una parte del contenuto di essi sia necessaria ad integrare direttamente o indirettamente la motivazione del suddetto atto impositivo, e che quest’ultimo non la riporta, per cui non è comunque venuto a sua conoscenza”). Il motivo, peraltro, si pone in contrasto con l’accertamento in fatto compiuto dai giudici di appello secondo cui l’amministrazione finanziaria aveva riportato nell’avviso di accertamento emesso nei confronti della società contribuente il contenuto essenziale di quella segnalazione, in tal modo attenendosi al principio giurisprudenziale in base al quale non ogni documento richiamato nella motivazione dell’atto impositivo emesso dall’amministrazione finanziaria deve essere allegato allo stesso, come previsto dalla L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1 (c.d. Statuto del contribuente), posto che tale disposizione, che si riferisce solo agli atti di cui il contribuente non abbia già integrale e legale conoscenza, consente di assolvere all’obbligo di motivazione degli atti tributari anche “per relationem”, ovvero mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, che siano collegati all’atto notificato, quando lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale (cfr., ex multis, Cass. n. 9323 del 2017; n. 4396 del 2018).

5. In estrema sintesi, il ricorso va dichiarato inammissibile e la ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.100,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 10 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 13 aprile 2021

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