Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9708 del 23/04/2010

Cassazione civile sez. lav., 23/04/2010, (ud. 06/04/2010, dep. 23/04/2010), n.9708

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. DI NUBILA Vincenzo – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 19525-2006 proposto da:

P.C., elettivamente domiciliato in ROMA, LARGO MESSICO 7,

presso lo studio degli avvocati TEDESCHINI FEDERICO e LORUSSO PIERO

che lo rappresentano e difendono, giusta mandato a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

AMMINISTRAZIONE PROVINCIALE DI ROMA, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA IV

NOVEMBRE 119, presso lo studio dell’avvocato GIOVAGNOLI RICCARDO, che

la rappresenta e difende, giusta mandato in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4016/2004 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 28/06/2005 r.g.n. 393/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/04/2010 dal Consigliere Dott. GIANFRANCO BANDINI;

udito l’Avvocato GIOVAGNOLI RICCARDO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

P.C., già dipendente dell’Amministrazione Provinciale di Roma con la qualifica di assistente di biblioteca presso un liceo scientifico statale, esponendo di avere vanamente presentato, a seguito dell’entrata in vigore della L. n. 124 del 1999, la richiesta di usufruire dell’opzione prevista dall’art. 8, comma 2, di tale legge, convenne in giudizio l’Amministrazione anzidetta e, sull’assunto di aver diritto a rimanere in servizio presso quest’ultima, chiese di essere reintegrato nelle mansioni precedentemente espletate, con condanna della convenuta al risarcimento dei danni patiti anche per effetto dell’intervenuta dequalificazione professionale.

Il Giudice adito respinse il ricorso e la Corte d’Appello di Roma, con sentenza del 28.6.2004 – 20.6.2005, rigettò, per quanto ancora qui specificamente rileva, il gravame principale proposto dal lavoratore.

Avverso tale sentenza della Corte territoriale P.C. ha presentato ricorso per cassazione fondato su sei motivi e illustrato con memoria.

L’intimata Amministrazione Provinciale di Roma ha resistito con controricorso, illustrato con memoria, eccependo altresì l’inammissibilità del ricorso siccome tardivamente proposto.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. In ordine all’eccepita inammissibilità del ricorso deve anzitutto osservarsi che la sentenza impugnata risulta essere stata pubblicata (giusta l’attestazione di deposito apposta in calce) il 20.6.2005 e non già il 28.6.2005, come indicato nell’intestazione del ricorso;

conseguentemente il termine per ricorrere in cassazione, alla stregua del disposto dell’art. 327 c.p.c. nel testo all’epoca vigente, scadeva il 20.6.2006.

La notificazione del ricorso è stata eseguita, tardivamente, il 27.6.2006 (come da relata di notifica) e dal timbro cosiddetto cronologico rinvenibile in calce si evince che l’atto era stato consegnato all’Ufficiale giudiziario in pari data. Nè giova alla parte ricorrente che, in precedenza, prima della scadenza del termine, fosse stata già richiesta la notificazione, non perfezionatasi per essere stato fornito un errato indirizzo anagrafico dei difensori domiciliatari (cfr la relata negativa di notifica in data 19.6.2006 risultante in atti).

Le Sezioni Unite di questa Corte hanno avuto modo di affermare il principio secondo cui, in tema di notificazioni degli atti processuali, qualora la notificazione dell’atto, da effettuarsi entro un termine perentorio, non si concluda positivamente per circostanze non imputabili al richiedente, questi ha la facoltà e l’onere – anche alla luce del principio della ragionevole durata del processo, atteso che la richiesta di un provvedimento giudiziale comporterebbe un allungamento dei tempi del giudizio – di richiedere all’ufficiale giudiziario la ripresa del procedimento notificatorio, e, ai fini del rispetto del termine, la conseguente notificazione avrà effetto dalla data iniziale di attivazione del procedimento, semprechè la ripresa del medesimo sia intervenuta entro un termine ragionevolmente contenuto, tenuti presenti i tempi necessari secondo la comune diligenza per conoscere l’esito negativo della notificazione e per assumere le informazioni ulteriori conseguentemente necessarie (cfr, Cass. SU. n. 17352/2009).

Affinchè la tempestiva consegna dell’atto all’Ufficiale Giudiziario valga a far ritenere la tempestività (per il notificante) della notificazione perfezionatasi oltre il termine di legge è dunque necessario (nel concorso delle altre circostanze) che la notificazione, così come originariamente richiesta, non si sia conclusa positivamente per circostanze non imputabili al richiedente e che pertanto, ove l’esito negativo della notificazione sia dipeso, come nella fattispecie all’esame, da un’erronea indicazione dell’indirizzo di notificazione, tale errore non debba essere ascrivibile al richiedente. Nel caso che ne occupa, secondo quanto riscontrabile ex actis, venne indicato l’anagrafico di notificazione di “via Nomentana n. 119/A” (in conformità a quanto, pure erroneamente, riportato nell’epigrafe della sentenza impugnata), anzichè quello (ove poi la notificazione è stata tardivamente eseguita) di “Via IV Novembre 119/A”, vale a dire quello esattamente riportato (come questa Corte ha potuto direttamente accertare) nell’elezione di domicilio effettuata dall’Amministrazione Provinciale di Roma con la memoria difensiva e contestuale appello incidentale depositata in grado d’appello. L’erronea indicazione dell’indirizzo di notificazione è dunque ascrivibile alla responsabilità della parte richiedente, che non ha richiesto la notifica al domicilio risultante dall’elezione ritualmente eseguita dalla controparte, omettendo di tener conto di quanto riportato nell’atto all’uopo rilevante (la ridetta memoria difensiva di secondo grado) e, con ciò, non avvedendosi, stante l’inequivocità dell’elezione di domicilio ex adverso effettuata, dell’errore contenuto al riguardo nella intestazione della sentenza impugnata.

Deve quindi riconoscersi la tardività della proposizione del ricorso.

2. Pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile, restando preclusa la disamina delle doglianze con il medesimo svolte. Le spese, liquidate come in motivazione, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese, che liquida in Euro 18,00, oltre ad Euro 2.000,00 (duemila) per onorari ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 6 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 aprile 2010

 

 

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