Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9705 del 13/04/2021

Cassazione civile sez. VI, 13/04/2021, (ud. 10/02/2021, dep. 13/04/2021), n.9705

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 18040-2019 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla via dei

Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

B.M., rappresentata e difesa, per procura speciale in

calce al controricorso, dall’avv. Alberto POZZO, ed elettivamente

domiciliata in Roma, alla via XXIV Maggio, n. 43, presso lo studio

legale dell’avv. Mario Del Vaglio (Studio Puri Bracco Lenzi e

Associati);

– controricorrente –

e contro

D.P.R.P., rappresentato e difeso, per procura speciale in

calce al controricorso, dall’avv. Alberto POZZO, ed elettivamente

domiciliato in Roma, alla via XXIV Maggio, n. 43, presso lo studio

legale dell’avv. Mario Del Vaglio (Studio Puri Bracco Lenzi e

Associati);

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1585/04/2018 della Commissione tributaria

regionale della LIGURIA, depositata il 05/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/02/2021 dal Consigliere LUCIOTTI Lucio.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte:

costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1-bis, comma 1, lett. e), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016, osserva quanto segue.

L’Agenzia delle entrate ricorre con due motivi per la cassazione della sentenza della CTR della Liguria che, in controversia avente ad oggetto l’impugnazione del provvedimento di rigetto dell’istanza, avanzata da D.P.R.P. e B.M., di declassamento da A1 ad A2 dell’immobile di proprietà degli stessi, accoglieva l’appello della contribuente avverso la sfavorevole sentenza di primo grado. La CTR, contrariamente ai giudici di primo grado, riteneva ammissibile l’originario ricorso dei contribuenti atteso che la richiesta dei contribuenti di declassamento dell’immobile non era qualificabile come istanza di autotutela e, pertanto, il provvedimento di diniego era impugnabile D.Lgs. n. 546 del 1992 ex art. 19. Nel merito riteneva fondate le ragioni dei contribuenti sostenendo che dagli atti risultava che “l’edificio non presenta rifiniture superiori a quelle standard dei fabbricati residenziali”, nè l’appartamento presentava “rifiniture di pregio e superiori al normale”, e che a ciò doveva aggiungersi che l’immobile era situato “in zona che, contrariamente al momento della sua edificazione, risulta oggi situato in zona cittadina di pregio medio sia il fatto che gli immobili circostanti sono classificati in categoria inferiore alla A/1”.

Ha replicato con controricorso l’intimata B.M. e, quindi, a seguito di integrazione del contraddittorio disposta da questa Corte con ordinanza interlocutoria del 28/07/2020 nei confronti di D.P.R.P., che era stato parte dei giudizi di merito ma al quale l’Agenzia delle entrate non aveva notificato il ricorso per cassazione, anche quest’ultimo ha replicato con controricorso.

Le parti hanno depositato memorie.

I controricorrenti hanno eccepito l’inammissibilità del ricorso perchè tardivamente proposto.

L’eccezione è fondata e va accolta.

Al riguardo in punto di fatto va rilevato che l’Agenzia delle entrate ricorrente in data 5 giugno 2019, e quindi entro il termine lungo di impugnazione di cui all’art. 327 c.p.c. decorrente dalla data del 5 dicembre 2019, di pubblicazione della sentenza della CTR della Liguria, ha proceduto alla notifica del ricorso nei confronti di B.M. nel domicilio eletto dalla stessa presso lo studio legale del proprio difensore, avv. Alberto Pozzo, in via XX Settembre, n. 14/8 di Genova.

Non essendo andata a buon fine la predetta notifica per avere il predetto difensore trasferito il proprio studio legale in via Roma, n. 5/11 di Genova, la ricorrente in data 1 agosto 2019 ha provveduto a reiterare la notifica presso tale indirizzo, questa volta, con esito positivo.

Orbene, nel caso di specie il ricorso è inammissibile per un duplice ordine di motivo.

Il primo, perchè, come affermato da questa Corte in un caso analogo (cfr. Cass. n. 17336 del 2019; conf. Cass. n. 23760 del 2020), la notificazione di un atto di impugnazione (nel caso vagliato dalla Corte si trattava di un atto di appello) non compiutasi, perchè tentata presso il precedente recapito del difensore della controparte che abbia trasferito altrove il suo studio, è inesistente “in rerum natura”, ossia per totale mancanza materiale dell’atto, non avendo conseguito il suo scopo consistente nella consegna dell’atto al destinatario; essa non è pertanto suscettibile di sanatoria ex art. 156 c.p.c., comma 3, a seguito della costituzione in giudizio dell’appellato, nè di riattivazione del relativo procedimento, trattandosi di vizio imputabile al notificante in considerazione dell’agevole possibilità di accertare l’ubicazione dello studio attraverso la consultazione telematica dell’albo degli avvocati.

Si verte, quindi, in ipotesi di notificazione non perfezionata per cause imputabili al notificante gravando su di questo l’onere di accertare, anche mediante riscontro delle risultanze dell’albo professionale (e quindi senza alcuna eccessiva difficoltà), l’effettiva ubicazione dello studio legale del difensore domiciliatario (cfr. Cass. n. 26313 del 2005, n. 13366 del 2013 e n. 29507 del 2020, che richiama anche Cass. n. 8618 del 2019 e Cass. n. 4084 del 2020, in motivazione). Peraltro, nel caso di specie, il trasferimento dello studio legale era stato effettuato dal difensore domiciliatario in epoca di molto anteriore (di circa tre anni) alla data di notifica del ricorso per cassazione, ovvero in data 29/09/2016, come risultante dal certificato rilasciato dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Genova, prodotto in allegato ai controricorsi, ed era stato pure indicato dal difensore nelle memorie D.Lgs. n. 546 del 1992 ex art. 32, prodotte nel giudizio di appello.

La seconda ragione di inammissibilità del ricorso in esame è dato dal rilievo che nel caso di specie la ricorrente, dopo essere pervenuta in possesso delle indicazioni sufficienti a riattivare il procedimento notificatorio, a seguito della prima notifica del 5 giugno 2019, non andata a buon fine, non vi ha provveduto tempestivamente, ma ha atteso quasi due mesi prima di procedere a nuova notificazione, così contravvenendo all’insegnamento nomofilattico secondo cui in tema di notifica di atti processuali e seppur in ipotesi di notifica non andata a buon fine per ragioni non imputabili al notificante, questi, appreso dell’esito negativo, per conservare gli effetti collegati alla richiesta originaria deve riattivare il processo notificatorio con immediatezza e svolgere con tempestività gli atti necessari al suo completamento, ossia senza superare il limite di tempo pari alla metà dei termini indicati dall’art. 325 c.p.c., salvo circostante eccezionali di cui sia data prova rigorosa (Cass. Sez. U. n. 14594 del 2016; conf. Cass. n. 9102 del 2017).

Si è correttamente affermato (cfr. Cass. n. 22248 del 2017, in motivazione) che a seguito di questo approdo ermeneutico, in fattispecie simili a quella di specie è stato affermato che: I) “la sanzione per la notificazione tentata presso il domicilio non più attuale non è produttiva di alcun effetto in grado di sanare l’inosservanza del termine di impugnazione e di essa va perciò conseguentemente rilevata l’inammissibilità” (Cass. n. 529 del 2017); II) “non vale opporre che, avendo nella specie la controparte resistito con comparsa di risposta, l’irregolarità sarebbe parimenti sanata per effetto dell’art. 156 c.p.c., comma 3: l’argomento non coglie infatti la specificità della fattispecie, poichè, nella presente ipotesi, viene in considerazione l’inosservanza del termine previsto dall’art. 327 c.p.c., comma 1, correlata alla tutela d’interessi indisponibili e, come tale, rilevabile d’ufficio e non sanabile per effetto della altrui costituzione” (Cass. n. 11166 del 2015); III) “perciò nessun effetto sanante è ascrivibile alla costituzione del controricorrente, giacchè l’inosservanza del termine consuma definitivamente ed insanabilmente il potere di impugnazione, oltre al fatto che, come questa Corte ha già chiarito (Sez. 5, n. 4594 del 09/03/2016), nella specie non si determina un’ipotesi di nullità della notificazione, ma ha luogo più esattamente un’ipotesi di inesistenza della notificazione, posto infatti che quando il procedimento non si è concluso mediante consegna di copia conforme all’originale dell’atto da notificare, la notificazione “è da ritenersi non compiuta, ma solo tentata, e ci si viene a trovare di fronte ad un atto non già nullo, ma del tutto inesistente, perchè giammai entrato a far parte della realtà dell’ordinamento”, il che esclude che si possa procedere alla sua rinnovazione a mente dell’art. 291 c.p.c., e che rispetto ad esso possano essere perciò invocati gli effetti propri dell’atto nullo” (v. Cass. n. 17717 del 2017).

Pare opportuno precisare che lo specifico chiarimento di questa Corte circa la concreta tempistica che la parte è tenuta ad osservare ai fini della ripresa del procedimento notificatorio (Cass. Sez. U. n. 14594 del 2016) e gli effetti conseguenti al mancato rispetto della stessa, risulta dunque assorbente rispetto alla pronuncia di questa Corte, n. 29038 del 2019, richiamata dal ricorrente, che ha affermato che “In tema di notificazione di un atto di impugnazione, tempestivamente consegnato all’ufficiale giudiziario, qualora la notificazione non si sia perfezionata per l’avvenuto trasferimento del difensore domiciliatario, e l’ufficiale giudiziario abbia appreso, già nel corso della prima tentata notifica, il nuovo domicilio del procuratore, il procedimento notificatorio non può ritenersi esaurito ed il notificante non incorre in alcuna decadenza, a nulla rilevando che la notifica si perfezioni successivamente allo spirare del termine per proporre gravame, atteso che non può ridondare a danno del notificante la violazione, da parte dell’ufficiale giudiziario, del dovere di provvedere alla contestuale prosecuzione del procedimento notificatorio presso il luogo in cui egli abbia appreso che si trovi il notificatario (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva dichiarato inammissibile per tardività l’appello introdotto con atto di citazione la cui notificazione, tempestivamente affidata all’ufficiale giudiziario, si era peraltro perfezionata successivamente alla scadenza del termine per proporre gravame, dopo che lo stesso, avendo appreso che il destinatario si era trasferito ad un indirizzo diverso da quello indicato dal notificante, ma tuttavia situato nella medesima via e ad un numero civico vicino, si era limitato a dare atto dell’esito negativo della notifica all’indirizzo indicato, omettendo di concludere contestualmente il procedimento notificatorio e provvedendo alla rinotifica al nuovo indirizzo soltanto sei giorni più tardi, a seguito di un nuovo accesso)”.

Peraltro, nel caso di specie, in cui la notificazione del ricorso per cassazione è stata effettuata non a mezzo ufficiale giudiziario, ma a mezzo spedizione diretta a mezzo posta, non vi è alcuna prova che l’ufficiale postale sapesse o potesse agevolmente apprendere il nuovo indirizzo dello studio del difensore domiciliatario del destinatario dell’atto da notificare.

Per tutte le anzidette ragioni, il ricorso va dichiarato inammissibile, sicchè è del tutto superfluo anche solo riferire dei motivi di impugnazione proposti dalla ricorrente che, in ossequio al principio della soccombenza, va condannata al pagamento delle spese processuali nella misura liquidata in dispositivo.

Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater (Cass., Sez. 6 – L, Ordinanza n. 1778 del 29/01/2016, Rv. 638714).

PQM

dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in favore di ciascun controricorrente in Euro 3.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per spese, oltre al rimborso forfettario nella misura del 15 per cento dei compensi e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 10 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 13 aprile 2021

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