Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9700 del 26/05/2020

Cassazione civile sez. III, 26/05/2020, (ud. 05/02/2020, dep. 26/05/2020), n.9700

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 6098/2018 proposto da:

B.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANICIO

GALLO 102 SC. A INT. 13, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO

POLESE, rappresentata e difesa dall’avvocato MARCO SIVIERO;

– ricorrente –

contro

AZIENDA OSPEDALIERA DI RILEVO NAZIONALE “(OMISSIS)”, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA DI MONTE VERDE 162, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO

MARCELLI, rappresentata e difesa dall’avvocato LUCA FABRIZIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3450/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

05/02/2020 dal Consigliere Dott. MARIO CIGNA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con citazione 29-11-2012 B.A. convenne dinanzi al Tribunale di Napoli l’Azienda Ospedaliera di Rilievo Nazionale (OMISSIS), deducendo: che in data (OMISSIS) era stata sottoposta presso il detto ospedale ad intervento di “istero annessiectomia bilaterale” in totale assenza di consenso informato; che dopo l’intervento aveva accusato una insostenibile incontinenza urinaria, che rese necessari diversi successivi accertamenti, ricoveri ed interventi chirurgici (il (OMISSIS), il (OMISSIS), il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) presso lo stesso Ospedale ed il (OMISSIS) presso la clinica (OMISSIS)), in ordine ai quali non aveva ricevuto alcun valido consenso informato; che, in particolare, nel ricovero del (OMISSIS), i medici non eseguirono il previsto intervento di “fistolectomia”, in quanto, sbagliando la diagnosi, avevano ipotizzato la sussistenza di una “incontinenza da stress”, non riconoscendo la presenza di “tramite fistoloso” (diagnosi corretta poi fatta il (OMISSIS) presso la clinica (OMISSIS), ove le proposero di eseguire l’intervento di “fistolectomia”); che persisteva l’incontinenza urinaria dovuta alla presenza di “fistola vescico-vaginale” successiva all’intervento del (OMISSIS); che i residuati postumi permanenti era da quantificare nel 14%.

Chiese, pertanto, di: accertare la responsabilità dell’Azienda in relazione alla mancata esecuzione dell’intervento operatorio del (OMISSIS); accertare la mancanza di adeguato ed esaustivo consenso informato in ordine a tutti gli effettuati trattamenti; condannare l’Azienda al pagamento della somma di Euro 500.000,00 a titolo di risarcimento dei danni subiti, oltre interessi e rivalutazione ed ulteriori spese mediche sostenute.

Si costituì l’Azienda chiedendo il rigetto della domanda.

Con sentenza 11638/2015 l’adito Tribunale rigettò la domanda; in particolare il Tribunale rilevò: che l’attrice, la quale aveva l’onere di allegare un inadempimento qualificato (cioè idoneo a costituire causa astrattamente efficiente della produzione del danno), aveva adempiuto a detto onere solo con riferimento al ricovero del (OMISSIS), lamentando che in quell’occasione i medici non avevano eseguito un intervento di “fistelectomia” erroneamente diagnosticando una “incontinenza da stress” e non riconoscendo l’esistenza di un “tramite fistoloso”; che l’attrice, pur lamentandosi dell’omessa esecuzione dell’intervento, non aveva nè allegato nè tanto meno dimostrato di essersi poi sottoposta a detto intervento (pur proposto dai medici della clinica (OMISSIS)); che non vi era nesso di causalità tra il detto errore diagnostico ed i lamentati postumi di natura permanente, da ricondurre all’intervento del (OMISSIS), correttamente eseguito; che l’attrice, in relazione alla violazione degli obblighi di informazione, non aveva adeguatamente dedotto che, ove correttamente informata, avrebbe rifiutato i trattamenti ricevuti; che, peraltro, attesa la grave patologia da cui era affetta e le conseguenze impellenti esigenze curative cui era indirizzato l’intervento del 23-1-1999, era da ritenere estremamente inverosimile la circostanza che la paziente, se adeguatamente informata sui rischi dell’intervento, si sarebbe astenuta dall’eseguirlo.

Con sentenza 3459/2017 del 24-7-2017 la Corte d’Appello di Napoli ha rigettato il gravame proposto da B.A..

La Corte, in particolare, ha preliminarmente accertato la regolare costituzione in grado d’appello dell’Azienda; al riguardo ha innanzitutto evidenziato: che l’avvocato Fabrizio si era costituito per l’Azienda in primo grado “in virtù di procura in calce alla copia notificata dell’atto di citazione” (circostanza riportata nell’epigrafe della sentenza di prime cure, e quindi sicuramente accertata dal primo Giudice), e, in secondo grado, “in virtù di procura afferente al primo grado e valevole anche per il presente giudizio di appello”; che, tuttavia, non vi era prova che, al momento della costituzione in appello, avesse depositato il fascicolo di primo grado nel quale era inserita la citazione in calce alla quale era stata apposta la detta procura (mancava infatti un attestato di deposito da parte della Cancelleria e non risultava alcun deposito telematico); che, pertanto, pur essendo stato il detto fascicolo (con la copia dell’atto di citazione contenente in calce la procura) materialmente rinvenuto in quello di ufficio al momento della scadenza dei termini concessi ex art. 190 c.p.c., non vi era prova certa che la procura fosse stata ritualmente depositata all’atto della costituzione (pur essendoci degli indizi in tal senso, atteso che all’udienza ex art. 350 c.p.c. nè l’appellante nè il Collegio aveva rilevato alcunchè al proposito);

che la Corte, con ordinanza 3-3-2017, dopo avere rilevato quanto sopra e precisato che “anche in ipotesi di mancato deposito della procura, il Giudice deve concedere un termine ex art. 182 c.p.c., per la regolarizzazione della costituzione”, aveva rimesso la causa sul ruolo, al fine di consentire all’appellante di interloquire sulla predetta questione; che, in esito a detta ordinanza, l’avv. Fabrizio ha proceduto al deposito telematico della produzione di primo grado, inserendovi la citazione notificata all’Azienda con in calce la procura (nella quale erano espressamente comprese le fasi esecutive e di appello); che con la nuova formulazione dell’art. 182 c.p.c., ratione temporis vigente (applicabile al giudizio di appello ex art. 359 c.p.c., in quanto con lo stesso compatibile) il Giudice, in caso di difetto di rappresentanza, non solo poteva (come previsto nella vecchia formulazione) ma doveva concedere un termine per la regolarizzazione; e tanto anche in appello, e quindi all’udienza ex art. 350 c.p.c., ed oltre detta udienza, non essendoci una norma che ne prevedesse il divieto.

La Corte, inoltre, ha confermato l’esattezza della statuizione impugnata sia nel punto in cui la stessa aveva ritenuto che la domanda introduttiva fosse diretta ad accertare la responsabilità dell’Azienda solo in relazione all’intervento chirurgico del (OMISSIS) sia nel punto in cui aveva evidenziato che la B. aveva denunciato un inadempimento qualificato (cioè causa astrattamente efficiente alla produzione del danno) solo con riferimento al ricovero del (OMISSIS) (mancato intervento per erroneità nella diagnosi); nessun profilo di responsabilità era stato invece evidenziato in relazione agli altri accertamenti ed interventi eseguiti presso l’Azienda (profili, peraltro, non individuati neanche nella perizia di parte e non chiariti neanche in grado di appello).

La Corte, ancora, dopo avere precisato che rispetto a detti altri accertamenti ed interventi la B. aveva solo chiesto di accertare la mancanza di adeguato ed esaustivo consenso impugnato, ha confermato quanto evidenziato dal Tribunale in ordine alla genericità delle allegazioni relative alla carenza di informazioni propedeutiche all’esecuzione dei trattamenti sanitari eseguiti; in particolare, infatti, la B., in relazione ai diversi ricoveri, trattamenti ed

interventi chirurgici subiti, non aveva chiarito, per ciascuno di essi, quale necessaria informazione fu omessa, quale pregiudizio aveva ricevuto e se fosse sua intenzione denunciare la violazione del diritto all’autodeterminazione anche in assenza della correlativa lesione del diritto alla salute (violazione del diritto all’autodeterminazione in se stesso considerato non allegata in modo chiaro e specifico in primo grado ed invocata espressamente per la prima volta solo nel giudizio di appello); in ogni modo, secondo la Corte, anche a volere ritenere che la B. avesse dedotto con chiarezza che l’incontinenza urinaria era stata causata dall’intervento del (OMISSIS) e che, se fosse stata edotta di tale complicanza, non si sarebbe sottoposta all’intervento, comunque non sussisteva alcuna responsabilità del medico, posto che l’intervento (deciso per impellenti esigenze curative a fronte di gravi patologie) era stato eseguito correttamente e l’attrice non aveva provato che, ove compiutamente informata, avrebbe rifiutato l’intervento (rifiuto, peraltro, inverosimile).

La Corte, infine, nel rigettare il motivo di gravame con il quale si denunciava l’omessa decisione sull’eccezione di difetto di costituzione del convenuto in primo grado (eccezione basata sul rilievo che il difensore dell’Azienda aveva presenziato alla prima udienza del 25-3-2013 senza essersi previamente costituito in cancelleria mediante deposito del proprio fascicolo), ha ritenuto regolare anche la costituzione dell’Azienda in primo grado; al riguardo ha evidenziato che alla detta udienza il difensore non aveva l’onere di dimostrare l’avvenuta preventiva costituzione in cancelleria, ben potendo costituirsi anche in udienza con il deposito di comparsa di costituzione e procura (il deposito di detti atti non era stato contestato, se non con la prima comparsa conclusionale in grado di appello, e comunque detti atti erano stati prodotti in giudizio).

Avverso detta sentenza B.A. propone ricorso per Cassazione, affidato a quattro motivi ed illustrato anche da successiva memoria.

Resiste l’Azienda con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Rileva il Collegio che il giudizio pone, in ordine alla possibilità che, a seguito della rilevazione del difetto di rappresentanza o assistenza o del vizio di nullità, la regolarizzazione debba avvenire entro l’udienza di cui all’art. 350 c.p.c., o il giudice possa concedere un termine perentorio per provvedervi (v. Cass. 19663 del 2016 e Cass. 6041/2018), una questione di rilievo nomofilattico che appare opportuno decidere nel contraddittorio della pubblica udienza.

P.Q.M.

Rimette la causa alla pubblica udienza e rinvia la causa a nuovo ruolo.

Così deciso in Roma, il 5 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2020

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