Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 97 del 04/01/2011

Cassazione civile sez. II, 04/01/2011, (ud. 09/06/2010, dep. 04/01/2011), n.97

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – rel. Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.A.M. (OMISSIS), C.C.

(OMISSIS), P.G. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CONCA D’ORO 184/190, presso lo

studio dell’avvocato PERUCCA DIEGO, rappresentati e difesi

dall’avvocato P.F. (OMISSIS) che agisce

anche in proprio;

– ricorrenti –

contro

B.G., M.L., M.M., T.

M.;

– intimati –

e sul ricorso n. 12265/2005 proposto da:

M.M., B.G., T.M., M.

L., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA NAZIONALE 204, presso

lo studio dell’avvocato BOZZA ALESSANDRO, che li rappresenta e

difende;

– controricorrenti ricorrenti incidentali –

contro

P.A.M. (OMISSIS), P.G.

(OMISSIS), C.C. (OMISSIS), P.

F. (OMISSIS)in proprio, elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA CONCA D’ORO 184/190, presso lo studio dell’avvocato PERUCCA

DIEGO, rappresentati e difesi dall’avvocato P.F.;

– controricorrenti ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 135/2004 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 01/03/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/06/2010 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA SAN GIORGIO;

udito l’Avvocato P.F., difensore dei ricorrenti che

si riporta agli atti;

udito l’Avvocato BOZZA Alessandro, difensore del resistente che si

riporta agli atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale

e l’accoglimento per quanto di ragione del ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con atto di citazione notificato il 2 marzo 1989 C. C., A.M., G. e P.F. convennero in giudizio L. e P.M., nonchè M.M., B.G., M.L. e T.M. affinchè fosse accertato il legittimo esercizio di retratto successorio ad opera di Pe.Fe., cui gli attori erano succeduti mortis causa.

Essi esposero che il loro dante causa era comproprietario, unitamente ai fratelli Q., M. e L., di un appezzamento di terreno in località (OMISSIS), con fabbricato rurale, e che tale bene era loro pervenuto iure successionis in data 28 marzo 1973, per cui su di esso si era costituita una comunione ereditaria tra i coeredi germani; che con atto pubblico del 2 maggio 1983, Q., M. e L. avevano venduto la propria quota a M. e M.L. nonchè a B.G. e T.M. per il prezzo di L. 70 milioni in violazione del disposto dell’art. 732 cod. civ.; che Pe.Fe., con atto notificato il 24 marzo 1986, aveva comunicato a tutti gli interessati la volontà di esercitare il retratto ed in tale diritto erano subentrati, in qualità di suoi eredi, gli attori.

2. – Con sentenza in data 22 febbraio 2002, l’adito Tribunale di Fermo respinse la domanda di retratto disponendo la divisione del cespite in questione mediante assegnazione a C.C., G. e P.F., in comproprietà indivisa per quote uguali, del vigneto e di un terreno agricolo, e agli attori, parimenti in comproprietà indivisa per quote uguali, la restante area con obbligo di pagamento del conguaglio.

Avverso tale decisione proposero appello i convenuti in primo grado, censurandola sotto diversi aspetti, mentre gli appellanti svolsero appello incidentale.

3. – La Corte d’appello di Ancona, con sentenza depositata il 1 marzo 2004, respinse i gravami, limitandosi a disporre la correzione della decisione impugnata nella parte in cui indicava il nome di C. in C. anzichè C..

Con riguardo all’appello incidentale, osservò la Corte di merito che, affinchè la vendita, operata da uno o più coeredi, di un bene determinato o della quota di esso possa essere considerata vendita di quota ereditaria o di parte di essa, come tale soggetta a prelazione e riscatto in favore degli altri coeredi a norma dell’art. 732 cod. civ., è necessario riscontrare una chiara ed univoca intenzione dei contraenti di rendere partecipe l’acquirente di tutti i rapporti e le situazioni giuridiche che fanno capo alla comunione ereditaria, sostituendolo così nella comunione stessa al venditore.

Nella fattispecie, secondo la Corte territoriale, non vi erano elementi concreti che evidenziassero tale intento dei contraenti, avuto anche riguardo alla mancanza nel tenore letterale della convenzione di ogni riferimento alla consistenza del compendio ereditario o all’accollo di eventuali passività.

Quanto all’appello principale, la Corte osservò, in ordine al dedotto mancato esame da parte del c.t.u. dei terreni e delle loro coltivazioni -avendo omesso costui l’indicazione, accanto al vigneto, di un altro terreno, con la conseguenza di una maggiore estensione dell’area e di un diverso valore della quota assegnata ai P. – , che nessun rilievo era stato espresso dopo il deposito della c.t.u., peraltro corredata di riproduzioni fotografiche, e che nemmeno a diversa valutazione conduceva l’avvenuta produzione di una copia di una c.t.u. espletata nell’ambito di una causa vertente tra le medesime parti pendente innanzi al Tribunale di Fermo, sezione distaccata di Sant’Elpidio a Mare, intervenuta a distanza di diversi anni dalla redazione della prima consulenza.

Quanto alla invocata applicazione dell’art. 846 cod. civ. sulla minima unità culturale anche in difetto della determinazione ex art. 847 cod. civ. da parte dell’autorità amministrativa locale, la Corte di merito rilevò la inapplicabilità della prima disposizione per mancata attuazione della seconda, ed escluse che nella fattispecie potesse ritenersi che ogni entità attribuita ai condividenti non fosse autonoma e funzionale essendo idonea ad assolvere, pro quota, la stessa funzione economica dell’intero sia pure nelle sue “specializzazioni produttive”, evitando una frammentazione eccessiva del podere.

Infine, ritenne che gli acquirenti di quote indivise di singoli beni i quali propongono domanda di divisione dei beni agiscono in via surrogatoria, cioè utendo iuribus dei loro aventi causa, con la conseguenza che il Tribunale aveva correttamente proceduto alla trasformazione del diritto di ciascun condividente alla quota ideale in diritto di proprietà esclusiva su di una corrispondente porzione di beni chiamando a farne parte gli istanti, sostanziali beneficiari del provvedimento.

4. – Per la cassazione di tale sentenza ricorrono C.C., A.M. e P.G. sulla base di tre motivi.

Resistono con controricorso L. e M.M., T. M. e B.G., che propongono altresì ricorso incidentale. Le parti hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Deve, preliminarmente, procedersi, ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., alla riunione del ricorso principale e di quello incidentale, siccome proposti nei confronti della medesima sentenza.

2. – Con il primo motivo del ricorso principale, si deduce la violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi in materia ed in specie degli artt. 732 e 1362 cod. civ., nonchè la motivazione contraddittoria, per avere la Corte di merito negato la sussistenza dei presupposti per l’attuazione del diritto di riscatto fatto valere dai signori C. e P., ritenendo ricorrere nella fattispecie l’ipotesi di vendita di un bene determinato anzichè di quota ereditaria, non potendo considerarsi, ad avviso del giudice di secondo grado, elementi decisivi nè l’immissione dell’acquirente nel possesso del bene, nè la notevole entità di questo rispetto alla consistenza dell’asse ereditario. Tali circostanze, al contrario, deporrebbero, secondo i ricorrenti, proprio per l’ipotesi di intervenuta vendita di quota ereditaria. Ed anche l’assenza nella convenzione di alcun riferimento alla consistenza del compendio ereditario o all’accollo di eventuali passività quale espressione dell’intento di cedere un bene determinato, non potrebbe tradursi in un elemento decisivo, come erroneamente ritenuto dalla Corte territoriale, al fine di escludere la vendita di quota ereditaria. Ed infatti, non solo gli elementi in questione non dovrebbero necessariamente risultare dalla convenzione, ma, inoltre, sarebbe comunque consentito ai retraenti di dimostrare che, al contrario, l’intento delle parti non corrispondesse alla lettera della convenzione, come avvenuto nel caso di specie. E’ contraddittorio – osservano i ricorrenti – che la Corte di merito dapprima abbia evidenziato che il bene ceduto fosse di notevole entità rispetto alla consistenza dell’asse ereditario al fine di sostenerne la non incompatibilità con il trasferimento di un bene determinato, per attribuire, poi, rilevanza alla mancanza di una siffatta circostanza, comunque acclarata, nel testo della convenzione.

3.- Con la seconda censura, si lamenta la violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi in materia ed in specie del disposto dell’art. 1362 cod. civ. per non avere la Corte di merito interpretato il contratto de quo, oltre che in base al senso letterale delle parole, anche alla stregua del contegno complessivo delle parti. La previsione, ad opera della clausola contrattuale n. 5, della immediata efficacia della compravendita rivelerebbe l’intento delle parti di porre m essere una vendita di quota ereditaria, che è vendita con efficacia reale. Qualora, infatti, l’atto avesse avuto ad oggetto un singolo bene, le parti avrebbero precisato che l’efficacia era condizionata al verificarsi della divisione, vertendosi, in tal caso, in ipotesi di vendita con effetti obbligatori. Al dato soggettivo della volontà dei contraenti si aggiungerebbe, poi, quello oggettivo della rappresentatività quantitativa del bene venduto: i diritti sul cespite oggetto di retratto avevano, infatti, maggiore consistenza rispetto all’altro cespite caduto in comunione. In definitiva, l’immissione degli acquirenti nel possesso dell’intero fondo di cui si tratta, la percezione da parte degli stessi di tutti i frutti ricavabili dal godimento del terreno, unitamente alla circostanza della maggiore consistenza dei diritti ceduti rispetto all’asse ereditario, rappresenterebbero gli elementi concreti – che la Corte di merito aveva, invece, ritenuto non sussistere nella specie – atti a dimostrare una chiara ed univoca intenzione dei contraenti di rendere partecipi gli acquirenti di tutti i rapporti e le situazioni giuridiche che fanno capo alla comunione ereditaria, sostituendoli così nella comunione stessa agli alienanti. Nè questi ultimi, nel primo grado del giudizio, avevano in alcun modo dichiarato di aver inteso vendere un bene determinato, essendosi, invece, limitati a sostenere che il fratello Fe. avesse tacitamente rinunciato al diritto di prelazione. Tale affermazione deporrebbe nel senso della intenzione delle parti di porre in essere una vera e propria vendita di quota ereditaria.

4.1. – Le censure, che, attesa la intima connessione logico-giuridica che le avvince, possono essere esaminate congiuntamente, sono infondate.

4.2. – Esse si incentrano sostanzialmente sulla qualificazione che dell’oggetto del contratto di vendita intercorso tra i fratelli del dante causa degli attuali ricorrenti principali e gli attuali resistenti e ricorrenti incidentali ha operato la Corte di merito.

L’indagine del giudice di merito diretta ad accertare se la vendita abbia per oggetto la quota ereditaria (o una sua frazione) ovvero beni determinati, risolvendosi in un apprezzamento di fatto, è incensurabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione immune da vizi logici e giuridici (v., in tal senso, Cass., sentt. n. 246 del 1985, n. 5458 del 1979).

4.3. – Nella specie, la Corte marchigiana ha correttamente ed esaustivamente motivato il proprio convincimento in ordine alla configurabilità, nell’atto traslativo di cui si tratta, della vendita di un bene determinato, e non di quota ereditaria, facendo riferimento alla mancanza di elementi atti ad evidenziare l’intento dei contraenti di sostituire nella comunione ereditaria i terzi acquirenti ai coeredi alienanti. Tale percorso logico, alla stregua del principio di diritto sopra enunciato, si sottrae ad ogni censura nella presente sede.

5. – Con il terzo motivo si denuncia la insufficienza e contraddittorietà della motivazione, nonchè la violazione e falsa applicazione degli artt. 732 e 1111 cod. civ. per avere la Corte di merito ritenuto che gli acquirenti avessero legittimamente proposto domanda di divisione agendo “in via surrogatoria, cioè utendo iuribus dei loro aventi causa”, e che fossero, quindi, “sostanziali beneficiari del provvedimento” di divisione, laddove soltanto la vendita di quota ereditaria o di parte di essa produce effetti reali, mentre la vendita di un singolo bene caduto nell’eredità determina effetti esclusivamente obbligatori. Infatti, nella ipotesi di vendita di un bene determinato, la efficacia del contratto nei confronti degli acquirenti è subordinata all’attribuzione del bene medesimo in favore dei coeredi alienanti in sede di scioglimento della comunione ereditaria. Non essendosi, nella fattispecie, realizzata la condizione predetta, il Tribunale non avrebbe potuto disporre lo scioglimento di una comunione mai determinatasi nei confronti dei M.. Costoro, alla stregua della interpretazione fornita dai giudici di merito relativa alla configurabilità, nella specie, di vendita di un singolo bene, con il rogito notarile non avrebbero acquistato la comproprietà del bene, ma solo acquisito il diritto all’acquisto per effetto della (non avvenuta) divisione ereditaria.

6.1. – La censura è fondata nei termini che seguono.

6.2. – L’errore in cui è incorsa la Corte di merito è quello di avere ritenuto che legittimamente fosse stata disposta la divisione del bene de quo, il cui trasferimento era sottoposto alla condizione dello scioglimento della comunione, ritenendo che gli acquirenti avessero agito in via surrogatoria, senza considerare che con tale strumento avrebbe dovuto essere chiesta la divisione della comunione ereditaria e non del bene acquistato che di essa faceva parte.

7. – L’accoglimento del terzo motivo del ricorso principale assorbe l’esame del ricorso incidentale, con il quale si lamenta l’omesso esame di un punto decisivo, attinente all’errore, dedotto nel giudizio, nella determinazione materiale dell’estensione del terreno da assegnare in esclusiva ai P., nonchè l’omessa applicazione di legge, consistita nel non avere la Corte di merito posto all’autorità amministrativa il quesito sulla estensione e qualità della minima culturale in zona.

8. – Conclusivamente, devono essere rigettati il primo ed il secondo motivo del ricorso principale, mentre deve esserne accolto il terzo, assorbito il ricorso incidentale. La sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto, e la causa rinviata ad un diverso giudice, che viene designato nella Corte d’appello di Bologna – cui viene demandato anche il regolamento delle spese del presente giudizio – che riesaminerà la controversia alla luce della considerazione (sub 6.2.) della illegittimità della disposta divisione del bene de quo, facente parte della comunione ereditaria.

PQM

LA CORTE riuniti i ricorsi, rigetta il primo ed il secondo motivo del ricorso principale, accoglie il terzo, assorbito il ricorso incidentale.

Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d’appello di Bologna.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 9 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 4 gennaio 2011

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