Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9698 del 23/04/2010

Cassazione civile sez. lav., 23/04/2010, (ud. 10/03/2010, dep. 23/04/2010), n.9698

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. DI NUBILA Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 16822-2006 proposto da:

C.N.P.A.F. – CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA E ASSISTENZA FORENSE, in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA BOCCA DI LEONE 78, presso lo studio

dell’avvocato LUCIANI MASSIMO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato CARBONE LEONARDO, giusta mandato a margine

del ricorso;

– ricorrente –

e contro

EREDI DELL’AVVOCATO D.R.L.: S.I. vedova D.

R., AVVOCATO D.R.N., D.R.C., AVVOCATO

G.P.;

– intimati –

sul ricorso 19960-2006 proposto da:

EREDI DELL’AVVOCATO D.R.L.: S.I. vedova D.

R., AVVOCATO D.R.N., D.R.C., AVVOCATO

G.P., elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA

GIUNONE REGINA 1, presso lo studio dell’avvocato CARLEVARO ANSELMO,

che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati PANTALEONI

GIOVANNI, FERRARI PAOLO, DE RIENZO NICOLA, giusta mandato in calce al

controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

contro

C.N.P.A.F. – CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA E ASSISTENZA FORENSE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 443/2005 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 24/06/2005 r.g.n. 503/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/03/2010 dal Consigliere Dott. VINCENZO DI NUBILA;

udito l’Avvocato LUCIANI MASSIMO;

udito l’Avvocato PANTALEONI GIOVANNI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con ricorso al Tribunale di Milano, gli avvocati P. G. e D.R.L. chiedevano, nei confronti della Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense, la rivalutazione delle rispettive pensioni, deducendo un particolare che a sensi della L. n. 576 del 1980, art. 16 essi avevano diritto alla rivalutazione della pensione a partire dal primo anno successivo al pensionamento e che non erano stati computati i migliori redditi dei dieci anni sugli ultimi quindici anni di contribuzione. Deceduto nelle more del processo l’avv. D.R., la causa veniva proseguita dagli eredi.

2. Costituitasi la convenuta, la quale sosteneva la piena correttezza del proprio operato, il Tribunale accoglieva le domande attrici con sentenza non definitiva in data 18.11.2002 e definitiva del 10.3.2004, confermate con sentenza 24.6.2005 della Corte di Appello di Milano. Questa rilevava in via preliminare che gli attori, pretendendo nel corso del giudizio di primo grado la rivalutazione dei redditi professionali e dei tetti pensionabili di cui all’art. 2 della Legge citata, non avevano violato il divieto di mutamento della domanda, di cui all’art. 420 c.p.c., ma avevano operato una modificazione, tacitamente autorizzata dal giudice, perchè rivelatasi necessaria soltanto dopo la produzione di delibere della Cassa, e comunque intesa anch’essa al corretto calcolo della pensione.

3. Quanto al merito, la Corte di Appello rilevava che l’art. 27, comma 4 della Legge citata, secondo cui per la prima rivalutazione delle pensioni si doveva fare riferimento all’indice medio annuo relativo all’anno di entrata in vigore della stessa legge, dettava un criterio generale, valido anche per le pensioni maturate dopo il 1982, come affermato da Cass. SU 16.4.2004 n. 7281; e che inoltre questo criterio doveva valere per la rivalutazione tanto dei redditi quanto delle pensioni. Ne conseguiva che i redditi del 1980 dovevano essere rivalutati con riferimento all’indice dell’anno precedente (1979-1980), ossia al 21%, contrariamente a quanto sostenuto dalla Cassa.

4. Ha proposto ricorso per Cassazione la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense, deducendo due motivi. Resistono con controricorso gli attori ovvero gli aventi causa, i quali propongono ricorso incidentale affidato a tre motivi. Le parti hanno presentato memorie integrative. Il ricorso principale ed il ricorso incidentale, essendo stati proposti contro la medesima sentenza, vanno riuniti.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

5. Con il primo motivo del ricorso principale, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, a sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, dell’art. 420 c.p.c., nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in fatto circa un punto decisivo della controversia, a sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5: gli attori hanno chiesto la condanna della convenuta alla corresponsione della pensione, secondo una certa rivalutazione. Solo successivamente, oltre la prima udienza e senza autorizzazione, essi hanno ampliato il “petitum” chiedendo che a base della pensione fossero assunti i redditi denunciati, previo accertamento che i tetti pensionabili e quindi i massimali dovevano essere anch’essi rivalutati in misura maggiore di quanto operato dalla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense.

6. Il motivo è infondato. Oggetto della pretesa sostanziale degli attori fu l’accertamento dell’esatto ammontare delle loro pensioni di vecchiaia, a sensi della L. n. 576 del 1980, oggetto questo rimasto immutato nel corso dell’intero processo. Avendo appreso nel corso del giudizio di primo grado che la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense, nella liquidazione del detto ammontare, aveva a loro avviso errato (anche) nell’individuazione di parametri non considerati nell’atto introduttivo, gli attori invocavano anche questi e così precisavano la “causa pretendi”, non violando la norma processuale. In questi termini si è espressa la sentenza impugnata, la quale ha apprezzato incensurabilmente la portata del “petitum” come indicato nel ricorso introduttivo ed ha stabilito che alcun mutamento di esso è intervenuto. Gioverà ricordare che nel ricorso introduttivo gli attori invocavano “l’entità dei redditi da assumere per il calcolo delle medie di riferimento” che doveva essere rivalutata secondo l’indice ISTAT. Ne seguiva la richiesta di condanna al pagamento delle pensioni “liquidate sulla base della media effettiva dei redditi sottoposti a contribuzione” ed a corrispondere la rivalutazione monetaria 6,6% dal 1.1.1991. La domanda iniziale, successivamente precisata dagli attori, comprendeva quindi entrambi gli aspetti controversi.

7. Con il secondo motivo del ricorso, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, a sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, della L. n. 576 del 1980, artt. 15, 16, 26 e 27 e difetto di motivazione: essa sostiene che la prima rivalutazione delle pensioni doveva partire dall’indice ISTAT del 1981, contenente i dati di svalutazione del 1980, ossia di un anno successivo a quello preso in considerazione dalla Corte di Appello e di importo più elevato. Soggiunge parte ricorrente che, se il decreto del Ministro del Lavoro ha proceduto secondo un certo criterio alla rivalutazione dei contributi, la Corte di Appello avrebbe dovuto necessariamente attenersi a quel criterio anche per la rivalutazione dei redditi percepiti dagli avvocati, a causa del principio di “sinergia” tra contributi e dinamica delle pensioni, espresso nell’art. 16 della Legge citata. Secondo la ricorrente, la corretta procedura di rivalutazione delle pensioni era la seguente: inizio del computo anno 1980, prima variazione accertata nel corso del 1981 avendo come dato di raffronto il 1980;

comunicazione dell’ISTAT del dato alla Cassa nel 1982, emanazione del D.M. 30 settembre 1982 con effetto dal 1.1.1983. Sul punto replicano gli attori che in realtà il calcolo dell’indice doveva partire dal 1979.

8. Il motivo è infondato. Non è persuasivo l’argomento secondo il quale il giudice di merito doveva tenere presenti i criteri seguiti dal Ministero in punto rivalutazione del redditi imponibili e delle pensioni. Il giudice non è vincolato all’atto amministrativo e può disapplicarlo ove lo ritenga non conforme alla legge a sensi della L. n. 2248 del 1865, artt. 4 e 5, all. E. E’ quanto accaduto nel caso di specie, quanto alla rivalutazione dei redditi, essendo rimasta estranea alla causa ogni questione sull’ammontare dei contributi (salvo quando si dirà “infra” a proposito del ricorso incidentale).

Nell’ambito della materia del contendere, tale questione ha formato tutt’al più oggetto di ipotetici inconvenienti e svantaggi prospettati a danno degli assicurati. Ma il punto centrale della questione, vale a dire il carattere generale e non di diritto transitorio della norma di cui alla L. n. 576 del 1980, art. 27, comma 4 appare correttamente deciso dalla Corte di Appello sulla scorta di Cass. SU n. 7281.2004. Da tale sentenza conviene prendere le mosse.

9. Dando atto della riproposizione della materia del contendere ad opera della Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense, la sentenza premette: “La censura pone, in sintesi, il seguente interrogativo: deve la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense, nel procedere alla rivalutazione delle pensioni di vecchiaia già liquidate in favore degli avvocati, effettuare tale rivalutazione assumendo come decorrenza iniziale il 1 gennaio dell’anno successivo a quello nel corso del quale avviene il pensionamento o tali pensioni debbono essere rivalutate al far data dal 1 gennaio del secondo anno successivo al maturare del diritto a pensione Proprio perchè su tale questione viene chiesto a queste Sezioni Unite di riesaminare la propria posizione già assunta con riferimento a fattispecie identica (sent. 4.10.1996, n. 8684), appare necessario premettere una più ampia considerazione intorno alla disciplina previdenziale di settore”.

10. Prosegue la sentenza facendo il punto circa l’assetto legislativo della Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense, dando atto tra l’altro delle modifiche introdotte con la L. n. 141 del 1992. In particolare viene riportato il testo dell’art. 16: “Il nuovo testo dell’art. 16 – modificato dalla L. 11 febbraio 1992, n. 141, art. 8 – così dispone:

“Gli importi delle pensioni erogate dalla cassa sono aumentati, in proporzione alle variazioni dell’indice annuo dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati calcolato dall’Istituto nazionale di statistica, con delibera del consiglio di amministrazione della Cassa comunicata al Ministero della giustizia ed al Ministero del lavoro e della previdenza sociale per la relativa approvazione.

L’approvazione si intende data se non viene negata entro i due mesi successivi alla comunicazione.

Gli aumenti hanno decorrenza dal 1 gennaio successivo alla data della delibera. Nella stessa misura percentuale, e con la stessa decorrenza, sono adeguati il limite della media dei redditi nonchè gli scaglioni di reddito di cui all’art. 2, i limiti di reddito di cui all’art. 10, comma 1, e il contributo minimo di cui all’art. 10, comma 2, arrotondando i relativi importi a L. 100.000 più vicine per i limiti e scaglioni di reddito, ed a L. 10.000 più vicine per il contributo.

Quanto alla decorrenza della L. n. 576 del 1980 ed alle norme transitorie gli artt. 26 e 27 così dispongono;

Art. 26: Sono regolate dalla presente legge le pensioni di vecchiaia e di anzianità che maturano dal 1 gennaio del secondo anno successivo alla sua entrata in vigore. Le pensioni di vecchiaia maturate entro la data di cui al precedente comma sono regolate dalla normativa previgente; così anche le relative pensioni di reversibilità e quelle indirette se il pensionato, o rispettivamente l’iscritto, sia defunto prima della stessa data. Art. 27: Le pensioni maturate anteriormente alla data di cui all’art. 26, primo comma, sono rivalutate, ai sensi dell’art. 15 (art. 16 come sostituito dalla L. 2 maggio 1983, n. 175, art. 2), con la stessa decorrenza e nella stessa misura determinata a norma della presente legge. La prima tabella di cui all’art. 15, comma 2, è redatta entro quattro mesi dall’entrata in vigore della presente legge. Per gli anni in cui l’ISTAT non ha calcolato l’indice di cui all’art. 16, si fa riferimento agli indici ISTAT di valore più vicino allo stesso. Le entità dei redditi di cui all’art. 2, comma 5, art. 4, comma 2 e art. 10, commi 1 e 2, sono riferite all’anno di entrata in vigore della presente legge. Per la prima applicazione dell’art. 16, si fa riferimento all’indice medio annuo relativo all’anno di entrata in vigore della presente legge”.

11. Segue la menzione del contrasto di giurisprudenza che ha posto capo alla prima sentenza delle Sezioni Unite n. 8684.1996, la quale si è espressa in senso favorevole agli assicurati.

Ma poichè la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense ha continuato a proporre ricorsi, si è reso necessario un nuovo pronunciamento delle Sezioni Unite, le quali confermano la precedente sentenza motivando nel senso che il criterio letterale non è sufficiente a chiarire la portata della norma, onde va applicato il criterio teleologico e sistematico. La conclusione è che la pensione va rivalutata fin dal 1 gennaio dell’anno successivo al sorgere del diritto. La sentenza cita il precedente del 1996 che intende confermare: “In tema di pensioni a carico della Cassa di previdenza ed assistenza a favore degli avvocati e procuratori, il sistema di adeguamento introdotto dalla L. 20 settembre 1980, n. 576, art. 16 – che prevede aumenti annuali, da determinarsi con apposito decreto interministeriale ricognitivo della variazione dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, e da corrispondersi con decorrenza dal primo gennaio dell’anno successivo alla data del decreto stesso – comporta che i titolari del diritto a pensione maturato nell’anno di emissione del decreto interministeriale possono fruire dell’adeguamento ivi determinato, pur essendo l’epoca di riferimento considerata dal decreto medesimo per la ricognizione della suddetta variazione – anteriore al momento di maturazione del diritto.

Questo principio – applicato ad una fattispecie precedente alla entrata in vigore della L. n. 141 del 1992 di modifica della L. n. 576 del 1980, art. 16 – è stato poi ribadito a più riprese dalla Corte di Cassazione anche con riferimento al nuovo testo dell’art. 16 (il quale, peraltro differisce dal precedente testo solo nella parte in cui sostituisce al decreto interministeriale la delibera del consiglio di amministrazione della Cassa, quale provvedimento contenente le variazioni degli importi delle pensioni). La conclusione è nel senso che “quest’ultima norma (l’art. 15) stabilisce quindi che l’anno precedente alla maturazione del diritto a pensione non viene preso in considerazione ai fini della rivalutazione dei vari redditi da attualizzare. Può ritenersi allora che esiste effettivamente un vuoto di attualizzazione relativo alla quantificazione del reddito pensionabile, che il criterio seguito dalla sentenza di queste Sezioni Unite interveniva a colmare: poichè nell’attualizzare il reddito da porre a base della pensione non si tiene conto della rivalutazione intervenuta l’anno precedente il sorgere del diritto a pensione, di quella esigenza di attualizzazione si terrà conto provvedendo a rivalutare la pensione fin dal 1 gennaio dell’anno successivo al sorgere del diritto”.

12. La sentenza impugnata segue correttamente i principi seguiti dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite e ritiene che la rivalutazione della pensione debba fondarsi sugli indici dell’anno precedente. Secondo il criterio di legge, dunque, il riferimento ad un certo anno per la rivalutazione deve fondarsi sulla svalutazione dell’anno precedente. Quanto ai redditi, perciò, quelli del 1980 vanno rivalutati con riferimento alla svalutazione del 1979. Non pertinente è il richiamo a Cass. n. 18543.2004, relativa all’identificazione del quindicennio precedente alla maturazione della pensione, entro il quale va calcolata la media dei redditi professionali, a sensi dell’art. 2 Legge più volte citata.

13. Con il primo motivo del ricorso incidentale, le parti attrici deducono violazione e falsa applicazione, a sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, della L. n. 576 del 1980, artt. 2, 15, 16, artt. 112, 277 e 359 c.p.c., nonchè omessa pronuncia circa un punto decisivo della controversia in ordine al “quantum”. I redditi assumibili a base della liquidazione delle pensioni dovevano essere superiori ai massimali o tetti contributivi, a causa del ritardo col quale la Cassa ha proceduto all’aggiornamento dei tetti medesimi, difetto questo che si è riverberato nella consulenza tecnica di ufficio. In realtà i ricorrenti incidentali danno atto di una rivalutazione del tetto di L. 84.600.000 operata dal consulente tecnico in L. 102.500.000 per il 1989, ma essi ritengono che una corretta rivalutazione doveva portare ad un tetto o massimale pensionabile di L. 107.636.000.

14. Quanto all’ammissibilità della precisazione della domanda si è detto a proposito del primo motivo del ricorso principale. Ma nel merito devesi rilevare l’inammissiblità del motivo del ricorso incidentale sotto altro profilo: esso motivo risulta generico, in quanto non viene precisato se trattasi di mero errore di calcolo oppure di violazione di norma di diritto, violazione “supposta” dai ricorrenti incidentali. L’omessa pronuncia non sussiste, perchè nella penultima pagina (n. 7) della sentenza di appello viene data risposta al problema sollevato: “Sul punto il collegio deve rilevare che una differenziazione nel criterio di adeguamento, quindi una mancata applicazione del principio di cui all’art. 27, u.c. citato per la sola rivalutazione dei redditi, appare incongrua e contrasterebbe con la lettera e lo spirito della legge, che ha espressamente stabilito all’art. 16 richiamato dall’art. 27, quanto alle modalità di applicazione dei coefficienti – un medesimo criterio di adeguamento”. In sostanza, la Corte di Appello afferma che il pensionato non può pretendere di pagare i contributi su un certo massimale e percepire la pensione su un massimale superiore. La questione si risolve quindi in una censura in fatto al “quantum” liquidato in sentenza di primo grado, quindi in un mero dissenso rispetto ai criteri di calcolo usati dal consulente tecnico.

15. Con il secondo motivo del ricorso incidentale, gli attori deducono violazione e falsa applicazione, a sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 112, 277, 359, 429, 442 c.p.c., ed omessa pronuncia, per non essere stata accolta la domanda di rivalutazione monetaria, a sensi della sentenza della Corte Costituzionale n. 156 del 1991.

Nella memoria integrativa si da atto che a sensi della L. n. 412 del 1991, art. 16, comma 6 gli interessi andrebbero portati in detrazione dalle somme dovute a titolo di svalutazione, “notoriamente caratterizzata da tassi inflazionistici superiori”.

16. Il motivo è inammmissibile per genericità (si fa riferimento al notorio in sede di legittimità) e perchè parti attrici non deducono che il Tribunale abbia negato, con la sentenza confermata in appello, la rivalutazione monetaria. Va ritenuto che il primo giudice abbia inteso assorbire la rivalutazione monetaria negli interessi legali, che ha considerato satisfattivi anche dell’inflazione “medio tempore”.

17. Inammissibile anche il terzo motivo del ricorso incidentale, vertente sulle spese, il cui regolamento è rimesso al discrezionale apprezzamento del giudice di merito e risulta adeguatamente motivato.

18. La reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese del grado.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa tra le parti le spese del processo di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 aprile 2010

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