Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9696 del 23/04/2010

Cassazione civile sez. lav., 23/04/2010, (ud. 04/03/2010, dep. 23/04/2010), n.9696

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. BALLETTI Bruno – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 22582/2006 proposto da:

SARA ASSICURAZIONI S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIOVANNIO PIERLUIGI

DA PALESTRINA 19, presso lo Studio dell’avvocato TERENZIO Alessandro,

che la rappresenta e difende, giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

F.L., F.A., elettivamente domiciliate in ROMA,

VIA BRITANNIA 36, presso lo studio dell’avvocato TREZZA Gaetano, che

le rappresenta e difende unitamente agli avvocati VALORI GIULIO,

VALLESI GIUSEPPE, giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

e

contro

AUTOMOBIL CLUB DI ASCOLI PICENO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 310/2005 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 29/08/2005 R.G.N. 33/04;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

04/03/2010 dal Consigliere Dott. BRUNO BALLETTI;

udito l’Avvocato ENRICO MARIA TERENZIO per delega TERENZIO

ALESSANDRO;

udito l’Avvocato TREZZA GAETANO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO Riccardo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso ex. art. 414 cod. proc. civ., dinanzi al Giudice del lavoro di Ascoli Piceno F.E. conveniva in giudizio la SARA Assicurazioni s.p.a. e l’Automobile Club di Ascoli Piceno, esponendo di aver svolto attività di agente per la SARA s.p.a. effettivamente e continuamente dal 18 agosto 1955 al 31 dicembre 1993 benchè dal 1955 al 16.1.1985 (data in cui era divenuto anche formalmente “agente Sara”), risultasse formalmente subagente dell’ACI di Ascoli Piceno, il quale a sua volta risultava (formalmente) Agente Generale della SARA; chiedeva, pertanto, che l’adito Giudice, accertata la sussistenza di un rapporto di agenzia fra il ricorrente e la SARA fin dal 18 agosto 1955 e quindi la continuità ed unicità del rapporto stesso fino al 31 dicembre 1993, determinasse la indennità di fine rapporto sulla base della maggiore anzianità effettivamente maturata e condannasse, solidalmente oppure ciascuno per la sua parte, al pagamento delle maggiori somme, detratte quelle percepite in acconto, nonchè della somma di L. 28.164.921 a titolo di rivalsa indebitamente versata al momento della costituzione (solo formale) del rapporto di agenzia del 16 gennaio 1985 con la SARA con rivalutazione ed interessi.

Si costituivano in giudizio la s.p.a. SARA ASSICURAZIONI e l’AUTOMOBIL CLUS di Ascoli Piceno che impugnavano integralmente la domanda attorea e ne chiedevano il rigetto.

Il Tribunale di Ascoli Piceno – con sentenza in data 2 dicembre 2003 – accoglieva la domanda verso la sola SARA s.p.a. e, dichiarata la ininterrotta continuità del rapporto di agenzia fra il F. e la stessa dal 18 aprile 1955 al dicembre 1993, la condannava al pagamento della somma di Euro 18.518,19, oltre interessi e rivalutazione a titolo di differenza per indennità di fine rapporto, nonchè della somma di Euro 14.545,97 a titolo di restituzione della “rivalsa” indebitamente versata. Impugnata la cennata sentenza dalla s.p.a. SARA ASSICURAZIONI e costituitisi in giudizio A. e F.L. (nella qualità di eredi di F.E.) – mentre restava contumace l’AUTOMOBIL CLUB di Ascoli Piceno -, la Corte di appello di Ancona, con sentenza in data 29 agosto 2005, respingeva l’appello con condanna dell’appellante al pagamento delle spese del grado.

Per la cassazione di questa sentenza la s.p.a. SARA Assicurazioni propone ricorso assistito da due motivi.

Gli intimati F.L. ed F.E. – ut supra resistono con controricorso; mentre l’altro intimato AUTOMOBIL CLUB di Ascoli Piceno non ha spiegato attività difensiva ancorchè ritualmente raggiunto dalla notificazione del ricorso. Entrambe le parti costituite hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Con il primo motivo di ricorso la società ricorrente-denunciando “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, nonchè violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. e art. 2697 cod. civ.” – addebita alla Corte di appello di Ancona di “avere omesso totalmente di chiarire per quale motivo gli elementi di fatto emersi dalla deposizione testimoniale non siano compatibili con la sussistenza di un rapporto di produzione prima e di subagenzia poi con l’ACI di Ascoli Piceno … e, inoltre, di avere omesso di valutare le prove documentali raccolte, essendo evidente che l’esame di tali documenti, valutati singolarmente tra di loro e/o in unione con quelli menzionati dai giudici del gravame, avrebbe condotto ad una pronunzia diversa da quella adottata”.

Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente – denunciando “violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.” – censura la sentenza impugnata per avere la Corte territoriale “omesso di pronunciare su quanto evidenziato dalla società, che almeno fino al 26 maggio 1980 tra la SARA e il F. non sarebbe potuto intercorrere alcun rapporto di agenzia, ciò ostando la legge all’epoca vigente”.

2 – Si deve, preliminarmente, valutare l’eccezione di inammissibilità del ricorso proposta dai controricorrenti per “nullità della procura ex art. 365 c.p.c., stesa in calce al ricorso per cassazione dall’ing. V.S., nella sua qualità di direttore generale della s.p.a. SARA ASSICURAZIONI”, che non sarebbe fornito della rappresentanza processuale.

La cennata eccezione si appalesa infondata in quanto – dalla disamina degli atti processuali all’uopo necessaria essendo stato dedotto un error in procedendo – si evince che, in forza di procura notarile, al predetto ing. V. era stato conferito il potere di “nominare avvocato per rappresentare la società davanti a qualsiasi autorità giudiziaria, compreso i giudici di cassazione”.

In ogni caso costituisce giurisprudenza costante che, qualora sia parte del processo una società, la persona fisica che, nella qualità di organo della stessa, abbia conferito il mandato al difensore, non ha l’onere di dimostrare tale sua qualità, gravando, invece, sulla parte che la contesti l’onere di fornire la relativa prova negativa (ex plurimis, Cass. n. 19381/2002).

L’eccezione preliminare deve, pertanto, essere respinta.

3 – Passando ora alla valutazione del ricorso, il primo motivo non può trovare accoglimento.

3/a – Al riguardo, le censure formulate dalla ricorrente si sostanziano essenzialmente sulla asserita, errata valutazione delle risultanze probatorie così come compiuta dalla Corte di appello di Ancona e sui relativi vizi di motivazione a sostegno del decisum, per cui occorre rimarcare che la cennata valutazione rientra nell’attività istituzionalmente riservata al giudice di merito non sindacabile in cassazione se non sotto il profilo della congruità della motivazione del relativo apprezzamento (Cass. n. 322/2003).

Pervero, il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili e idonee alla formazione dello stesso e di disattendere taluni elementi ritenuti incompatibili con la decisione adottata, essendo sufficiente, ai fini della congruità della motivazione, che da questa risulti che il convincimento si sia realizzato attraverso una valutazione dei vari elementi processualmente acquisiti, considerati nel loro complesso, pur senza un’esplicita confutazione degli altri elementi non menzionati e non accolti, anche se allegati, purchè risulti logico e coerente il valore preminente attribuito a quelli utilizzati.

Si rileva, altresì, che le censure con cui una sentenza viene impugnata per vizio della motivazione in ordine alla valutazione delle risultanze probatorie non possono essere intese a far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte – pure in relazione al valore da conferirsi alle “presunzioni” la cui valutazione è anch’essa incensurabile in sede di legittimità alla stregua di quanto già riferito in merito alla valutazione delle risultanze probatorie (Cass. n. 11906/2003) – e, in particolare, non vi si può opporre un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione di cui all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5: in caso contrario, il motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, id est di una nuova pronuncia sul fatto sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione.

3/b – Circa, inoltre, le doglianze della ricorrente concernenti l’asserita inattendibilità dei testi addotti da parte avversa – le cui deposizioni (definite “troppo benevole e infarcite di inammissibili valutazioni”) sarebbero state impropriamente utilizzate nella decisione della Corte territoriale a preferenza rispetto a prove documentali -, questa Corte ha statuito con la sentenza n. 21412/2006 a cui vale riportarsi integralmente anche per la relativa parte motiva che “il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata”.

3/c – Con riferimento, infine, alle doglianze in merito agli asseriti vizi di motivazione – che inficerebbero la sentenza impugnata – si precisa: -) il difetto di motivazione, nel senso d’insufficienza di essa, può riscontrarsi soltanto quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice e quale risulta dalla sentenza stessa emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero l’obiettiva deficienza, nel complesso di essa, del procedimento logico che ha indotto il giudice, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già, invece, – come per le censure mosse nella specie dalla ricorrente quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati; -) il vizio di motivazione sussiste unicamente quando le motivazioni del giudice non consentano di ripercorrere l’iter logico da questi seguito o esibiscano al loro interno non insanabile contrasto ovvero quando nel ragionamento sviluppato nella sentenza sia mancato l’esame di punti decisivi della controversia – irregolarità queste che la sentenza impugnata di certo non presenta -; -) per poter considerare la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano prese in esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi – come, nella specie, esaustivamente ha fatto la Corte di appello di Ancona – le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in questo caso ritenere implicitamente rigettate tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse.

4 – Anche il secondo motivo di ricorso deve essere respinto.

Al riguardo – in merito alla censura (che connota sostanzialmente detto motivo) secondo la quale la Corte territoriale avrebbe erroneamente valutato il contenuto del ricorso in appello proposto dalla Società in violazione dell’art. 112 c.p.c. – si rileva, in linea generale, che l’interpretazione data dal giudice di appello riguardo al contenuto e all’ampiezza della impugnativa è assoggettabile al controllo di legittimità limitatamente alla valutazione della logicità e congruità della motivazione e, a tal riguardo, il sindacato della Corte di cassazione comporta l’identificazione della volontà della parte in relazione alle finalità dalla medesima perseguite, in un ambito in cui, in vista del predetto controllo, tale volontà si ricostruisce in base a criteri ermeneutici assimilabili a quelli propri del negozio, diversamente dall’interpretazione riferibile ad atti processuali provenienti dal giudice, ove la volontà dell’autore è irrilevante e l’unico criterio esegetico applicabile è quello della funzione obiettivamente assunta dall’atto giudiziale (cfr. Cass. n. 17947/2006). In particolare, in sede di legittimità, occorre tenere distinta l’ipotesi in cui si lamenti l’omesso esame di una domanda, o la pronuncia su domanda non proposta, dal caso in cui si censuri l’interpretazione data dal giudice di merito alla domanda stessa:

solo nel primo caso si verte propriamente in tema di violazione dell’art. 112 c.p.c., per mancanza della necessaria corrispondenza tra chiesto e pronunciato, prospettandosi che il giudice di merito sia incorso in un error in procedendo, in relazione al quale la Corte di cassazione ha il potere-dovere di procedere all’esame diretto degli atti giudiziari onde acquisire gli elementi di giudizio necessari ai fini della pronuncia richiestale; nel caso in cui venga invece in contestazione l’interpretazione del contenuto o dell’ampiezza della domanda, tali attività integrano un tipico accertamento in fatto, insindacabile in cassazione salvo che sotto il profilo della correttezza della motivazione della decisione impugnata sul punto (Cass. n. 16596/2005). Più specificatamente, rientra nella nozione di “error in procedendo”, a fronte del quale la Corte di cassazione ha il potere-dovere di procedere all’esame diretto degli atti onde acquisire gli elementi necessari ai fini della richiesta pronuncia, la censura di omesso esame della domanda e la pronuncia su domanda non proposta, ma non la censura di erronea interpretazione del contenuto o dell’ampiezza della domanda, nè la censura di omessa, contraddittoria o insufficiente motivazione; tuttavia, qualora la censura relativa alla motivazione lamenti un vizio procedurale in cui sia incorso il giudice di merito (una sorta di “error in procedendo” indiretto, o di secondo grado), ciò consente alla Corte di Cassazione l’esame degli atti del giudizio di merito, al limitato fine di verificare che l’errore procedurale in cui sia eventualmente incorso il giudice di merito si sia tradotto in un vizio di motivazione (Cass. n. 9471/2004).

Nella specie la Corte di appello di Ancona ha motivatamente statuito – sul punto effettivamente e ritualmente in discussione a seguito dell’impugnativa della s.p.a. SARA ASSICURAZIONI – che non era consentito distinguere tra contratto di agenzia in corso prima della vigenza della Direttiva Comunitaria 18 dicembre 1985 n. 86/653 e contratto concluso ed in atto per arguirne la diversità di disciplina quanto a nullità in caso di mancanza di iscrizione all’albo dell’agente, poichè tutta la normativa del settore deve essere armonizzata con i principi comunitari, rifacendosi specificamente alla sentenza di questa Corte n. 5505/2002, a cui vale riportarsi anche per la parte motiva.

5 – A conferma della pronuncia di rigetto dei motivi del ricorso vale riportarsi al principio di cui alla sentenza di questa Corte n. 5149/2001 (e, più di recente, di Cass. Sezioni Unite n. 14297/2007) in virtù del quale, essendo state rigettate le principali assorbenti ragioni di censura, il ricorso deve essere respinto nella sua interezza poichè diventano inammissibili, per difetto di interesse, le ulteriori ragioni di censura.

6 – In definitiva, alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso proposto dalla s.p.a. SARA ASSICURAZIONI deve essere respinto. Ricorrono giusti motivi – rappresentati dalla palese infondatezza dell’eccezione di inammissibilità del ricorso temerariamente proposta ed insistito, dai controricorrenti – per dichiarare interamente compensate le spese del giudizio di legittimità nei confronti di F.L. e F.A..

Nulla, invece, deve essere disposto sulle spese del presente giudizio nei confronti dell'”AUTOMOBIL CLUB di Ascoli Piceno” atteso il mancato espletamento di attività difensiva da parte del cennato intimato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; compensa le spese del giudizio di cassazione nei confronti dei controricorrenti F.L. e F. A.; nulla spese nei confronti dell’AUTOMOBIL CLUB di Ascoli Piceno rimasto intimato.

Così deciso in Roma, il 4 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 aprile 2010

 

 

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