Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9695 del 14/04/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 14/04/2017, (ud. 16/02/2017, dep.14/04/2017),  n. 9695

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

sul ricorso 19641-2012 proposto da:

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE UNIVERSITA’ E RICERCA C.F. (OMISSIS), in

persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso i cui uffici domicilia

in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12;

– ricorrente –

contro

C.G. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

SALITA DI SAN NICOLA DA TOLENTINO 1/B, presso lo studio

dell’avvocato DOMENICO NASO, che la rappresenta e difende, giusta

delega in atti.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza in data 11.6.2012 la Corte di Appello di Milano ha respinto l’impugnazione proposta dal Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca avverso la sentenza del locale Tribunale che aveva dichiarato il diritto di C.G., assistente amministrativo assunta dal 2002 al 2009 con contratti a tempo determinato di durata annuale, a vedersi riconoscere l’anzianità di servizio ai fini della quantificazione del trattamento retributivo ed aveva pronunciato condanna generica del Ministero al pagamento delle differenze dovute; che avverso tale sentenza il MIUR ha proposto ricorso affidato a due motivi, al quale ha opposto difese la C. con controricorso;

che è stata depositata memoria dal MIUR.

Diritto

CONSIDERATO

che il primo motivo di ricorso, nel denunciare plurime disposizioni di legge nonchè della direttiva 1999/70/CE, assume che i supplenti della scuola, legittimamente assunti sulla base di una disciplina speciale conforme alla direttiva europea, non sono comparabili ai dipendenti di ruolo in quanto sottoscrivono ogni anno un nuovo contratto del tutto autonomo rispetto al precedente;

che ritiene il Collegio si debba rigettare il motivo di ricorso, perchè la sentenza impugnata è conforme al principio di diritto affermato da questa Corte con le sentenze nn. 22558 e 23868/2016, con le quali si è statuito che “nel settore scolastico, la clausola 4 dell’Accordo quadro sul rapporto a tempo determinato recepito dalla direttiva n. 1999/70/CE, di diretta applicazione, impone di riconoscere la anzianità di servizio maturata al personale del comparto scuola assunto con contratti a termine, ai fini della attribuzione della medesima progressione stipendiale prevista per i dipendenti a tempo indeterminato dai c.c.n.l. succedutisi nel tempo, sicchè vanno disapplicate le disposizioni dei richiamati c.c.n.l. che, prescindendo dalla anzianità maturata, commisurano in ogni caso la retribuzione degli assunti a tempo determinato al trattamento economico iniziale previsto per i dipendenti a tempo indeterminato”;

che a dette conclusioni la Corte è pervenuta valorizzando i principi affermati dalla Corte di Giustizia quanto alla interpretazione della clausola 4 dell’Accordo Quadro ed evidenziando che l’obbligo posto a carico degli Stati membri di assicurare al lavoratore a tempo determinato “condizioni di impiego” che non siano meno favorevoli rispetto a quelle riservate all’assunto a tempo indeterminato “comparabile”, sussiste a prescindere dalla legittimità del termine apposto al contratto;

che il motivo di ricorso non prospetta argomenti che possano indurre a disattendere detto orientamento, al quale va data continuità, poichè le ragioni indicate a fondamento del principio affermato, da intendersi qui richiamate ex art. 118 disp. att. cod. proc. civ., sono integralmente condivise dal Collegio;

che la memoria del Ministero prospetta inammissibilmente questioni, implicanti accertamento di fatto, sulla durata della supplenza, sul possesso del titolo abilitante, sulle modalità di calcolo della anzianità di servizio, alle quali non è fatto alcun cenno nel ricorso e nella motivazione della sentenza impugnata;

che il secondo motivo di ricorso, con il quale si censura il capo della decisione relativo al rigetto della eccezione di prescrizione, per violazione dell’art. 2947 c.c. e art. 2948 c.c., n. 4, è inammissibile innanzitutto perchè il ricorrente non indica in che termini la questione prospettata nel motivo potrebbe incidere nella fattispecie concreta, ossia se e in quale misura la pretesa della controricorrente potrebbe essere paralizzata dalla eccepita prescrizione quinquennale;

che nel giudizio di cassazione l’interesse alla impugnazione va valutato in relazione ad ogni singolo motivo e non può consistere in un mero interesse astratto a una più corretta soluzione di una questione giuridica, non avente riflessi sulla decisione adottata, bensì deve essere apprezzato in relazione all’utilità concreta derivabile dall’eventuale accoglimento del gravame alla parte (Cass. nn. 13373/2008 e 15353/2010), utilità che deve potere essere desunta dagli elementi che la parte è tenuta ad indicare nel ricorso;

che inoltre il ricorrente si limita a invocare l’applicazione del termine breve e la decorrenza dello stesso anche in corso di rapporto, ma non indica le ragioni per le quali la Corte territoriale avrebbe errato nell’affermare che le somme rivendicate dovevano essere riconosciute a titolo risarcitorio, per la violazione di norme inderogabili di legge;

che il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme asseritamente violate, ma anche mediante specifiche argomentazioni, intese motivatamente a dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbono ritenersi in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla dottrina e dalla prevalente giurisprudenza di legittimità (Cass. 15.1.2015 n. 635);

che le spese del giudizio di legittimità devono essere compensate perchè le pronunce sopra richiamate sono intervenute successivamente alla proposizione del ricorso e sulla questione controversa la giurisprudenza di merito aveva espresso orientamenti contrastanti;

che non sussistono la condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 16 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2017

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