Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9694 del 26/05/2020

Cassazione civile sez. III, 26/05/2020, (ud. 24/01/2020, dep. 26/05/2020), n.9694

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21703/2018 proposto da:

A.A.M., A.A., quali eredi di

A.L. e P.M., domiciliati ex lege in ROMA, presso

la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi

dall’avvocato GIORGIO DI TOMASSI;

– ricorrenti –

contro

C.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 902/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 13/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

24/01/2020 dal Consigliere Dott. MARILENA GORGONI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

A.A.M. e A.A. ricorrono per la cassazione della sentenza n. 902/2018 della Corte d’Appello di Ancona, pubblicata il 13 giugno 2018, articolando quattro motivi.

Nessuna attività difensiva è svolta dall’intimato.

I ricorrenti espongono in fatto che A.L. citava in giudizio, innanzi al Tribunale di Macerata, sezione distaccata di Civitanova Marche, C.G. per ottenerne la condanna al risarcimento dei danni subiti dal proprio appartamento a seguito delle infiltrazioni d’acqua provenienti dal piano superiore, di proprietà del convenuto, ai sensi dell’art. 2053 c.c..

Costituitosi in giudizio, C.G. eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva, contestando che la perdita derivava da un appartamento sovrastante il proprio; chiedeva, pertanto, in via principale, il rigetto della domanda e, in via subordinata, la riduzione dell’ammontare preteso a titolo risarcitorio.

L’attore decedeva nelle more del giudizio di primo grado che proseguiva con la costituzione volontaria degli odierni ricorrenti, nella qualità di eredi.

Con sentenza n. 110/2011, il Giudice, di prime cure accoglieva la richiesta risarcitoria e condannava il convenuto al pagamento di Euro 7.429,84, oltre agli interessi legali ed alle spese di giudizio.

In sede di gravame, proposto dal convenuto soccombente, dinanzi alla Corte d’Appello di Ancona, egli lamentava la mancata dimostrazione che la perdita d’acqua derivasse dall’appartamento di sua proprietà, attribuiva la provenienza delle infiltrazioni dai lavori di ristrutturazione eseguiti nell’appartamento sopra il proprio, denunciava l’erronea applicazione della responsabilità oggettiva, perchè egli non era proprietario del tratto di tubazione danneggiante e perchè la tubazione all’interno della cucina del suo appartamento aveva il solo scopo di portare acqua all’immobile del piano superiore, deduceva l’erroneo rigetto della richiesta di rinnovazione della CTU, chiedeva la sospensione dell’immediata esecutività della sentenza di prime cure.

Gli odierni ricorrenti insistevano per la conferma della sentenza gravata, si opponevano alla domanda di rinnovazione della CTU, che, data la irreversibile trasformazione dei luoghi, si sarebbe rivelata inutile oltre che esplorativa, e alla domanda di sospensione dell’immediata esecutività della sentenza di primo grado.

La Corte d’Appello, con la sentenza qui impugnata, accoglieva il gravame, ritenendo non provato il nesso di derivazione causale tra l’evento dannoso e la tubazione presente nell’appartamento dell’appellante, inesistente, a carico di quest’ultimo, l’obbligo di custodia di una conduttura interna alla proprietà altrui, non invocabile a suo carico la responsabilità ex art. 2053 c.c.; riformava, di conseguenza, integralmente la decisione di prime cure e compensava le spese di lite di entrambi i gradi di giudizio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sotto due differenti profili: a) perchè il concetto di custodia, di cui all’art. 2051 c.c., non implica la titolarità del diritto di proprietà della res, bastando la ricorrenza di un potere di controllo delle sue modalità d’uso e di conservazione. La Corte territoriale avrebbe dovuto tener conto del fatto che, chiudendo il proprio contatore; C.G. aveva interrotto la fuoriuscita di acqua e dedurne che, al momento del fatto, aveva un potere di controllo sulla tubazione ed era in grado di prevenire e controllare i danni da essa cagionabili a terzi; b) perchè, una volta provato, tramite la CTU, il nesso di derivazione causale dell’evento dannoso dalla cosa custodita, sarebbe stato onere del custode provare il caso fortuito, al fine di escludere la propria responsabilità.

1.1. Il motivo è inammissibile.

Innanzitutto, le questioni oggetto di contestazione trovano adeguata risposta, supportata in fatto ed in diritto, nel percorso argomentativo seguito dal Giudice d’Appello. Le critiche ad esso rivolte esorbitano dai limiti della critica di legittimità e si traducono nella ricostruzione dei fatti storici alternativa rispetto a quella argomentatamente ravvisata dal Giudice di merito e, quindi, nell’offerta di una diversa, e per i ricorrenti più corrispondente ai propri desiderata, valutazione delle emergenze processuali e del materiale probatorio. Va, però, ricordato che lo scrutinio riservato a questa Corte ha un orizzonte ben preciso, delimitato dai caratteri morfologici e funzionali del giudizio di legittimità, il quale, al fine di non essere neppure surrettiziamente trasformato in un terzo grado di giudizio – non essendo consentito, tramite il ricorso per cassazione, chiedere una nuova decisione della lite – non può che riscontrare l’esistenza di un apparato argomentativo supportato in fatto e in diritto. Nella sostanza, al giudice di legittimità resta preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, se non si ravvisa alcuna omissione rilevante e se, come in questo caso, pur denunciando un error in iudicando, la parte ricorrente svolga ragioni che costituiscono una critica del logico apprezzamento delle prove fatto dal giudice di merito.

In particolare, ai fini che qui rilevano, chi deduce la violazione e/o falsa applicazione di una norma di legge deve individuare le affermazioni della sentenza gravata che si pongano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione di esse fornita dalla giurisprudenza di legittimità e dalla prevalente dottrina, ma non può, perchè è esterna all’esatta interpretazione della norma, lamentare un’erronea applicazione delle norme di legge attraverso le risultanze di causa – qui rappresentate dal fatto che chiudendo il contatore C.G. aveva arrestato la fuoriuscita d’acqua – perchè ciò inerisce alla tipica valutazione di merito, censurabile, se ne ricorrono i presupposti, solo sotto il profilo motivazionale.

Ricordando che non spetta a questa Corte sindacare se il Giudice d’Appello abbia proposto la migliore ricostruzione possibile dei fatti, dovendo solo verificare se la giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (Cass. 17/06/2009, n. 14098), si rileva che la Corte d’Appello ha ritenuto, con una motivazione, puntellata dai necessari ed opportuni riferimenti di fatto, non solo che non fosse provato il nesso di derivazione causale tra la tubazione verticale esistente nell’appartamento del resistente e l’evento dannoso – gli argomenti spesi dai ricorrenti puntano, invece, a dimostrare o dare per presupposto che la tubazione da cui era partita la infiltrazione fosse proprio quella all’interno dell’appartamento – ma che C.G. non avesse un potere di custodia sulla tubazione da cui, invece, si era diramata la perdita d’acqua. Tali conclusioni sono fondate su plurimi elementi – a) la relazione del tecnico di parte attrice confermata in sede testimoniale che aveva evidenziato che la perdita di acqua non si era verificata all’interno della proprietà di C.G., ma da un tubo che dalla proprietà di quest’ultimo saliva al piano sovrastante e che probabilmente era interna nel pavimento o nei muri della proprietà Sampaolesi; la presenza di effetti della perdita d’acqua visibili soltanto nello spigolo della cucina di C.G. e non in una parte più estesa del locale; dalla ubicazione degli appartamenti, quello danneggiato, quello di C.G. e quello contiguo di F. – e sulla ragionevole confutazione di quelli addotti dagli odierni resistenti – il fatto che dalla tubatura che attraversava verticalmente la cucina di C.G. si diramava la conduttura idrica che serviva l’appartamento di proprietà S.; il fatto che la tubatura interna alla proprietà C. fosse stato tagliato senza che venisse ad interrompersi la fornitura di acqua nel suo appartamento.

Ora, va ricordato che la responsabilità fatta valere, quella ex art. 2051 c.c., secondo la giurisprudenza di questa Corte (sin da Cass., Sez. Un., 11/11/2011, n. 12019) e la dottrina prevalenti, deve ascriversi al novero della responsabilità oggettiva e come tale implica a carico di colui che ne invoca l’applicazione l’onere di provare il rapporto di custodia e il nesso di derivazione causale tra la res custodita e l’evento di danno.

Elemento costitutivo della domanda risarcitoria è, infatti, in primo luogo la ricorrenza della figura del custode, cioè del titolare di una effettiva e non occasionale disponibilità, sia essa materiale che giuridica, della cosa, in grado di controllarla (anche) in relazione al grado di rischio che su di essa potrebbe incombere, quindi la relazione di custodia, ed il nesso di causa tra la cosa custodita ed il danno lamentato.

Tutti gli elementi costitutivi della domanda risarcitoria proposta sono stati ritenuti sforniti di prova – l’infiltrazione non proveniva dalla tubatura presente all’interno dell’appartamento di C.G., ma da quello sovrastante, su cui non poteva avere alcuna relazione di custodia – perciò alla Corte d’Appello non restava che rigettare l’istanza.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti censurano la sentenza gravata per violazione e falsa applicazione dell’art. 2053 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver il Giudice a quo ritenuto, diversamente da quello di prime cure, non invocabile la responsabilità di cui all’art. 2053 c.c., per il fatto non dimostrato e sopravvenuto che il taglio della conduttura verticale che dall’appartamento dell’appellante saliva al piano superiore non aveva privato l’appartamento del servizio idrico e ciò dimostrava che la tubazione non era utilizzata o non era più utilizzata dall’appellante.

La tesi sostenuta è che il giudice a quo abbia invertito l’onere della prova, ponendo a loro carico quello di provare chi fosse il proprietario del preciso punto della tubazione da cui aveva avuto origine il guasto.

2.1. Il motivo è inammissibile.

La giurisprudenza di questa Corte è orientata a ritenere che l’art. 2053 c.c., rappresenti un’ipotesi di responsabilità oggettiva – il cui carattere di specialità rispetto a quella di cui all’art. 2051 c.c., deriva dal fatto che essa è posta a carico del proprietario o di altro titolare di diritto reale di godimento, in altri termini il “responsabile” deve essere individuato in base al criterio formale del titolo, non bastando che egli abbia un potere d’uso sulla res che cagiona il danno – la quale può essere esclusa solamente dalla dimostrazione che i danni provocati dalla rovina dell’edificio non debbono ricondursi a vizi di costruzione o difetto di manutenzione, bensì ad un fatto dotato di efficacia causale autonoma, comprensivo del fatto del terzo o del danneggiato, anche se tale fatto esterno non presenta i caratteri della imprevedibilità ed inevitabilità. (Cass. 03/08/2005, n. 16231; Cass. 06/05/2008, n. 11053).

Nel caso di specie, la Corte territoriale ha ritenuto indimostrato che la tubazione che aveva provocato la infiltrazione lamentata fosse di proprietà di C.G. e l’onere di tale prova incombeva sul soggetto asseritamente danneggiato.

3. Con il terzo motivo i ricorrenti imputano al giudice a quo la violazione e falsa applicazione dell’art. 1117 c.c., comma 1, n. 3, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Ad avviso dei ricorrenti, oltre ad aver ritenuto vera una circostanza non provata, cioè che la conduttura da cui era derivata la fuoriuscita di acqua fosse ubicata nell’appartamento sovrastante quello del resistente, stante l’impossibilità di eseguire un sopralluogo all’interno di tale immobile, la sentenza gravata, quando ha ritenuto che l’appellante non avesse alcun potere di controllo e di custodia di una conduttura interna all’altrui proprietà, avrebbe violato la norma indicata in epigrafe, nella parte in cui attribuisce la proprietà esclusiva della tubatura idrica all’unità abitativa che se ne serve anche se essa attraversi altre parti comuni dello stabile, atteso che la presunzione di comproprietà opera con riferimento alla parte dell’impianto che rimane fuori dei singoli appartamenti e non relativamente alle condutture che si addentrano negli appartamenti e che sono di proprietà esclusiva dei titolari di essi.

Del resto, lo stesso appellante aveva dichiarato che l’impianto idrico serviva due appartamenti, il proprio e quello sovrastante, e che all’epoca dei fatti vi era un unico contatore ed anche se tale circostanza era stata contestata, diversamente da quanto ritenuto dal giudice a quo, essa non escludeva affatto il potere di governo sulla tubazione da parte dell’appellante, il quale, al fine di escludere la propria responsabilità esclusiva o solidale, avrebbe semmai potuto avvalersi della facoltà di chiamare in giudizio la ditta S., all’epoca dei fatti proprietaria dell’appartamento sovrastante, nel quale erano stati eseguiti alcuni lavori di ristrutturazione; non avendolo fatto, era tenuto ad assumersi la responsabilità della propria scelta processuale.

Va, in primo luogo, rilevato che quella dedotta è una questione giuridica che presenta i caratteri della novità, non risultando trattata in alcun modo nella sentenza impugnata nè indicata nelle conclusioni degli appellati. Costituisce ius receptum che, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, chi la propone ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale scritto difensivo o atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa.

Quand’anche la censura potesse essere esaminata, va preso atto che l’orientamento citato dai ricorrenti, secondo cui “il criterio distintivo tra parti comuni e parti esclusive del condominio è dato solo dalla loro destinazione, così che il condotto di acque è di proprietà esclusiva, indipendentemente dalla sua ubicazione, per la parte in cui direttamente afferisce al servizio del singolo e comune in tutta la restante porzione, in cui ad esso si innestano uno o più altri canali a servizio di altri condomini” (Cass. 2151/1964), è coerente con quello seguito dalla Corte d’Appello che ha fondato la sua statuizione proprio sul fatto che la parte di tubazione all’interno dell’appartamento di C.G. non fosse utilizzata o comunque all’epoca dei fatti non fosse più utilizzata da quest’ultimo, servendo evidentemente per portare acqua all’interno dell’appartamento di proprietà Campolesi, prima che, come confermato in sede di accertamento tecnico preventivo, con la ristrutturazione si creassero nuove linee e condutture idriche: tant’è che, pur essendo il contatore unico la sua chiusura da parte di C.G. aveva interrotto l’infiltrazione d’acqua all’interno dell’appartamento degli odierni ricorrenti, ma non gli aveva impedito di avere l’acqua all’interno del suo appartamento.

4. Con il quarto motivo i ricorrenti rilevano la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per: a) omessa motivazione circa la non rilevanza della chiusura del contatore da parte dell’appellante, pur essendo un fatto decisivo al fine di stabilire chi avesse il potere di controllo della tubatura; b) per contraddittorietà, data l’indecifrabilità del passaggio motivazionale nel quale il giudice a quo aveva attribuito rilievo all’ubicazione dell’appartamento dell’appellante rispetto a quello di proprietà di F., collocato al di sopra di quello degli odierni ricorrenti, pur essendo emerso dalla CTU che il soffitto della cucina dell’appartamento degli odierni ricorrenti rappresenta il suolo di calpestio dell’appartamento dell’appellante; c) per il mancato rilievo attribuito al taglio della tubazione, per il quale l’appellante aveva prestato il proprio consenso, a dimostrazione del fatto che ne aveva non solo il potere di custodia, ma anche la proprietà, non bastando ad escludere nè l’uno nè l’altra l’ipotesi avanzata dal CTP che il tubo presente nella proprietà dell’appellante si internasse probabilmente nel pavimento o nei muri della proprietà sovrastante.

4.1. La sentenza impugnata non merita le censure formulate. Non solo tutte le circostanze addotte sono state prese in considerazione dalla Corte territoriale, benchè deducendone conseguenze diverse da quelle pretese dai ricorrenti, ma sotto il profilo motivazionale la sentenza può essere censurata se la motivazione manchi del tutto ovvero nell’ipotesi in cui la parte motivazionale si estrinsechi in argomentazioni inidonee a rilevare la ratio decidendi o in affermazioni tra di loro logicamente inconciliabili o incomprensibili. Non è questo il caso, visto che la decisione dà conto dei motivi di diritto su cui si basa, consente la comprensione delle ragioni poste a suo fondamento, evidenzia gli elementi di fatto considerati, non impedisce di cogliere il percorso logico-giuridico seguito per la formazione del convincimento del giudicante.

5. Ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

6. Nulla deve essere liquidato per le spese del presente giudizio di legittimità, non avendo il resistente svolto attività difensiva.

7. Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla liquida per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 24 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2020

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