Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9689 del 14/04/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 14/04/2017, (ud. 16/02/2017, dep.14/04/2017),  n. 9689

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16711-2012 proposto da:

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE UNIVERSITA’ E RICERCA C.F. (OMISSIS), in

persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso i cui uffici domicilia

in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12;

– ricorrente –

contro

B.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, SALITA

DI SAN NICOLA DA TOLENTINO 1/B, presso lo studio dell’avvocato

DOMENICO NASO, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1374/2011 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 17/07/2012 R.G.N. 1967/09.

Fatto

RILEVATO

che la Corte di Appello di Milano ha respinto l’impugnazione proposta dal Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca avverso la sentenza del locale Tribunale, che aveva dichiarato il diritto di B.A., assunta con contratti a tempo determinato per lo svolgimento di mansioni di assistente amministrativo, a vedersi riconoscere l’anzianità di servizio ai fini della quantificazione del trattamento retributivo ed aveva pronunciato condanna generica del Ministero al pagamento delle differenze retributive conseguenti al mancato computo dei periodi di servizio, oltre accessori;

che la Corte territoriale ha premesso che gli assunti a tempo determinato del comparto scuola non beneficiano della progressione stipendiale, legata alla anzianità di servizio, riconosciuta al personale di ruolo ed ha ritenuto la disparità di trattamento non giustificata e non conforme al principio di non discriminazione sancito dalla clausola 4 dell’Accordo quadro, trasfuso nella Direttiva 99/70/CE del 28 giugno 1999 e recepito nel nostro ordinamento dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 6; ha richiamato la giurisprudenza della Corte di Giustizia per sottolineare il carattere incondizionato e preciso della clausola, di diretta applicazione nelle controversie nelle quali sia parte, in qualità di datore di lavoro, lo Stato; ha precisato che l’anzianità di servizio, ove destinata ad incidere sul trattamento retributivo, rientra fra le condizioni di impiego, in relazione alle quali non è consentita la discriminazione rispetto al lavoratore a tempo indeterminato comparabile;

che la Corte di appello ha ritenuto infondata anche l’eccezione di prescrizione del diritto agli incrementi retributivi, osservando che deve trovare applicazione il termine decennale e non quello quinquennale, indicato dall’Amministrazione; che, comunque, la prescrizione non poteva decorrere in costanza di rapporto, in quanto il contratto a termine non garantisce la stabilità richiesta dalla sentenza n. 63/1966 della Corte Costituzionale; che, in ogni caso, il termine di prescrizione del diritto, decorrente dal novembre 2004, era stato interrotto in data 6 marzo 2009;

che per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca sulla base di due motivi. L’intimata ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che il ricorso denuncia, con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 6; violazione del D.L. n. 70 del 2011, art. 9, comma 18 come convertito dalla L. n. 106 del 2011; violazione della L. 11 luglio 1980, n. 312, art. 53 e della L. 3 maggio 1999, n. 124, art. 4; violazione della direttiva 99/70/CE”. Sostiene, in sintesi, il Ministero ricorrente che le supplenze stipulate per garantire la continuità del servizio scolastico ed educativo sulla base della normativa di settore non viola la direttiva comunitaria, che ha come finalità solo quella di coniugare le esigenze di flessibilità del lavoro e di sicurezza dei lavoratori, per cui attribuisce rilievo alle esigenze di specifici settori, che giustificano il ricorso alla tipologia contrattuale e le differenziazioni fra lavoratori a tempo determinato ed indeterminato;

che il ricorso denuncia, con il secondo (subordinato) motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, “violazione dell’art. 2947 c.c. e dell’art. 2948 c.c., n. 4” per avere la Corte di appello ritenuto applicabile il termine di prescrizione decennale in luogo di quello quinquennale previsto per i crediti retributivi ed esteso l’efficacia sospensiva a cause diverse da quelle tassativamente previste dagli artt. 2941 e 2942 c.c.;

che il primo motivo nella parte in cui insiste sulla legittimità dei contratti a termine, sulla specialità del sistema di reclutamento scolastico, sulla esistenza di ragioni oggettive legate alla necessità di assicurare la continuità didattica, sovrappone e confonde il principio di non discriminazione, previsto dalla clausola 4 dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato (concluso il 18 marzo 1999 fra le organizzazioni intercategoriali a carattere generale – CES, CEEP e UNICE – e recepito dalla Direttiva 99/70/CE), con il divieto di abusare della reiterazione del contratto a termine, oggetto della disciplina dettata dalla clausola 5 dello stesso Accordo;

che il primo motivo è inammissibile altresì nella parte in cui denuncia la violazione della L. n. 312 del 1980, art. 53 atteso che la sentenza impugnata ha confermato il riconoscimento del diritto all’adeguamento della retribuzione tenendo conto dell’anzianità maturata nello svolgimento dei rapporti di lavoro a termine, mentre esula dall’oggetto della domanda, quale accolta dai giudici di merito, il diritto a percepire gli scatti biennali previsti dall’art. 53 cit.;

che, per il resto, il primo motivo è infondato, in quanto la sentenza impugnata, nel riconoscere l’anzianità di servizio ai fini retributivi, si pone in linea con il principio di diritto recentemente affermato da questa Corte con le sentenze nn. 22558 e 23868 del 2016, con le quali si è statuito che “nel settore scolastico, la clausola 4 dell’Accordo quadro sul rapporto a tempo determinato recepito dalla direttiva n. 1999/70/CE, di diretta applicazione, impone di riconoscere la anzianità di servizio maturata al personale del comparto scuola assunto con contratti a termine, ai fini della attribuzione della medesima progressione stipendiale prevista per i dipendenti a tempo indeterminato dai c.c.n.l. succedutisi nel tempo, sicchè vanno disapplicate le disposizioni dei richiamati c.c.n.l. che, prescindendo dalla anzianità maturata, commisurano in ogni caso la retribuzione degli assunti a tempo determinato al trattamento economico iniziale previsto per i dipendenti a tempo indeterminato”;

che a dette conclusioni la Corte è pervenuta valorizzando i principi affermati dalla Corte di Giustizia quanto alla interpretazione della clausola 4 dell’Accordo Quadro ed evidenziando che l’obbligo posto a carico degli Stati membri di assicurare al lavoratore a tempo determinato “condizioni di impiego” che non siano meno favorevoli rispetto a quelle riservate all’assunto a tempo indeterminato “comparabile”, sussiste a prescindere dalla legittimità del termine apposto al contratto;

che il ricorso del MIUR non prospetta argomenti che possano indurre a disattendere detto orientamento, al quale va data continuità, poichè le ragioni indicate a fondamento del principio affermato, da intendersi qui richiamate ex art. 118 disp. att. c.p.c., sono integralmente condivise dal Collegio;

che il secondo motivo, con cui si censura il capo della sentenza relativo al rigetto dell’eccezione di prescrizione, è inammissibile innanzitutto per difetto di specificità rispetto al decisum, in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, atteso che la Corte di appello, pur ritenendo applicabile il termine decennale, ha osservato che anche nell’ipotesi di operatività del termine quinquennale, il decorso della prescrizione era stato interrotto prima del suo compimento e, a fronte di tale precisa motivazione, l’attuale ricorrente per cassazione, denunciando error in iudicando, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, non indica neppure quali sarebbero le affermazioni della sentenza di appello in contrasto con norme di legge;

che, in conclusione, il ricorso va respinto;

che la novità della questione giustifica la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 16 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2017

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