Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9688 del 26/05/2020

Cassazione civile sez. III, 26/05/2020, (ud. 21/01/2020, dep. 26/05/2020), n.9688

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 502/2017 proposto da:

F.L., P.T., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA DEGLI SCIPIONI 132, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO

CIGLIANO, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

UNICREDIT SPA, e per essa quale sua mandataria DOBANK SPA, in persona

del Dott. MA.RO., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DEGLI SCIPIONI 268/A, presso lo studio dell’avvocato MARCO FILESI,

rappresentata e difesa dall’avvocato LUCA PATALINI;

– controricorrente –

e contro

M.L., G.M., A.O., BANCA NAZIONALE

DEL LAVORO SPA, CASSA DI RISPARMIO DI FIRENZE SPA,

S.M.A., D.R.F., D.B.Z.M.T., BANCA

APULIA SPA, GRILLIGRAF SRL, ELETTRICA 2000 SNC, BANCA DI PERUGIA

CREDITO COOPERATIVO, UNIPOL BANCA SPA, EQUITALIA SERVIZI DI

RISCOSSIONE SPA (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 309/2016 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 23/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/01/2020 dal Consigliere Dott. PAOLO PORRECA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI Anna Maria, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ROBERTO CIGLIANO, per delega orale; udito l’Avvocato

GIANNI SAVERIO, anche per delega dell’Avvocato Patalini.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che:

F.L. e P.T. introducevano il giudizio di merito all’esito della fase sommaria di un’opposizione all’esecuzione immobiliare promossa nei loro confronti dagli odierni intimati;

nella fase sommaria il Tribunale aveva rigettato la domanda di sospensione dell’esecuzione, motivata, quest’ultima, deducendo l’impignorabilità del compendio staggito in ragione della sussistenza di un fondo patrimoniale;

nel giudizio di merito il giudice di primo grado rigettava la domanda in quanto formulata nel senso di voler dichiarare l’illegittimità dell’ordinanza di rigetto della sospensione, osservando che l’impugnativa in parola avrebbe dovuto esser fatta tempestivamente valere con lo strumento del reclamo;

aggiungeva il Tribunale, secondo quanto risulta compiutamente dalla relativa sentenza, che la domanda era comunque infondata, posto che il fondo in parola era inopponibile ai creditori, essendo stato annotato a margine dell’atto di matrimonio in data successiva all’iscrizione dell’ipoteca giudiziale fatta valere e alla trascrizione del pignoramento;

la Corte di appello rigettava quest’ultimo, ribadendo che la domanda svolta era stata quella diretta a ottenere la riforma del diniego di sospensiva;

avverso questa decisione hanno proposto ricorso per cassazione F.L. e P.T. formulando tre motivi;

resistono con controricorso Intesa San Paolo s.p.a., e DoBank, s.p.a., quale mandataria di Unicredit, s.p.a.;

Rilevato che:

con il primo motivo di ricorso si prospetta la violazione o falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, perchè la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare come la domanda, introducendo il giudizio di merito all’esito della fase sommaria dell’opposizione all’esecuzione, avrebbe necessariamente dovuto interpretarsi, avuto riguardo al complesso della citazione, nei termini della deduzione dell’impignorabilità dei beni per la sussistenza del fondo patrimoniale;

con il secondo motivo si prospetta la violazione o falsa applicazione degli artt. 115,624,616, c.p.c., poichè la Corte di appello avrebbe errato affermando apoditticamente che l’ordinanza di rigetto della sospensiva avrebbe dovuto essere oggetto d’impugnazione mediante reclamo, mentre la stessa fissava termine per l’introduzione del giudizio di merito;

con il terzo motivo si prospetta la violazione dell’art. 170 c.p.c., poichè la Corte di appello avrebbe errato omettendo di considerare che i creditori opposti non avevano diritto di procedere all’esecuzione forzata poichè si trattava di crediti contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia;

Rilevato che:

i primi due motivi, da esaminare congiuntamente per connessione, sono inammissibili, con assorbimento del terzo;

questa Corte ha chiarito che nel giudizio di legittimità va tenuta distinta l’ipotesi in cui si lamenti l’omesso esame di una domanda da quella in cui si censuri l’interpretazione che ne ha dato il giudice del merito: nel primo caso, si verte in tema di violazione dell’art. 112 c.p.c. e si pone un problema di natura processuale, per la soluzione del quale questa Corte ha il potere e dovere di procedere all’esame diretto degli atti in modo da acquisire gli elementi di giudizio necessari ai fini della pronuncia richiesta, ferma la valutazione dell’ammissibilità del gravame di legittimità secondo i canonici parametri (Cass., 13/03/2018, n. 6014); nel secondo caso, invece, poichè l’interpretazione della domanda e l’individuazione del suo contenuto integrano un tipico accertamento di fatto riservato, come tale, al giudice del merito, in sede di legittimità può solo essere effettuato, quando dedotto, il controllo della correttezza della motivazione che sorregge sul punto la decisione impugnata (Cass., 21/12/2017, n. 30684);

nel caso, i ricorrenti hanno esplicitamente dedotto la violazione dei canoni d’interpretazione negoziale, affermandone l’applicabilità agli atti processuali (pag. 13 del ricorso);

al contrario, ai fini dell’interpretazione delle domande giudiziali non sono utilizzabili le norme sull’interpretazione del contratto, in quanto, rispetto alle attività giudiziali, non si pone una questione d’individuazione della comune intenzione delle parti, e la stessa soggettiva intenzione della parte rileva solo nei limiti in cui sia stata esplicitata in modo tale da consentire alla controparte di cogliere l’effettivo contenuto dell’atto e di poter svolgere un’adeguata difesa (Cass., 09/12/2014, n. 25853, evocata infatti in controricorso dalla difesa della DoBank, pag. 9);

la prima censura, quindi, si confronta con la statuizione impugnata con un parametro inidoneo, e pertanto è inammissibile;

al contempo, la seconda censura evidenzia come motivatamente i giudici di merito hanno interpretato la domanda svolta nel giudizio di pieno merito, pronunciando sulla stessa per come ricostruita, nei termini di una riforma della statuizione negatoria della sospensione, al fine di ottenerla come da conclusioni riportate nei controricorsi a differenza di quanto riscontrabile nel ricorso, con ulteriore profilo d’inammissibilità di quest’ultimo ex art. 366 c.p.c., n. 6;

con tale motivo, infatti, i ricorrenti contestano l’affermazione per cui l’impugnazione dell’ordinanza di rigetto della sospensione avrebbe dovuto proporsi con reclamo (ormai tardivo secondo il Tribunale, per quanto riportato anche in tal caso nel controricorso della DoBank e non nel ricorso), a fronte dell’indicazione del giudice di prima istanza di un termine per l’inizio del giudizio di merito;

per completezza va ricordato che:

– il Tribunale disattese anche con “ratio” ulteriore la richiesta di sospensiva, affermando, come detto in parte narrativa, che l’annotazione del fondo era successiva all’iscrizione dell’ipoteca fatta valere e alla trascrizione del pignoramento: tale motivazione, secondo la giurisprudenza di questa Corte, fu enunciata in difetto di “potestas iudicandi” proprio perchè all’esito di una parimenti rilevata inammissibilità in rito (Cass., Sez. U., 20/02/2007, n. 3840, Cass., 19/12/2017, n. 30393);

– in ogni caso, a tale “ratio” i ricorrenti indicano di aver contrapposto, in citazione, solo “l’irrilevanza del momento della costituzione del fondo patrimoniale, ai fini della sua opponibilità ai creditori, prima o dopo il sorgere del credito” (pag. 8 del ricorso), senza, quindi, neppure specifico confronto con la statuizione;

spese secondo soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile i primi due motivi di ricorso, assorbito il terzo, e condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese processuali dei controricorrenti, liquidate, per ciascuno, in Euro 5.600,00, Euro 200,00 per esborsi, 15 per cento di spese forfettarie e accessori.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte dei ricorrenti in solido, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 21 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2020

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