Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9684 del 22/04/2013


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Civile Sent. Sez. U Num. 9684 Anno 2013
Presidente: PREDEN ROBERTO
Relatore: TRAVAGLINO GIACOMO

Data pubblicazione: 22/04/2013

SENTENZA

sul ricorso 9900-2007 proposto da:
ZANETTI CLAUDIO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
OTRANTO 36, presso lo studio dell’avvocato MASSANO
MARIO, che lo rappresenta e difende unitamente
all’avvocato ZAMPIERI PIERFRANCESCO, per delega a
margine del ricorso;
– ricorrente –

contro

SIMONATO SILVANA, GUERRA SIMONE, GUERRA STEFANIA,
elettivamente domiciliati in ROMA, VIA SIRACUSA 16,
presso lo studio dell’avvocato BENIGNI ARTURO, che li
rappresenta e difende, per delega a margine del
controricorso;
– controricorrenti non chè contro

BRARO S.A. IN LIQUIDAZIONE;
– intimata –

avverso la sentenza n. 1187/2006 della CORTE D’APPELLO
di VENEZIA, depositata il 07/08/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 06/11/2012 dal Consigliere Dott. GIACOMO
TRAVAGLINO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. UMBERTO APICE, che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso.

k

IN FATTO
Insorta una controversia tra Simone Guerra, Stefania Guerra, Silvana
Simionato e Claudio Zanetti – avente ad oggetto il preteso inadempimento
ad un contratto di mandato rilasciato dai primi all’agente Zanetti per il

reperimento, l’acquisto e la vendita di strumenti finanziari – il tribunale di
Venezia, in accoglimento dell’eccezione sollevata dal convenuto, declinò la
propria giurisdizione in favore di quella del giudice svizzero.

prevalente il disposto dell’art. 13.3 della Convenzione di Lugano, dettato in
tema di contratti con consumatori, riformò la sentenza sul presupposto
dell’esistenza della giurisdizione italiana, rinviando la causa al primo
giudice ex art. 353 cp.c.
La sentenza della corte territoriale è stata impugnata da Claudio Zanetti
con ricorso per cassazione sorretto da otto motivi di gravame.
Resistono con controricorso gli attori di prime cure.
IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
1.1. Per i motivi che qui di seguito si esporranno.
2. In premessa, va rilevato come la sentenza oggi impugnata sia stata
emessa nel vigore della novella di cui al D.Igs. n. 40 del 2006, che,
come noto, ha aggiunto all’articolo 360 cod. proc. civ. un (nuovo)
terzo comma, il quale dispone, con riferimento «alle sentenze che
decidono di questioni insorte senza definire, neppure parzialmente,
il giudizio», che «il ricorso per cassazione avverso tali sentenze può
essere proposto, senza necessità di riserva, allorché sia impugnata
la sentenza che definisce, anche parzialmente, il giudizio».
2.1. E’ così “riemersa” la fattispecie della sentenza

interlocutoria

disciplinata dal codice previgente, diversa da quella della sentenza
non definitiva (un tempo, «parziale»), suscettibile, di converso, di
immediata impugnazione.
2.2. Pur consapevole della posizione fortemente critica assunta dalla
dottrina rispetto a tale riesumazione legislativa (critica fondata, tra
l’altro, sul rilievo che le decisioni interlocutorie di questo tipo
implicano in ogni caso una soccombenza, tanto che la medesima
soluzione non è stata estesa, poco coerentemente, all’appello), e

La Corte di appello lagunare, con sentenza dell’agosto del 2006, ritenendo

altrettanto consapevole della indiscutibile asimmetria sistemica
della norma, la giurisprudenza di questa Corte, nondimeno vigile
sulle dichiarate esigenze di deflazione e di appropriato
dimensionamento nornofilattico del ricorso per cassazione,
interpreterà la disposizione nel senso che il legislatore delegato ha
introdotto la distinzione tra le sentenze non definitive su questioni
all’impugnazione

necessariamente differita e le
domanda (o parziali)

per

cassazione

sentenze non definitive su

destinate invece all’impugnazione per

cassazione immediata ovvero, in alternativa, all’impugnazione
differita con riserva di ricorso, ex art. 361 cod. proc. civ. (in
termini, Cass. sez. un. 22 febbraio 2012, n. 2575; 20 giugno 2012
n. 10136), e ciò al fine “di razionalizzazione e semplificazione del
sistema, che si iscrive nella finalità di evitare il proliferare di
sub/procedimenti” (così, in motivazione, Cass. sez. un. 25
novembre 2010, n. 23891, ove si legge ancora che, in applicazione
del terzo comma dell’art. 360 cod. proc. civ., come modificato
dall’art. 2 del d.lgs. n. 40 del 2006, le sentenze emesse in grado di
appello, o in unico grado da un giudice speciale, possono essere
impugnate con ricorso per cassazione per motivi attinenti alla
giurisdizione del giudice stesso solo nell’ipotesi in cui il detto
giudice speciale abbia affermato la propria giurisdizione ed abbia
definito, sia pure parzialmente, il giudizio).
2.3. Il rimedio impugnatorio della sentenza, pronunciata in grado di
appello o in unico grado, con la quale il giudice afferma la propria
giurisdizione senza definire neppure parzialmente il giudizio, non
è, dunque, quello del ricorso immediato per cassazione – che, ove
proposto, deve essere dichiarato inammissibile – bensì quello,
generale, risultante dal combinato disposto dell’art. 360 cod. proc.
civ., comma terzo, e dell’art. 361 cod. proc. civ., comma primo: in
tal senso verrà così rimeditato e superato l’orientamento che, già
nella vigenza della nuova normativa, aveva condotto le stesse
sezioni unite, con l’ordinanza 15 gennaio 2010 n. 520, a cassare la
sentenza pronunciata in grado di appello dalla Corte dei conti affermativa della propria giurisdizione e dichiarativa di quella del

2

assoggettandole

giudice ordinario – ritenendo sia pur implicitamente di dover
applicare, “in autonomia”, la disposizione dettata dall’art. 362 cod.
proc. civ., comma primo, secondo cui «possono essere impugnate
con ricorso per cassazione, nel termine di cui all’art. 325, secondo
comma, le decisioni in grado di appello o in unico grado di un
giudice speciale per motivi attinenti alla giurisdizione del giudice
stesso».

condiviso, atteso che l’art. 362 cod. proc. civ., comma primo,
andava pur sempre interpretato alla luce della nuova disposizione
dettata dall’art. 360 cod. proc. civ., comma terzo, contenente una
indicazione unificante di carattere generale concernente la
disciplina del processo di cassazione –

così riaffermandosi il

principio già predicato con la sentenza n. 5456 del 2009, secondo
cui le decisioni [non definitive] in grado di appello o in unico grado
di un giudice speciale per motivi attinenti alla giurisdizione del
giudice stesso possono essere impugnate per cassazione solo
nell’ipotesi in cui il detto giudice speciale abbia affermato la
propria giurisdizione ed abbia anche definito, sia pur parzialmente,
il giudizio.
2.5. La nuova norma, pertanto, non poteva, a giudizio di questa Corte,
essere oggetto di interpretazioni implicitamente limitative della sua
vis precettiva e della sua stessa

ratio ispiratrice, attesane la

portata generale, l’assenza di deroghe, la significativa collocazione
nell’articolo introduttivo della disciplina del processo per
cassazione, destinato a regolare in via generale la disciplina di
(tutte) le decisioni impugnabili. Non senza osservare,

ad

colorandum, come la disposizione in parola evochi apertamente
quanto previsto, nei rapporti con il giudizio arbitrale, dall’art. 827,
secondo comma, cod. proc. civ., a conferma della sua indiscutibile
valenza “di sistema”.
3. Poste tali premesse, il collegio è chiamato a verificare se esistano
motivi per disapplicare tale

regula iuris

in ambito di diritto

internazionale privato, in specie comunitario.

3

2.4. Si osservò, difatti, che tale orientamento non potesse essere

4.

Sul piano del diritto sostanziale, come è stato osservato anche di
recente in dottrina, il diritto internazionale privato si sviluppa,
storicamente, allo scopo di offrire soluzione a controversie
transnazionali caratterizzate da elementi di estraneità – rispetto alla
natura “nazionale” delle controversie -, che presentano punti di
contatto con plurimi Stati, i quali hanno norme, di “merito” tanto di
rito, naturalmente differenti. Pertanto, la tendenziale omogeneità delle

richiesta) per l’adozione di norme nazionali di diritto internazionale
privato, e si è piuttosto andata formando, quantomeno in alcuni
settori, attraverso convenzioni e leggi/modello.
5.

Diverso, almeno in parte, appare il versante processuale
(comunitario), posto che, se per un verso le norme “in rito” di diritto
internazionale privato – tipicamente quelle sulla giurisdizione nascono pur sempre per ripartirla e non per uniformare il diritto dei
singoli Stati, per altro verso si assiste ad un progressivo allargamento
delle ipotesi di disciplina processuale uniforme – anche se in tal caso
non si può propriamente parlare di diritto internazional/privatistico come accade in tema di regolamento sulle controversie di modesta
entità o di processo monitorio comunitario (rispettivamente,
regolamento CE n. 861 dell’Il luglio 2007, e regolamento CE n. 1861
del 12 dicembre 2006).

5.1. Sono, in altri termini, radicalmente mutati i parametri normativi
che, proprio sul tema della litispendenza internazionale, indussero
la Corte di giustizia ad affermare che l’art. 21 della Convenzione di
Bruxelles del 1968, concernente la competenza giurisdizionale e
l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, non
permetteva di derogare alle sue disposizioni (impositive della
sospensione del giudizio da parte del secondo giudice in attesa
dell’accertamento della “competenza giurisdizionale” ad opera del
primo), anche qualora (notoriamente) i giudizi (civili) presso lo
Stato preveniente violassero il principio di ragionevole durata (così
la Corte di Giustizia, plenum, 9 dicembre 2003, in causa C116/02). Non senza osservare, per altro verso, come la stessa
giurisprudenza comunitaria abbia reiteratamente affermato che

norme (materiali) nazionali non è mai stata ritenuta necessaria (né

l’oggetto delle norme internazionalprivatistiche «non é quello di
unificare le norme di diritto processuale degli Stati contraenti,
bensì di ripartire le competenze giurisdizionali ai fini della
soluzione di controversie in materia civile e commerciale
nell’ambito delle relazioni intracomunitarie e di facilitare
l’esecuzione delle decisioni giudiziarie» (Corte di giust., 7 giugno
1984, C-129/93; 15 maggio 1990, C-365/88; 7 marzo 1995, C-

5.2. Ulteriore, incontestabile dato di fatto, quello per il quale a tutt’oggi
manca una normativa comunitaria specifica univocamente
destinata, in ipotesi, a derogare, integrandole, le disposizioni
processuali interne in funzione armonizzante nel quadro della
disciplina processuale internazionalprivatistica dell’Unione europea.
In proposito, non è senza significato rammentare che l’art. 24 del
regolamento Bruxelles I (n. 44 del 2001) – sulla competenza
giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in
materia civile e commerciale negli Stati membri dell’Unione
europea – prevede che «oltre che nei casi in cui la sua competenza
risulta da altre disposizioni del presente regolamento, il giudice di
uno Stato membro davanti al quale il convenuto è comparso è
competente. Tale norma non è applicabile se la comparizione
avviene per eccepire l’incompetenza o se esiste un altro giudice
esclusivamente competente ai sensi dell’articolo 22». Se ne evince
che, nella prospettiva comunitaria,

l’eccezione di difetto di

giurisdizione è eccezione “propria”, come tale non rilevabile
d’ufficio, e deve essere sollevata nel primo atto difensivo, anche
qualora per le eccezioni in senso stretto i singoli ordinamenti
processuali nazionali prevedano, come il nostro, uno specifico
limite, nella sequenza procedimentale, alla rilevabilità stessa.
5.3. Il principio può, su di un piano più generale, legittimamente
estendersi anche alla immediata o differita impugnabilità per
cassazione dell’accertamento della giurisdizione del giudice
nazionale nelle fattispecie di diritto internazionale privato
comunitario.

68/93; 6 giugno 2002, C-80/00).

5.4. Non sembra, difatti, e per altro verso, che dalla stessa lettura degli
artt. 19, 22, lettera b), e 24 del regolamento Bruxelles II bis (n.
2201 del 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e
all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia
di responsabilità genitoriale) possano desumersi argomenti a
favore della tesi dell’interpolazione della normativa processuale
interna, tanto più di quella, come visto, a valenza sistematica: in

declinatoria del giudice successivamente adito, sia la verifica
dell’accettazione della decisione da parte del contumace (artt. 1924), scandiscono passaggi processuali rimessi al regime nazionale,
senza spunti che possano far propendere per soluzioni differenti.
6. Questa Corte ritiene, pertanto, che il terzo comma dell’art. 360 cod.
proc. civ. sia applicabile anche alla fattispecie del ricorso in tema di
giurisdizione internazionale, che va dichiarato inammissibile tutte le
volte in cui la corte di appello abbia emesso una sentenza sulla sola
giurisdizione, così rimettendo la causa a primo giudice che,
specularmente, abbia a sua volta declinato la propria, senza che
alcuna decisione di merito, sia pur parziale, sia stata adottata.
L’accertamento della giurisdizione nazionale nella cornice della
litispendenza e circolazione delle decisioni giurisdizionali comunitarie,
nonostante la specifica valenza che questa normativamente assume,
allo stato non appare tale, difatti, da poter indurre a escludere
l’operatività del generale divieto di ricorribilità immediata previsto
dall’art. 360, terzo comma, cod. proc. civ.
La disciplina delle spese – che possono, per la sostanziale novità della
questione, essere in questa sede compensate – segue come da
dispositivo.
P.Q.M.
La corte dichiara inammissibile il ricorso e compensa integralmente le
spese del giudizio di cassazione tra tutte le parti costituite.
Così deciso in Roma, li 6.11.2012

quella materia, difatti, sia l’accertamento della giurisdizione, sia la

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