Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9681 del 26/05/2020

Cassazione civile sez. III, 26/05/2020, (ud. 13/01/2020, dep. 26/05/2020), n.9681

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31365/2018 proposto da:

SPV PROJECT 1505 SRL, in persona dell’amministratore unico e legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DI SAN VALENTINO, 21, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO

CARBONETTI, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE DI COSENZA, in persona del Direttore

Generale in carica e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE TIZIANO, 3, presso lo

studio dell’avvocato GIOVANNI DORIA, rappresentato e difeso

dall’avvocato GIAMPAOLO RAIA;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1243/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 19/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/01/2020 dal Consigliere Dott.ssa Antonietta SCRIMA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza propose opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 265/13, emesso dal Tribunale di Cosenza, con il quale le era stato ingiunto di pagare, in favore della Casa di cura Clinalco S.r.l., la somma di Euro 2.297.081,13 (2.296.081,13, oltre interessi ex D.Lgs. n. 231/201, dalla maturazione del credito) a titolo di pagamento di differenze tariffarie dovute per l’anno 1995 per l’erogazione di prestazioni di assistenza ospedaliera per le tipologie accreditate, a seguito della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Calabria, sezione distaccata di Reggio Calabria, del 12 febbraio 2002, che aveva annullato le Delib. Giunta Regionale n. 691 del 1995 e Delib. Giunta Regionale n. 1685 del 1995 e aveva, contestualmente, riconosciuto l’applicabilità delle tariffe ministeriali di cui al D.M. 14 dicembre 1994, al 100% per le prestazioni rese nel corso dell’intero anno 1995.

L’opposta di costituì, chiedendo il rigetto dell’opposizione.

Con memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1, l’ASP eccepì che le somme richieste non erano dovute per effetto del “protocollo di intesa” stipulato nel 1999 tra la Casa di Cura Clinalco S.r.l. e l’ASP di Rossano (poi incoorporata nell’ASP di Cosenza v. ricorso p. 36) con il quale le parti avevano transatto ogni somma spettante a qualsiasi titolo per gli anni 1995/1998, prevedendo, altresì, la corresponsione delle somme dovute per l’anno 1999, ed evidenziò che parte opposta aveva sottoscritto di non aver null’altro a pretendere per gli anni relativi alla transazione, tra cui anche il 1995.

Il Tribunale di Cosenza, con sentenza del 5 dicembre 2015, disattesa l’eccezione di difetto di giurisdizione, pure proposta, e ritenuto che la transazione stipulata precludesse la proponibilità di ogni ulteriore richiesta economica in relazione alle prestazioni effettuate nell’anno 1995, accolse l’opposizione e, per l’effetto, revocò l’opposto decreto ingiuntivo; rigettò, quindi, la domanda proposta dalla Casa di Cura Clinalco S.r.l. e condannò quest’ultima al pagamento, in favore della controparte, delle spese del giudizio.

Avverso tale sentenza, propose appello la SPV PROJECT 1505 S.r.l., assumendo di essere successore a titolo particolare del diritto controverso, ex art. 111 c.p.c., u.c..

Sul punto rappresentò che: 1) con atto pubblico del 17 dicembre 2012 la Clinalco Gestioni Clinico Alberghiere Costruzioni Sibari S.r.l., in liquidazione, aveva ceduto alla Ergon S.r.l. “tutti i diritti maturati dalla cedente nei confronti della Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza per prestazioni rese fino alla data del 31.12.2001 e quindi in data anteriore al giorno 1.1.2002”, e, dunque, anche i diritti per le prestazioni rese nell’anno 1995; 2) con vari contratti di cessione di crediti individuabili in blocco ai sensi del combinato disposto della L. n. 130 del 1999, artt. 1 e 4 e dell’art. 58 del T.U.B., l’appellante aveva acquistato, in blocco e pro soluto, da varie società operanti nel settore sanitario crediti da queste ultime vantato; 3) in particolare, con contratto stipulato in data 7 maggio 2015, per notaio P. di (OMISSIS), tra i crediti ceduti pro soluto in favore dell’appellante era ricompreso quello vantato da Ergon S.r.l., poi in liquidazione, nei confronti della ASP di Cosenza e di cui alla fattura Ergon n. (OMISSIS), per un credito complessivo di Euro 2.296.081,13; di tale avvenuta cessione di crediti in blocco pro soluto, di cui al citato contratto del 7 maggio 2015 era stata data pubblicità legale mediante avviso pubblicato sulla G.U. del 2 luglio 2015.

L’appellante denunciò, altresì, un’erronea interpretazione parte del Tribunale – della transazione già richiamata.

L’Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza, nel costituirsi in secondo grado, eccepì preliminarmente l’assenza di prova in relazione alla titolarità, in capo all’appellante, del credito azionato; dedusse, inoltre, che, perchè le cessioni relative a somme dovute allo Stato, fossero efficaci nei confronti del debitore ceduto P.A., il relativo atto di cessione avrebbe dovuto essere notificato, R.D. 18 novembre 1923, n. 2240, ex art. 69, all’Amministrazione centrale ovvero all’ente, ufficio o funzionario cui spettava di ordinare il pagamento e sarebbe dovuta risultare da atto pubblico o scrittura autenticata, come previsto dall’art. 1264 c.c.; nel merito resistette all’impugnazione e ne chiese il rigetto.

La Corte di appello di Catanzaro, con sentenza pubblicata il 19 giugno 2018, dichiarò l’appello inammissibile, condannò l’appellante alle spese del grado e diede atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dell’appellante, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

Avverso la sentenza della Corte di merito SPV PROJECT 1505 S.r.l. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.

Ha resistito con controricorso l’Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza.

Per la ricorrente è stata depositata comparsa di costituzione di nuovo difensore.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Rileva preliminarmente questa Corte che la ricorrente non ha, come invece prescritto dall’art. 369 c.p.c., depositato la copia autentica con la relata di notifica della sentenza impugnata, pubblicata il 19 giugno 2018, che la stessa SPV PROJECT 1505 S.r.l. ha indicato in ricorso essere stata notificata in data 31 agosto 2018 a mezzo pec (vedi elenco atti depositati contestualmente al ricorso, in calce a tale atto, in cui è indicata la sola copia autentica della sentenza e nota di deposito in cancelleria), nè a tanto ha provveduto la controricorrente.

2.1. Peraltro, il mancato deposito, a cura della ricorrente, nel termine – previsto a pena di improcedibilità – di cui all’art. 369 c.p.c., della copia autentica della sentenza impugnata corredata della relata di notifica, è rilevante nella specie, atteso che il ricorso risulta essere stato notificato a mezzo pec in data 29 ottobre 2018, quindi oltre il termine di sessanta giorni dalla pubblicazione della sentenza impugnata (18 settembre 2018, martedì), con esito negativo della cd. prova di resistenza, nè tale vizio, rilevabile d’ufficio, è sanabile dalla non contestazione da parte della controricorrente lnè dalla circostanza che quest’ultima ha indicato la data di avvenuta notifica della decisione impugnata.

2.2. Osserva il Collegio che, con la sentenza del 2 maggio 2017, n. 10648, le Sezioni Unite hanno ribadito che l’art. 369 c.p.c., non consente di distinguere tra deposito della sentenza impugnata e deposito della relazione di notificazione, con la conseguenza che anche la mancanza di uno solo dei due documenti determina l’improcedibilità che l’improcedibilità può essere evitata se il deposito del documento mancante avviene in un momento successivo, purchè entro il termine di venti giorni dalla notifica del ricorso per cassazione, che l’improcedibilità non può, invece, essere evitata qualora il deposito avvenga oltre detto termine e che, al contrario, l’improcedibilità non sussiste quando il ricorso per cassazione risulta notificato prima della scadenza dei sessanta giorni dalla pubblicazione della sentenza e, quindi, nel rispetto del termine breve per l’impugnazione, perchè in tal caso perde rilievo la data della notifica del provvedimento impugnato (Cass. 10/07/2013, n. 17066) e, pertanto, non risulta necessario il deposito della relazione di notificazione della sentenza impugnata, dovendo, in ogni caso, essere però depositata la copia autentica della sentenza impugnata.

2.3. Con la già richiamata pronuncia delle SS.UU. del 2 maggio 2017, n. 10648, questa Corte ha pure affermato che, in tema di giudizio di cassazione, deve escludersi la possibilità di applicazione della sanzione della improcedibilità, ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, al ricorso contro una sentenza notificata di cui il ricorrente non abbia depositato, unitamente al ricorso, la relata di notifica, ove quest’ultima risulti comunque nella disponibilità del giudice perchè prodotta dalla parte controricorrente o perchè presente nel fascicolo d’ufficio acquisito su istanza di parte, con la precisazione che tale ultima affermazione deve essere rettamente confinata – come specificato da Cass., ord., 15 settembre 2017, n. 21386 – alle sole limitate ipotesi, diverse da quella all’esame, in cui la decorrenza del termine breve per ricorrere in cassazione sia ricollegata dalla legge alla comunicazione del provvedimento ovvero nelle altre ipotesi in cui la legge preveda che sia la stessa Cancelleria a notificare la sentenza e che tale notificazione sia idonea a far decorrere il termine di cui all’art. 325 c.p.c., in quanto, al di fuori di tali ipotesi eccezionali, trattasi di attività che non avviene su iniziativa dell’ufficio e che interviene in un momento successivo alla definizione del giudizio.

2.4. Nè nella presente controversia può ritenersi che possa spiegare efficacia, in relazione al rilievo dell’improcedibilità, quanto precisato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 8312 del 25/03//2019.

Tale decisione, riferita alla specifica ipotesi in cui la sentenza impugnata sia stata notificata a mezzo PEC, ha, infatti, avuto modo di precisare alla pag. 42, sub 2) che, ai fini della procedibilità del ricorso, si palesa comunque necessario il tempestivo deposito della copia della relata della notificazione telematica e del corrispondente messaggio pec con annesse ricevute, ancorchè prive di attestazione di conformità del difensore oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, posto che solo in tal caso è dato al ricorrente provvedere al deposito sino all’udienza dell’attestazione di conformità del messaggi cartacei.

Deve, quindi, reputarsi che il ricorso resti improcedibile qualora, come nel caso all’esame, pur essendo stata depositata copia autentica della sentenza, che però si assume essere stata notificata, non siano stati tempestivamente depositati nel termine dell’art. 369 c.p.c., anche i detti messaggi pec con annesse ricevute, ancorchè in difetto di attestazione di conformità degli stessi (Cass., ord., 22/07/2019, n. 19695), nè a tale deposito risulta aver provveduto la controricorrente.

3. Il ricorso va, pertanto, dichiarato improcedibile.

4. E’ appena il caso di aggiungere che, ove lo scrutinio dei motivi proposti fosse stato possibile, il suo esito sarebbe stato comunque negativo per la ricorrente in base ai rilievi che seguono.

4.1. Il primo motivo è così rubricato: “Violazione e falsa applicazione di legge in relazione al R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, art. 69 (art. 360 c.p.c., n. 3)”.

Con tale mezzo la ricorrente censura la sentenza impugnata per aver la Corte di merito ritenuto che le allegazioni dell’appellante e la documentazione dalla medesima prodotta non fossero sufficienti a dimostrare che quest’ultima fosse subentrata nella titolarità del credito azionato in giudizio, non avendo la parte appellante, come pure opposto dall’appellata, prodotto i contratti di cessione del credito oggetto di causa e dato prova della loro notifica all’ASP di Cosenza quale debitore ceduto, ai sensi dell’art. 1264 c.c. e R.D. n. 2240 del 1923, art. 69. Ad avviso della ricorrente, la predetta Corte sarebbe incorsa in violazione e falsa applicazione dell’art. 69 appena richiamato in quanto avrebbe erroneamente ritenuto tale norma applicabile al caso all’esame, mentre essa sarebbe applicabile solo se il credito ceduto sussista verso un’amministrazione qualificabile come statale, sicchè erroneamente la Corte territoriale avrebbe ritenuto che l’atto di cessione dei crediti legittimante la cessionaria SPV PROJECT 1505 S.r.l. ad impugnare la sentenza di secondo grado dovesse essere necessariamente notificato all’ASP ceduta.

4.2. Con il secondo motivo, rubricato “Violazione e falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 1260 e 1264 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3)”, la ricorrente sostiene che l’art. 1260 c.c., sia espressione del principio della libera cedibilità dei crediti e preveda la possibilità di cedere un credito senza il consenso del debitore ceduto.

Secondo la ricorrente il consenso non sarebbe, quindi, necessario e la notifica, l’accettazione o la conoscenza della cessione sarebbero rilevanti solo al fine di escludere l’efficacia liberatoria del pagamento eventualmente effettuato in buona fede dal debitore ceduto al cedente anzichè al cessionario; pertanto, il cessionario sarebbe legittimato a pretendere la prestazione dal debitore ceduto solo se la cessione sia stata a questi notificata o da lui accettata.

Rappresenta la ricorrente che, nella specie, nel corso del giudizio di primo grado, prima dell’emissione della sentenza che lo ha definito (5.12.2015), la Clinalco S.r.l., in data 17 dicembre 2012 aveva ceduto il credito di cui si discute in causa alla Ergon S.r.l. e quest’ultima, a sua volta, aveva trasferito il credito in parola all’attuale ricorrente con un contratto di cessione in blocco dei crediti del 7 maggio 2015.

La Ergon, quindi, non aveva interesse, pendente il giudizio di primo grado, ad agire nei confronti della ASP e non aveva proceduto ad alcuna notifica della cessione nè sarebbe stata tenuta a farlo, essendo suo onere procedervi solo ai fini dell’opponibilità della cessione al debitore ceduto.

A portare a conoscenza del debitore ceduto le vicende modificative del lato attivo del rapporto obbligatorio ceduto era stata, pertanto, la ricorrente con le modalità previste dalla legge per la cessione dei crediti in blocco.

Sulla base di tali argomentazioni la ricorrente sostiene che la Corte di merito, nel richiedere la prova della notifica della cessione da Clinalco S.r.l. ad Ergon S.r.l. nei confronti del debitore ceduto ASP, sarebbe incorsa nella violazione degli artt. 1260 e 1264 c.c., avendo agito nei confronti di quest’ultimo l’attuale ricorrente, nella qualità di cessionaria del credito, e non la sua dante causa.

4.3. Con il terzo motivo, rubricato “Violazione e falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 58 e art. 2697 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3)”, la ricorrente sostiene che la Corte di merito, nel ritenere necessaria la prova, da parte dell’appellante, del contratto di cessione e, quindi, del relativo contenuto e della notifica della cessione all’ASP, avrebbe disatteso la disciplina dell’art. 58 citato, così violando anche l’art. 2697 c.c., sull’onere della prova.

Deduce la ricorrente di aver prodotto l’estratto della G.U. del 2 luglio 2015 contenente l’avviso di cessione dei crediti ai sensi e per gli effetti di cui al combinato disposto della L. 30 aprile 1999, n. 130, artt. 1 e 4 e dell’art. 58 del T.U. delle leggi in materia bancaria e creditizia, che tale produzione non è contestata e che risulta dal verbale dell’udienza 12 ottobre 2016 (depositato in allegato al ricorso).

Sostiene, inoltre, SVP PROJECT 1505 S.r.l. che, ai sensi dell’art. 58 T.U.B., la notizia dell’avvenuta cessione avviene mediante pubblicazione sulla G.U. e che tale adempimento produce gli effetti indicati nell’art. 1264 c.c., nei confronti dei debitori ceduti, rendendo irrilevante l’accettazione o la notifica singola, atteso che dalla pubblicazione la cessione si intende notificata ai debitori con tutte le conseguenze giuridiche proprie.

Evidenzia, altresì, la ricorrente, richiamando giurisprudenza di legittimità e di merito, che, in tema di cessione in blocco dei crediti da parte di una banca ai sensi del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 58, è sufficiente a dimostrare la titolarità del credito in capo al cessionario la produzione dell’avviso di pubblicazione sulla G.U. recante l’indicazione per categorie dei rapporti ceduti in blocco, senza che occorra una specifica enumerazione di ciascuno di essi, allorchè gli elementi comuni presi in considerazione per la formazione delle singole categorie consentano di individuare senza incertezze i rapporti oggetto della cessione.

Assume la ricorrente che il menzionato art. 58, nel consentire la cessione a banche di aziende, rami di aziende, di beni e rapporti giuridici individuabili in blocco detterebbe una disciplina ampiamente derogatoria rispetto a quella ordinariamente prevista per la cessione del credito e del contratto e, subordinandone l’efficacia alla notizia data dalla banca cessionaria mediante l’iscrizione della cessione nel registro delle imprese e la pubblicazione di un avviso nella G.U., disporrebbe che tali adempimenti producono gli stessi effetti dell’accettazione o della notificazione previsti dall’art. 1264 c.c..

Sostiene, infine, la ricorrente che dall’esame dell’avviso pubblicato sulla G.U. del 2 luglio 2015 si evincerebbe chiaramente che il credito da essa azionato sarebbe quello fatto valere dalla Casa di Cura Clinalco S.r.l. nel giudizio definito con la sentenza impugnata e relativo a differenze tariffarie, sicchè, alla luce della richiamata disciplina e di quanto indicato nell’avviso pubblicato sulla G.U., la Corte di merito avrebbe dovuto ritenere che le relative indicazioni rispecchiassero quelle contenute nell’atto di cessione, che tale cessione fosse pienamente efficace nei confronti del debitore ceduto e che la SVP PROJECT 1505 S.r.l. avesse dimostrato di essere titolare del credito azionato in assolvimento degli oneri probatori sulla stessa gravanti ai sensi dell’art. 2697 c.c..

4.4. I tre motivi, esaminati congiuntamente, in quanto strettamente connessi, sarebbero da disattendere.

Ed invero, a fronte della contestazione dell’appellata, l’appellante avrebbe dovuto dimostrare la sua legitimatio ad causam, in base ai principi più volte affermati da questa Corte e secondo cui il successore a titolo particolare nel diritto controverso è legittimato ad impugnare la sentenza resa nei confronti del proprio dante causa allegando il titolo che gli consenta di sostituire quest’ultimo, essendo a tal fine sufficiente la specifica indicazione di tale atto nell’intestazione dell’impugnazione qualora il titolo sia di natura pubblica e, quindi, di contenuto accertabile, e sia rimasto del tutto incontestato o non idoneamente contestato dalla controparte (Cass. 11/04/2017, n. 9250; Cass. 17/07/2013, n. 17470; v. anche Cass. 2/03/2016, n. 4116).

Se è pur vero che il R.D. 2440 del 2021, art. 69, non si applica alle ASL (Cass., ord., 21/12/2017, n. 30658; Cass., ord., 13/2/2019, n. 32788), e che, a tutto voler concedere, sarebbe sufficiente l’indicazione della G.U. per la seconda cessione dedotta, va tuttavia evidenziato che la Corte di merito ha precisato che l’appellante, a fronte della contestazione della sua allegata legittimazione, alla prima udienza di comparizione ha prodotto una lettera con la quale “Ergon S.r.l. in liquidazione” ha informato l’ASP di Cosenza e la Regione Calabria di un contratto di cessione di crediti sottoscritto il 7 maggio 2015 con la “SPV Project”, con un allegato elenco di fatture relative ai crediti, tra cui quella del 4 novembre 2011, di Euro 2.296.081,13, e che a tale atto non risulta allegato il contratto di cessione, sicchè non dimostra il contenuto dell’accordo. La medesima Corte ha pure però evidenziato che tale comunicazione non prova il rapporto tra la Clinalco e l’attuale ricorrente, mancando ogni riferimento alla prima di tali due società nè dalla stessa si desume alcunchè in merito all’altra precedente cessione tra Clinalco S.r.l. ed Ergon S.r.l. e al relativo contenuto nè risulta che tale cessione sia stata notificata alla controparte. La Corte territoriale ha, quindi, ritenuto, che tale documentazione non dimostra che SPV PROJECT S.r.l. sia titolare del credito azionato dalla Clinalco S.r.l. e che non vale ad integrare la rilevata carenza probatoria la produzione dei contratti in questione effettuata dall’appellante in sede di memoria di replica davanti alla Corte per la prima volta (e non “nuovamente”, come sostenuto in quella memoria).

Tali affermazioni della Corte di appello non risultano specificamente contestate dalla ricorrente che, a p. 35 e 36, fa riferimento ad alcuni brani dell’avviso di cui alla richiamata G.U. (v. p. 36) che a suo avviso dimostrerebbero la sua legittimazione ma dai quali certamente non risulta provato in modo chiaro che vi sia stata la cessione del 2012 tra Clinalco e Ergon. Peraltro, a fronte della ritenuta – da parte della Corte di merito – non avvenuta produzione di tale contratto di cessione ampiamente motivata (v. sentenza impugnata p. 10 e 11), (la ricorrente, a p. 24 del ricorso, nell’esposizione dei fatti di causa e prima dell’indicazione dei motivi, si è limitata a far riferimento al riguardo ad “un sotto indice (che non riporta tuttavia il timbro della Cancelleria)” da cui, a suo avviso, risulterebbe la produzione di tale atto ma che proprio, per l’ammessa mancanza di ogni rituale attestazione, non dimostra alcunchè, ed inoltre neppure ha riportato testualmente, almeno per la parte che rileva in questa sede, tale atto, sicchè, sul puno, il ricorso difetta pure di specificità.

Alla luce di quanto sopra evidenziato, risulterebbe, quindi, corretta la decisione della Corte di merito nè sussisterebbe la lamentata violazione dell’art. 2697 c.c., che si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni (Cass., ord., 23/10/2018, n. 26769), il che non è avvenuto nel caso di specie.

5. Conclusivamente, il ricorso deve essere dichiarato improcedibile.

6. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

7. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo.a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara improcedibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida, in favore della controricorrente, in Euro 15.200,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 13 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2020

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