Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9681 del 12/05/2015


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 9681 Anno 2015
Presidente: CICALA MARIO
Relatore: CONTI ROBERTO GIOVANNI

SENTENZA
sul ricorso 19076-2013 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE 11210661002, in persona del
Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente contro
CAUSIN ENRICO;

– intimato –

Data pubblicazione: 12/05/2015

avverso la sentenza n. 2/24/2013 della COMMISSIONE
TRIBUTARIA REGIONALE di VENEZIA del 28/11/2012,
depositata il 28/01/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
05/03/2015 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO GIOVANNI

udito l’Avvocato Valentina Fico difensore della ricorrente che si
riporta agli scritti.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L’Agenzia delle entrate ricorre contro Causin Enrico, per la cassazione della
sentenza con cui la Commissione Tributaria Regionale del Veneto aveva
respinto l’appello proposto dall’Ufficio nei confronti della sentenza di primo
grado che aveva accolto la domanda di rimborso IRPEF avanzata dal
contribuente con riferimento alle ritenute effettuate dal suo datore di lavoro
sulle somme corrisposte quale incentivo alle dimissioni; domanda basata sul
contrasto – accertato con la sentenza della Corte di Giustizia Europea del
21.7.05, in causa C-207/04 – tra la Direttiva comunitaria 76/207 CE e la
disposizione dettata dall’articolo 19, comma 4 bis, TUIR.
Secondo la Commissione Tributaria Regionale andava confermata la
decisione resa dal giudice di primo grado che aveva ritenuto la decorrenza del
termine di decadenza a far data dall’ordinanza della Corte di Giustizia.
Con la proposta censura la parte ricorrente censura la sentenza gravata
denunciando la violazione dell’art.38 dPR n.602/73, non potendosi ipotizzare
che la decorrenza del termine decadenziale dipendesse dalla non conformità
della normativa interna a quella UE dichiarata dalla Corte europea.
La parte contribuente non ha depositato difese scrige.
La causa è stata discussa all’udienza pubblica del AS.3.2015
MOTIVI DELLA DECISIONE
La censura è fondata.
Giova premettere che secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte la
richiesta di rimborso delle ritenute di IRPEF effettuate, come sostituto
d’imposta del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 23, da datore di lavoro
diverso da un’Amministrazione statale, sulle somme a vario titolo corrisposte
al dipendente trova la sua disciplina nel D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art.
38, e va quindi presentata dal dipendente percipiente nel termine in esso fissato
rispetto alla data in cui la ritenuta è stata operata.Infatti,l’art. 37 del medesimo
decreto regola la diversa ipotesi della “ritenuta diretta”, che si verifica per le
sole Amministrazioni dello Stato, cui è concesso di avvalersene nei confronti
dei dipendenti, per attuare una compensazione fra il credito
dell’Amministrazione stessa e il credito del contribuente (Cass.n.582/2010 che
richiama Cass. nn. 12810 del 2002, 7957, 10344 e 18701 del 2004, 5664 e
11987 del 2006).
Ciò posto, la questione di diritto proposta dalla presente causa dall’Agenzia
Ric. 2013 n. 19076 sez. MT – ud. 05-03-2015
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CONTI;

Ric. 2013 n. 19076 sez. MT – ud. 05-03-2015
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ricorrente è stata risolta dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n.
13676/14. Si è in tale occasione affermato il principio che, nel caso in cui
un’imposta venga dichiarata incompatibile con il diritto comunitario da una
sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea, il termine di decadenza
previsto dalla normativa tributaria (per le imposte sui redditi, articolo 38 d.P.R.
n. 602 del 1973) per l’esercizio del diritto al rimborso, attraverso la
presentazione di apposita istanza, decorre dalla data del versamento
dell’imposta e non da quella, successiva, in cui è intervenuta la pronuncia che
ha sancito la contrarietà della stessa all’ordinamento UE.
Si è pure aggiunto che allorché un’imposta sia stata pagata sulla base di una
norma successivamente dichiarata in contrasto con il diritto dell’Unione
europea, i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di
“overruling” non sono invocabili per giustificare la decorrenza del termine
decadenziale del diritto al rimborso dalla data della pronuncia della Corte di
giustizia, piuttosto che da quella in cui venne effettuato il versamento o venne
operata la ritenuta, termine fissato per le imposte sui redditi dall’art. 38 del
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, dovendosi ritenere prevalente una esigenza
di certezza delle situazioni giuridiche, tanto più cogente nella materia delle
entrate tributarie, che resterebbe vulnerata attesa la sostanziale protrazione a
tempo indeterminato dei relativi rapporti.
Nessun impedimento esisteva per il contribuente di esercitare il diritto al
rimborso a far data dall’epoca dell’erogazione delle somme in suo favore. Sul
punto, infatti, le ricordate S.U. hanno ribadito la correttezza dell’orientamento
espresso in passato da questa Corte circa la «decorrenza del termine
comunque dal giorno successivo al versamento poi rivelatosi indebito» ed
hanno richiamato i principi affermati con le proprie pronunce sul tema della
decorrenza del termine decadenziale nel caso di ritardata trasposizione di una
direttiva comunitaria self executing, principi successivamente confermatiCass. 4670 e n. 13087 del 2012- con riguardo anche all’ipotesi in cui
l’incompatibilità del diritto interno con il diritto dell’Unione sia stata
dichiarata con sentenza della Corte di giustizia. Ora, proprio la giurisprudenza
richiamata dalle Sezioni Unite aveva avuto modo di precisare che la
disposizione dell’art. 2935 cod. civ., a cui tenore «La prescrizione comincia a
decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere» deve intendersi
«con riferimento alla [sola] possibilità legale, non influendo sul decorso della
prescrizione, salve le eccezioni stabilite dalla legge, l’impossibilità di fatto di
agire in cui venga a trovarsi il titolare del diritto» . D’altra parte, tra gli
impedimenti “di fatto”, va annoverato anche la presenza di una norma di
diritto nazionale incompatibile con il diritto comunitario, posto che il
contrasto tra la norma di diritto interno e quella comunitaria può essere rilevato
direttamente dal giudice che, sulla base di tale premessa, è tenuto a non darle
applicazione, anche quando sia stata emanata in epoca successiva a quella
comunitaria».
Alla stregua dei principi espressi dalle Sezioni Unite e sopra sunteggiati -che
il Collegio condivide agli stessi rimettendosi integralmente- il ricorso deve
essere accolto, non essendosi ad essi la CTR conformata e la sentenza gravata
va cassata.
La causa può essere decisa nel merito, risultando che a fronte del versamento
delle somme al contribuente effettuato nell’agosto 2003- v.pag.2 sentenza

impugnata – l’istanza di rimborso venne presentata il 16.7.2009—v.pag.2
sentenza cit. -e dunque ben oltre il termine quadriennale di decadenza previsto
dal ricordato art.38.
Sulla base di tali considerazioni il ricorso introduttivo della parte contribuente
va rigettato.
Ricorrono giusti motivi per compensare le spese del giudizio di merito, mentre
le spese del giudizio di legittimità vanno dichiarate irripetibili, in relazione alla
recente pronunzia delle Sezioni Unite
PQM
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza gravata decidendo nel merito
rigetta il ricorso della parte contribuente.
Compensa le spese del giudizio di merito dichiarando irripetibili le spese del
giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 63.2015 in Roma.

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