Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9678 del 26/05/2020

Cassazione civile sez. III, 26/05/2020, (ud. 18/12/2019, dep. 26/05/2020), n.9678

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. OLIVIERI Stefano – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24103-2017 proposto da:

V.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FALERIA

37, presso lo studio dell’avvocato ASSUNTA MAZZEO, rappresentata e

difesa dall’avvocato FRANCO PEPE;

– ricorrente –

contro

AGENZIA PER LE EROGAZIONI IN AGRICOLTURA;

– intimata –

nonchè da:

AGEA – AGENZIA PER LE EROGAZIONI IN AGRICOLTURA, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI N. 11, presso lo studio dell’avvocato

BENIAMINO LA PISCOPIA, che la rappresenta e difende;

– ricorrente incidentale –

contro

V.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FALERIA

37, presso lo studio dell’avvocato ASSUNTA MAZZEO, rappresentata e

difesa dall’avvocato FRANCO PEPE;

– controricorrente all’incidentale –

avverso la sentenza n. 5474/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 16/09/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/12/2019 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI Anna Maria, che ha concluso per il rigetto principale,

assorbito incidentale da intendersi condizionato; in subordine anche

rigetto dell’incidentale;

udito l’Avvocato FRANCO PEPE;

udito l’Avvocato BENIAMINO LA PISCOPIA.

Fatto

SVOLGIMENTO IN FATTO

1. Con ricorso notificato a mezzo pec il 16/10/2017 avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 5474/2016 letta e depositata in data 16/9/2016 e non notificata, V.R. propone gravame innanzi a questa Corte affidandolo a quattro motivi. Resiste AGEA – Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura – con controricorso e ricorso incidentale notificati via pec il 24/11/2017, affidato ad un unico motivo. Resiste V.R., ex art. 371 c.p.c., comma 4, con controricorso al ricorso incidentale notificato via pec il 15/12/2017 per censurare la prescrizione decennale applicata, sostenendo che al caso de quo debba applicarsi la prescrizione quinquennale. La ricorrente principale propone controricorso per resistere al ricorso incidentale e memoria. La ricorrente ha prodotto memoria. Il P.M. ha concluso come in atti.

2. Per quanto qui d’interesse, con atto di citazione del novembre 2007, la ricorrente V.R. conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Roma, AGEA subentrata nei rapporti attivi e passivi della disciolta AIMA – chiedendo il risarcimento dei danni cagionati dalle omissioni e dai ritardi dell’ente nel comunicare il quantitativo massimo garantito di tabacco. Nella specie, imputava all’amministrazione nazionale per l’agricoltura le omissioni e i ritardi nel procedimento di determinazione delle quote di conferimento dei produttori di tabacco in relazione al premio comunitario relativo al raccolto del 1994, adducendo che AIMA, con grave ed ingiustificato ritardo, aveva comunicato ai coltivatori interessati gli esatti quantitativi di tabacco conferibili sono nei mesi di giugno-luglio 1994 – dunque, oltre i termini previsti dal Reg. CEE n. 3477/1992, prorogati al 31/3/1993 -, ovvero solo allorquando i coltivatori avevano già impiantato l’intera campagna di produzione ed il ciclo produttivo si trovava in fase avanzata di ultimazione. AGEA si costituiva in giudizio di primo grado eccependo preliminarmente la prescrizione – quinquennale – della pretesa risarcitoria, chiedendo nel merito il rigetto della domanda, in considerazione sia della carenza dell’elemento soggettivo dell’illecito – assumendo che il ritardo della comunicazione era stato determinato da comportamento scusabile dipeso dalla necessità di informatizzare l’archivio contenente i dati dei produttori di tabacco -, sia dell’eccessivo risarcimento richiesto.

3. Il giudizio di primo grado veniva definito con sentenza n. 451/2010 del Tribunale di Roma che, ritenuta preliminarmente di durata decennale la prescrizione del diritto, accoglieva la domanda attorea, e per l’effetto condannava AGEA al pagamento della somma di Euro 6.644,00, oltre interessi e rivalutazione, parametrando il quantum debeatur agli importi non percepiti dal produttore a titolo di premio per il tabacco prodotto in eccedenza rispetto alla quota tardivamente attribuita (nel dettaglio, la quota riconosciuta per il 1994 era inferiore a quella degli anni precedenti e, dunque, a quella ritenuta preventivabile ex ante). Avverso la sentenza del Tribunale di Roma proponeva appello AGEA con atto di citazione dell’ottobre 2012. L’appellata si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto del gravame. La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza qui impugnata, rigettava i motivi di appello, eccezion fatta per la quarta censura relativa all’assenza di prova della sussistenza del danno, con riferimento all’errato criterio di valutazione indicato, riguardante l’eccedenza della produzione, e alla genericità dell’indicazione del danno conseguente alla condotta inadempiente assunta dalla pubblica amministrazione al riguardo. Nel riformare in parte qua la sentenza del Tribunale, rigettava la domanda risarcitoria anche in ordine alla richiesta di liquidazione equitativa del danno, perchè ritenuto non allegato e provato.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Ricorso Principale.

1 Con il primo motivo si denuncia – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione dell’art. 345 c.p.c., comma 2, per avere la Corte d’Appello ammesso un’eccezione nuova (assenza di prova del danno), in quanto non sollevata in sede di giudizio di primo grado. Secondo la ricorrente, in sede di costituzione nel giudizio di primo grado, AGEA avrebbe eccepito esclusivamente l’eccessiva onerosità della richiesta risarcitoria e non anche l’insussistenza del danno e/o l’assenza della prova del danno. Dunque, la sentenza impugnata risulterebbe viziata in quanto la Corte d’appello avrebbe ritenuto ammissibile e fondata una eccezione che la parte non poteva più proporre ai sensi dell’art. 345 c.p.c., comma 2.

1.1 Il motivo è inammissibile.

1.2 Deve rilevarsi che la censura in ordine alla ritenuta assenza di prova del danno fa parte di un motivo di appello che investiva la mancata prova degli stessi fatti costitutivi della pretesa attorea da parte della convenuta appellata, per come accolta dal giudice di primo grado, con la conseguenza che il giudice d’appello era tenuto a pronunciare su tutti gli elementi della fattispecie di responsabilità civile, essendo investito anche della contestazione attinente alla esistenza del danno. Pertanto la deduzione del vizio di legittimità, già per come è posta, non palesa la violazione del divieto dei “nova” con riferimento ad una eccezione in senso stretto, posto che dalla esposizione del motivo sembra rivolta a fornire un’analisi della entità del danno prospettato, piuttosto che a supportare la violazione di legge denunciata. La pretesa attorea, infatti, è stata motivo di specifica contestazione da parte di AGEA e comunque, quando anche la parte convenuta non avesse espressamente contestato la entità dei danni, negando la stessa responsabilità avrebbe assunto una posizione difensiva assolutamente incompatibile con la loro affermazione, così implicitamente negandone l’esistenza.

1.3 Prevale, in ogni caso, il rilievo di inammissibilità del motivo per come esso è stato formulato, in spregio del principio di autosufficienza ex art. 366 c.p.c., n. 6. Per permettere a questa Corte di avere completa cognizione della doglianza, pur non richiedendosi l’integrale trascrizione dell’atto cui il motivo fa riferimento, è quantomeno necessaria la sintesi del suo contenuto e l’indicazione dello specifico punto dell’atto giudiziale in cui può riscontrarsi il vizio. La ricorrente, invece, si limita ad asserire che in sede di costituzione nel giudizio di primo grado AGEA avrebbe proposto una diversa eccezione, senza riportarne – anche in maniera sintetica – l’esatto contenuto; così pure, riferendosi all’atto di appello di AGEA non vi è menzione alcuna del contenuto dello stesso e, ancora, neppure si indica la specifica parte della sentenza in cui possa rinvenirsi tale vizio, ma si legge semplicemente: “La Corte territoriale, nell’accogliere il motivo (quarto) di appello del gravame interposto dall’AGEA, conseguenzialmente, ha reso una sentenza viziata ed illegittima in quanto ha ritenuto ammissibile – e soprattutto fondata una eccezione che la parte non poteva più sollevare in quella sede”. E’, infatti, orientamento consolidato di questa Corte che l’esercizio del potere di esame diretto degli atti del giudizio di merito, riconosciuto alla S.C. ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone l’ammissibilità del motivo, ossia che la parte riporti in ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza, gli elementi ed i riferimenti che consentono di individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio suddetto, così da consentire alla Corte di effettuare il controllo sul corretto svolgimento dell'”iter” processuale senza compiere generali verifiche degli atti (cfr. tra le tante, Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 23834 del 25/09/2019; Cass. Sez. L, Sentenza n. 11738 del 08/06/2016).

2 Con il secondo motivo si denuncia “violazione norma di diritto, art. 360, n. 3, in relazione all’art. 115 c.p.c., ed omessa valutazione di una circostanza decisiva ai fini della decisione, ex art. 360 c.p.c., n. 5 e precisamente riguardo alla “mancata contestazione, in sede di costituzione in giudizio di primo grado da parte della convenuta in quel giudizio, della sussistenza (cosa diversa dalla quantificazione/entità) del danno a carico della parte attrice/oggi ricorrente”. Come dedotto nel primo motivo di gravame, AGEA, in sede di costituzione nel giudizio di primo grado, non avrebbe contestato la sussistenza e/o carenza di prova del danno, ma solo la sua quantificazione. In particolare si denuncia che non sia stato adeguatamente considerato che la sussistenza del danno e la relativa prova costituirebbe “fatto specificamente non contestato dalla parte costituita” ex art. 115 c.p.c. e, per tale motivo, la sentenza della Corte d’Appello – nel punto in cui rigetta la domanda attorea per difetto di prova del danno – violerebbe l’art. 115 c.p.c. e, in tesi, configurerebbe pure un “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti” ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

2.1 Il motivo è inammissibile.

2.2 Preliminarmente deve precisarsi che la violazione non può sussumersi sotto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Ciò in quanto, in primo luogo, la mancata contestazione di una circostanza non costituisce un “fatto” nel senso di cui al n. 5, ossia un “dato storico”, ma l’effetto giuridico di un determinato comportamento processuale della parte, oggetto di valutazione da parte del giudice, non censurabile sotto questo profilo, attinente alla omessa considerazione di una circostanza o di un fatto oggetto di discussione tra le parti. In secondo luogo, la circostanza in tesi non contestata non configura neppure un fatto “discusso tra le parti”. Sulla base della formulazione del motivo, dunque, non è possibile valutare il vizio entro la cornice dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

2.3 L’analisi del motivo, dunque, deve concentrarsi sulla violazione e falsa applicazione – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – dell’art. 115 c.p.c.. Sul punto, la ricorrente sostiene che AGEA avrebbe contestato solo la quantificazione del danno e non anche la sussistenza e/o la carenza di prova dello stesso.

2.4 La Corte di merito ha ritenuto che la domanda di risarcimento svolta dall’attrice non è stata allegata correttamente e, per quanto sopra già detto relativamente al primo motivo, non assume rilievo l’eventuale carenza di specifica contestazione della pretesa risarcitoria da parte della controparte, posto che il giudice dell’appello ha valutato la fondatezza della pretesa per come prospettata dalla parte, ritenendola infondata nei suoi presupposti di fondo. Per quanto sopra detto al punto 1, l’ente aveva contestato integralmente la propria responsabilità, e questo coinvolge, insieme all’an, necessariamente anche il quantum, pure in mancanza di una specifica ed autonoma contestazione del danno nella sua esistenza e quantità. Inoltre, la censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, volta a denunciare la violazione dell’art. 115 c.p.c., è errata perchè la “non contestazione” non è assimilabile ad un “fatto storico” (v. sopra punto 2.2.).

3 Con il terzo motivo sì denuncia – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè dell’art. 2697 c.c. in relazione agli artt. 1223 e 2056 c.c., per non avere la Corte di merito ritenuto provato, in presenza di una responsabilità contrattuale dell’Ente per i fatti contestati, il danno nell’ammontare degli importi non percepiti dalla parte danneggiata, sia esso danno emergente che lucro cessante. La ricorrente lamenta che la Corte d’Appello, nonostante abbia riconosciuto in capo ad AGEA una responsabilità di natura contrattuale, ha tuttavia ritenuto mancante la prova del danno subito. Per converso, questo risulterebbe documentalmente provato per mezzo dei cd. “bollettini di conferimento” e ciò, in tesi, sarebbe sufficiente in quanto “la prova sull’ammontare del danno e la sua liquidazione, ai sensi dell’art. 1223 c.c. e dell’art. 2056 c.c., in tema di responsabilità da contratto, rimane inglobata nella prova della diminuzione patrimoniale subita dalla parte che subisce l’inadempimento”.

3.1 Il motivo è infondato.

3.2 Il giudice dell’appello ha ritenuto non solo non raggiunta la prova, ma addirittura non allegato il danno, posto che dai bollettini di conferimento dei prodotti era possibile individuare, esclusivamente, in quale misura il quantitativo di tabacco prodotto fosse eccedente rispetto al conferimento concretamente spettante, ma non anche l’an ed il quantum del pregiudizio in concreto subito per effetto del ritardo nella comunicazione dei quantitativi massimi di produzione di tabacco.

3.3 Ed invero, per quanto il ritardo nell’adempimento non fosse stato contestato da parte di Agea (che in merito ha addotto solo la scusabilità del ritardo), il creditore che faccia valere una responsabilità contrattuale del debitore deve dimostrare i fatti costitutivi a fondamento della domanda ex art. 2697 c.c., e così il nesso causale tra l’inadempimento e il danno. Sicchè il Giudice dell’appello ha, nell’ambito della sua discrezionalità, ritenuto non allegato il danno riconducibile alla violazione riscontrata, deducendo che il pregiudizio era riferito alle omesse differenti allocazioni delle colture, ove l’agricoltore fosse venuto a conoscenza delle quote nei termini di legge o, ancora, alle maggiori spese (sementi, manodopera, attrezzature) sostenute al fine di mantenere la produzione ai livelli risultati in esubero.

3.4 La Corte di merito, in particolare, ha ritenuto che, in tale caso, il ritardo imputabile allo Stato è per non avere trasmesso per tempo una decisione che avrebbe dovuto essere trasmessa entro il 31/3/1994, come previsto dal REG CEE 648/1993, mentre è stata effettuata nel contesto temporale di giugno -luglio 1994 a coltivatori che, avendo già rinnovato la richiesta dell’anno precedente, avevano instaurato un rapporto qualificato con la P.A. Nel caso specifico, la Corte d’Appello ha ampiamente motivato le ragioni della ritenuta natura contrattuale della responsabilità sulla base della teoria della responsabilità da contatto sociale, ma ha tuttavia ritenuto che il danno non potesse equivalere alla eccedenza di produzione.

3.5 L’affermazione è conforme ai principi che governano la materia degli aiuti comunitari.

3.6 Più in generale, ove lo Stato non adempia agli obblighi di agire o di mettere in esecuzione la normativa Europea, ledendo le posizioni soggettive altrui nel frattempo maturate, questa Corte ha già statuito che si versa in materia di responsabilità contrattuale. Quanto al rapporto tra Stato inadempiente e cittadino Europeo, secondo Cass. Sez. U, Sentenza n. 9147 del 17/04/2009, in caso di omessa o tardiva trasposizione da parte del legislatore italiano nel termine prescritto delle direttive comunitarie, conformemente ai principi più volte affermati dalla Corte di Giustizia, il diritto degli interessati al risarcimento dei danni va sempre ricondotto – anche a prescindere dall’esistenza di uno specifico intervento legislativo accompagnato da una previsione risarcitoria – “allo schema della responsabilità per inadempimento dell’obbligazione “ex lege” dello Stato, di natura indennitaria per attività non antigiuridica, dovendosi ritenere che la condotta dello Stato inadempiente sia suscettibile di essere qualificata come antigiuridica nell’ordinamento comunitario, ma non anche alla stregua dell’ordinamento interno”. Ne consegue che il relativo risarcimento, avente natura di credito di valore, non è subordinato alla sussistenza del dolo o della colpa e deve essere determinato, con i mezzi offerti dall’ordinamento interno, in modo da assicurare al danneggiato un’idonea compensazione della perdita subita in ragione del ritardo oggettivamente apprezzabile, restando assoggettata, la pretesa risarcitoria (in quanto diretta all’adempimento di una obbligazione “ex lege” riconducibile all’area della responsabilità contrattuale), all’ordinario termine decennale di prescrizione. Da tale autorevole precedente delle Sezioni Unite si desume che la pretesa risarcitoria, sul piano dell’ordinamento interno, qualora lo Stato si dimostri inadempiente a un obbligo di trasposizione o di esecuzione di regolamenti esecutivi secondari (come nel caso in questione), si pone nei termini di violazione di una obbligazione prevista ex lege ex art. 1173 c.c., soggetta alle regole di risarcibilità del danno inteso come conseguenza diretta dell’obbligazione rimasta inadempiuta, ai sensi dell’art. 1223 c.c. (v. Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 19384 del 30/09/2016, Cass. Sez. 3. N. 16321/2018, in materia di direttiva non autoapplicativa).

Lo stesso principio, pertanto, deve a maggior ragione valere in caso di tardiva comunicazione delle determinazioni assunte dalla Commissione Europea sui criteri generali di attribuzione dei premi di produzione, da stabilire annualmente secondo i regolamenti di settore Europei, come nel caso in questione. In materia si veda, da ultimo, Cass. sez. III, n. 4153/2019 che, in tema di contributi comunitari per la produzione di tabacco, ha stabilito che il diritto del coltivatore al risarcimento del danno conseguente all’inadempimento, da parte dell’AIMA, dell’obbligo, di cui all’art. 3 del Regolamento CE n. 3477 del 1992, di comunicare tempestivamente la quota di produzione ammessa al contributo, sia soggetto a prescrizione decennale, in quanto accessorio e strumentale all’adempimento di un’obbligazione avente fonte legale, quale è quella di pagamento del premio comunitario in base all’attestato di quota rilasciato al coltivatore (cfr. anche Cass. 25644/2017, Cass. 14188/2016, Cass. 2540/2015 e Cass. 24438/2011).

3 7 Anche in ipotesi di responsabilità contrattuale o da contatto sociale (come correttamente ritenuto dalla Corte di merito), tuttavia, il danno non potrebbe essere prospettato in maniera generica e astratta, dovendosi esso riferire alla perdita economica effettivamente subita dall’imprenditore per effetto del ritardo nell’adempimento dell’obbligo di comunicazione dei massimi quantitativi garantiti da parte dello Stato membro.

3.8 Ed invero, la statuizione della Corte di merito in ordine alla mancata allegazione del danno risulta conforme a quanto ritenuto da questa Corte in materia di premi di produzione agricola regolati dalla normativa Europea, ove ha ritenuto che il premio comunitario, annualmente disposto ai sensi del Regolamento CEE del 21 aprile 1970, n. 727, ha carattere provvisorio fino alla determinazione, l’anno successivo, dei quantitativi massimi garantiti, e che conseguentemente gli operatori economici non possono fare legittimo affidamento sulla conservazione della situazione quo ante, che può essere legittimamente modificata nell’ambito del potere discrezionale delle istituzioni comunitarie in funzione dei mutamenti del mercato e delle condizioni socio-economiche ed agronomiche delle regioni interessate, sulla base di parametri del tutto prevedibili per gli operatori economici. Pertanto, in un contesto ove l’imprenditore accreditato riceve annualmente un aiuto di Stato (di derivazione comunitaria), contingentato e discrezionalmente stabilito dall’Unione Europea, il ritardo nella comunicazione di detto quantitativo da parte dello Stato membro, tenuto a trasmettere il provvedimento quanto prima, deve ricevere considerazione rispetto all’aspettativa che l’imprenditore ha all’origine, che non si configura come un diritto se non nel momento in cui viene attribuito e determinato nella misura discrezionalmente riconosciuta dalla pubblica amministrazione, trattandosi di un aiuto di Stato (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 2540 del 10/02/2015; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10913 del 30/04/2008).

3.9 Per tale via, pertanto, si comprende la ragione per cui l’imprenditore non potrebbe mai fare riferimento all’eccedenza di produzione rispetto a quanto stabilito in sede comunitaria, ai fini della determinazione del danno subito.

3.10 Tale orientamento, invero, si allinea a quanto indicato dal Giudice dell’Unione Europea nella materia de qua, soprattutto laddove ha ritenuto che, sebbene il principio del rispetto del legittimo affidamento sia uno dei principi fondamentali della Comunità, gli operatori economici non possono coltivare legittime aspettative di conservazione di una situazione preesistente che può essere modificata nell’ambito del potere discrezionale delle istituzioni comunitarie, e ciò in particolare in un settore, come quello delle organizzazioni comuni di mercato, il cui scopo implica un costante adattamento in funzione dei mutamenti della situazione economica. Ne discende che gli operatori economici non possono far valere un diritto quesito alla conservazione di un vantaggio loro derivante dall’istituzione dell’organizzazione comune dei mercati e del quale hanno fruito in un determinato momento (v., in particolare, in subiecta materia, cfr. sentenze 5 ottobre 1994, cause riunite C-133/93, C-300/93 e C-362/93, Crispoltoni e a., Racc. pag. 1-4863, punti 57 e 58, e 17 settembre 1998, causa C-372/96, Pontillo, Racc. pag. 1-5091, punti 22 e 23; sentenza 6 luglio 2000, C- 402/98, Agricola Tabacchi Bonavicina s.n.c., punto 38).

3.11 Il danno da colpevole ritardo dello Stato membro nella comunicazione dei quantitativi singolarmente attribuiti, quantunque sia effettivamente imputabile alla Pubblica amministrazione preposta a vigilare su tale mercato, e dunque allo Stato membro che deve comunicare – non appena indicati dalla Commissione Europea – i quantitativi di produzione a ciascun produttore o trasformatore di tabacco, non può certamente rapportarsi all’eccedenza del raccolto, che ricade nella sfera di rischio dell’operatore economico, ma agli esborsi documentati e subiti in quel lasso di tempo, essendo ogni aspettativa di produzione o di raccolto rimessa alla discrezionalità della Commissione Europea (che, nel caso in questione, ha oltrettutto dilazionato i termini indicati dal regolamento Cee 2075/92 del Consiglio sino al 31 marzo dell’anno del raccolto del 1994, lasciando al produttore la facoltà di produrre liberamente il tabacco).

3.12 Pertanto, la Corte di merito, ragionando di questa stregua, pur ritenendo che lo Stato italiano, una volta conosciuto il quantitativo ammesso per ottenere i premi di produzione, lo ha comunicato con colpevole ritardo agli imprenditori che ne avevano fatto richiesta (a causa della non scusabile difficoltà incontrata nell’avviare un sistema informatico che avrebbe dovuto essere pienamente operativo nel 1995, ma che già imponeva, rispetto al passato, di parametrare i quantitativi di produzione ai quantitativi di trasformazione), ha correttamente ritenuto che il relativo danno ricevuto non potesse essere parametrato all’eccedenza di tabacco prodotta, ma alle spese sostenute per la coltivazione in eccedenza, non documentate, o al mancato impiego delle risorse in diverse profittevoli allocazioni, non altrettanto allegato.

4 Con il quarto motivo e quinto motivo si denuncia la “Violazione norma di diritto, art. 360 n. 3, ed omessa valutazione di un fatto deciso, ex art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione agli artt. 115-116 c.p.c. ed in relazione all’art. 1226 c.c., dell’impossibilità e/o eccessivamente difficoltoso fornire una prova sull’entità dei danni subiti da parte attrice, per un ammontare diverso da quello richiesto”. La ricorrente censura la sentenza impugnata sostenendo che ai fini dell’accertamento del danno, anche in assenza di prova sul quantum, la Corte d’Appello sarebbe stata obbligata a procedere ad una liquidazione equitativa in quanto l’operatività dell’art. 1226 c.c., sarebbe legata alla prova dell’esistenza del danno e non alla prova del quantum di danno risarcibile. In tesi, la prova dell’ammontare del danno risulterebbe impossibile e/o particolarmente difficile, soprattutto con riferimento ai costi relativi ai soli quantitativi eccedenti le quote tardivamente attribuite; e, in ogni caso, gli elementi di tecnica del ciclo produttivo del tabacco, seppur sforniti di prova, avrebbero dovuto essere posti alla base della decisione equitativa in quanto “fatti notori” ex art. 115 c.p.c., comma 2.

4.1 Il motivo è inammissibile e infondato per le seguenti ragioni, che si sommano a quelle sopra considerate in punto di diritto sul risarcimento del danno.

4.2 In primo luogo, la doglianza non pare sussumibile – come per il secondo motivo di ricorso – dell’art. 360, n. 5. Non vi è stata qui alcuna omissione di valutazione di una circostanza decisiva. Anzi, il giudice di secondo grado ha ampiamente motivato le ragioni della ritenuta insussistenza dei profili di impossibilità e/o eccessiva difficoltà probatoria. Dunque, la censura è analizzabile solo rispetto al vizio di cui dell’art. 360 c.p.c., n. 3.

4.3 In secondo luogo, sotto il profilo della violazione di legge, il motivo risulta infondato in quanto la prova della sussistenza dell’eccedenza produttiva non costituisce elemento sufficiente per procedere ad una liquidazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c., collegato alla ritardata comunicazione dei limiti quantitativi di produzione del tabacco.

4.4 In tal caso il danno, come sopra detto, non è profilabile nei suddetti termini, nè risulta circoscritto al periodo di ritardo, imputabile allo Stato, in rapporto al tempo in cui l’Unione Europea, anch’essa con ritardo, aveva fissato i contingentamenti adottati. E’ orientamento costante di questa Corte che l’esercizio del potere di liquidazione del danno in via equitativa, conferito al giudice ex artt. 1226 e 2056 c.c., non consenta comunque di emendare la mancata prova della responsabilità del debitore o la mancata individuazione della prova del danno nella sua dimensione concreta, correlata alla fattispecie (in tal senso, Cass., Sez. 6 – L, ordinanza n. 27477 del 19/12/2011; Sez. 3, sentenza n. 20990 del 12/10/2011; Sez. 3, sentenza n. 10607 del 30/4/2010). Dunque, ove il giudice non ritenga provato l’an debeatur, non potrà mai liquidare – neppure in via equitativa – alcun quantum debeatur.

4.5 Inoltre, il danno non potrebbe essere valutato in base al carattere notorio del tempo occorrente per il ciclo di produzione del tabacco, ex art. 115 c.p.c., comma 2, per le ragioni anzidette in merito all’alea di rischio che l’imprenditore assume nell’impiantare il tabacco secondo i quantitativi riferiti all’anno precedente. Come si è visto, gli operatori economici non possono far valere un diritto quesito alla conservazione di un vantaggio loro derivante dall’istituzione dell’organizzazione comune dei mercati e del quale hanno fruito in un determinato momento (cfr. sentenza Corte giust. Crispoltoni II, citata, punto 58).

4.6 In più, occorre considerare che è facoltà, e non dovere, del giudice, porre a fondamento della decisione le nozioni di fatto rientranti nella comune esperienza. Proprio per tale motivo non è possibile sindacare un apprezzamento di merito che il legislatore affida alla discrezionalità del giudice. Infatti, il ricorso al fatto notorio, ai sensi dell’art. 115 c.p.c., comma 2, attiene all’esercizio di un potere discrezionale riservato al giudice di merito; pertanto, l’esercizio, sia positivo che negativo, di tale potere non è sindacabile in sede di legittimità, ed egli non è tenuto ad indicare gli elementi sui quali la determinazione si fonda (cfr. Cass., Sez. 1, sentenza n. 17906 del 10/9/2015; in senso conforme, Cass., Sez. 5, sentenza n. 5438 del 3/3/2017; Sez. 1, sentenza n. 5089 del 15/3/2016).

4.7 Dunque, sia che il giudice ricorra ad una valutazione equitativa, sia che decida di escluderne il ricorso nel caso concreto, si tratta comunque di un apprezzamento di merito insindacabile in sede di legittimità, ove non sia rilevabile un error in procedendo.

4.8 Conclusivamente il ricorso principale va rigettato quanto al secondo e terzo motivo; mentre, viene dichiarato inammissibile relativamente ai primi due motivi.

RICORSO INCIDENTALE.

5 La ricorrente incidentale AGEA denuncia la violazione – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – degli artt. 2947, 2043 e 2935 c.c., per avere la Corte d’appello rigettato il secondo motivo di appello relativo alla durata quinquennale della prescrizione, e precisamente nella parte in cui ha ritenuto che “il contravvenire a detto obbligo di comunicazione (relativo alle quote di conferimento) imposto dai Regolamenti comunitari comporta nei confronti degli aventi diritto una responsabilità di carattere contrattuale a carico di Aima (…), secondo lo schema della responsabilità “da contatto””. Assume l’erroneità della ricostruzione della natura della responsabilità, in quanto determinerebbe una violazione delle norme citate; la statuizione, in aggiunta, sarebbe in contrasto con la giurisprudenza di legittimità ove ha sancito la natura extracontrattuale del danno da lesione degli interessi legittimi (citando Cass., sez. 1, n. 157/2003). La responsabilità per omessa o tardiva comunicazione avrebbe, in tesi, natura extracontrattuale ex art. 2043 c.c. e, dunque, la durata del termine prescrizionale sarebbe quinquennale. Di conseguenza, le richieste di pagamento inviate nell’aprile-maggio 2000 dalla parte ricorrente sarebbero state effettuate a prescrizione già maturata.

5.1 Il motivo è assorbito dal rigetto del ricorso principale, che fa venir meno l’interesse a ottenere una decisione in punto di prescrizione del diritto.

6 In ragione della reciproca soccombenza e dell’altalenante esito dei giudizi di merito, le spese vengono interamente compensate tra le parti.

P.Q.M.

La Corte:

ritenuti inammissibili il primo e il secondo motivo, rigetta il ricorso principale quanto al terzo e quarto motivo;

dichiara assorbito il ricorso incidentale;

compensa le spese tra le parti.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

“Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto al solo Presidente del collegio per impedimento dell’estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a).

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il 18 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2020

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