Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9678 del 13/04/2021

Cassazione civile sez. I, 13/04/2021, (ud. 05/02/2021, dep. 13/04/2021), n.9678

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 10498-2015 r.g. proposto da:

L.M.C., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso,

giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato

Rosa Sabrina Antonella Caglioti, con cui elettivamente domicilia in

Roma, Via Fonti del Clitunno n. 25, presso lo studio dell’Avvocato

Fernando Amodio;

– ricorrente –

contro

VALTUR s.p.a. in amministrazione straordinaria, con sede in

(OMISSIS), in persona dei legali rappresentanti pro tempore Avv.

C.S., Avv. D.D. e Prof. Avv. G.A.,

rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta a margine

del controricorso, dagli Avvocati Rosario Salonia e Fabio Massimo

Cozzolino, presso il cui studio è elettivamente domiciliata in

Roma, Largo Leopoldo Fregoli n. 8;

– controricorrente –

avverso il decreto del Tribunale di Milano, depositato in data

24.2.2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

5/2/2021 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. L.M.C. propose opposizione avverso il decreto di esecutività dello stato passivo della procedura di amministrazione straordinaria della Società Valtur s.p.a. con il quale era stata rigettata la sua domanda di ammissione al passivo in via privilegiata ex art. 2751 bis c.c., n. 1 del credito pari ad Euro 72.572,30 per la dichiarata intervenuta prescrizione del credito e comunque per la sua mancata prova. Il ricorrente allegò a sostegno della domanda di ammissione del predetto credito il rapporto di lavoro intrattenuto con la società Valtur s.p.a. in bonis, sul presupposto della riqualificazione di ciascun contratto a tempo determinato come contratto di lavoro a tempo indeterminato, essendo i contratti a termine affetti da nullità in relazione alla carenza di motivazione del profilo della stagionalità del lavoro e sull’ulteriore presupposto della violazione del diritto di precedenza nella riassunzione in seguito alla chiusura del villaggio di (OMISSIS).

2. Con il decreto impugnato il Tribunale di Milano ha rigettato l’opposizione presentata dall’odierno ricorrente, confermando pertanto il provvedimento di diniego del giudice delegato.

Il Tribunale ha ritenuto che era fondata l’eccezione di inammissibilità dell’azione per intervenuta decadenza del lavoratore, ai sensi della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 4, avendo tuttavia precisato che – a mente della L. n. 10 del 2011 (che aveva introdotto il comma 1 bis nella L. n. 183 del 2010, art. 32) – il termine per l’impugnazione dei contratti a termine doveva ritenersi prorogato sino al 1.3.2012, in ragione della disposta sospensione sino al 31.12.2011, in sede di prima applicazione, del decorso del termine di 60 giorni di cui all’art. 32, comma 1 norma che aveva esteso, nella previsione normativa di cui al comma 4, ai contratti a termine la prevista decadenza per l’impugnativa giudiziale degli stessi; ha dunque osservato che al momento del deposito della domanda di ammissione al passivo (21 novembre 2012) era ormai decorso il termine di 60 giorni per l’utile impugnativa dei contratti a termine, dovendosi cosi ritenere maturata la prevista decadenza; ha inoltre evidenziato che non era da considerarsi neanche fondata l’obiezione secondo cui era stato domandato per la prima volta il riconoscimento di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con Valtur s.p.a. da parte dell’odierno ricorrente già con il ricorso lavoristico depositato il 4 luglio 2011 innanzi al Tribunale di Vibo Valentia, posto che il predetto ricorso ex art. 414 c.p.c., “astrattamente” tempestivo, non poteva tuttavia qualificarsi, in ragione della genericità del suo contenuto, come valido atto recettizio di impugnazione dei contratti di lavoro a tempo determinato; ha ritenuto pertanto inammissibile la domanda di ammissione al passivo relativa al riconoscimento del credito retributivo maturato sul presupposto dell’esistenza tra le parti di un contratto di lavoro a tempo indeterminato; ha infine considerato infondata la domanda risarcitoria proposta per l’asserita violazione del patto di preferenza, in relazione all’accordo sindacale del 29.1.2000 e del Ccnl 20.2.2010, posto che era stato assunto dalla società datrice di lavoro solo un impegno “morale” alla riassunzione dei lavoratori del villaggio turistico (OMISSIS) presso altri villaggi gestiti da Valtur e perchè comunque la domanda risarcitoria era stata formulata in modo generico ed indeterminato, stante anche la genericità della prova testimoniale articolata sul punto da parte dell’opponente.

2. Il decreto, pubblicato il 24.2.2015, è stato impugnato da L.M.C. con ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, cui la Valtur s.p.a in a.s. ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo la parte ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione della L. n. 183 del 2010, art. 32 in relazione alla ritenuta applicazione del termine decadenziale, previsto per la impugnazione del licenziamento, anche all’azione giudiziale di nullità per l’apposizione del termine al contratto di lavoro subordinato, osservando che in caso di ritenuta applicabilità della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 3, lett. b, anche alla fattispecie in esame, la disposizione normativa da ultimo indicata sarebbe invero costituzionalmente illegittima per violazione dell’art. 3 Cost..

1.2 Il motivo è infondato.

1.2.1 Sul punto giova ricordare che, in termini più generali, è stato affermato dalla giurisprudenza di vertice di questa Corte (v. Sez. U, Sentenza n. 4913 del 14/03/2016), che “la L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 1 bis, della introdotto dal D.L. n. 225 del 2010, conv. con mod. dalla L. n. 10 del 2011, nel prevedere “in sede di prima applicazione” il differimento al 31 dicembre 2011 dell’entrata in vigore delle disposizioni relative al termine di sessanta giorni per l’impugnazione del licenziamento, si applica a tutti i contratti ai quali tale regime risulta esteso e riguarda tutti gli ambiti di novità di cui al novellato L. n. 604 del 1966, art. 6 sicchè, con riguardo ai contratti a termine non solo in corso ma anche con termine scaduto e per i quali la decadenza sia maturata nell’intervallo di tempo tra il 24 novembre 2010 (data di entrata in vigore del cd. “collegato lavoro”) e il 23 gennaio 2011 (scadenza del termine di sessanta giorni per l’entrata in vigore della novella introduttiva del termine decadenziale), si applica il differimento della decadenza mediante la rimessione in termini, rispondendo alla “ratio legis” di attenuare, in chiave costituzionalmente orientata, le conseguenze legate all’introduzione “ex novo” del suddetto e ristretto termine di decadenza”.

1.2.2 Ciò chiarito in ordine al profilo del differimento temporale della normativa in tema di decadenza dall’azione di nullità della clausola appositiva del termine ai contratti di lavoro, va subito osservato come la doglianza articolata da parte del ricorrente si scontri con la chiara ed univoca lettera della normativa sopra citata la cui disciplina prevede espressamente, all’art. 32 (rubricato “Decadenze e disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo determinato”), nel comma 4 del suo articolato, che “Le disposizioni di cui alla L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 6 come modificato dal comma 1 presente articolo, si applicano anche: a) ai contratti di lavoro a termine stipulati ai sensi del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, artt. 1,2 e 4 in corso di esecuzione alla data di entrata in vigore della presente legge, con decorrenza dalla scadenza del termine; b) ai contratti di lavoro a termine, stipulati anche in applicazione di disposizioni di legge previgenti al D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, e già conclusi alla data di entrata in vigore della presente legge, con decorrenza dalla medesima data di entrata in vigore della presente legge”.

Nessun dubbio in ordine dunque all’applicabilità della prevista disposizione decadenziale dal diritto di azione giudiziaria anche al caso di specie, quale necessaria impugnazione dei contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, perchè contratti rientranti nel fuoco normativo di cui al sopra ricordato L. n. 183 del 2010, art. 32.

1.2.3 Nè è possibile ipotizzare la lamentata incostituzionalità della normativa da ultimo citata.

Sul punto si è già espresso il Giudice delle leggi con la sent. n. 144/2014 che ha espressamente statuito che “Non è fondata la questione di legittimità costituzionale della L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 4, lett. b), impugnato, in relazione all’art. 3 Cost., nella parte in cui prevede l’applicazione del termine decadenziale di 60 giorni (stabilito dal riformato L. n. 604 del 1966, art. 6, comma 1) per la contestazione della legittimità del termine apposto al contratto di lavoro, anche ai contratti a tempo determinato già conclusi (per scadenza del termine finale) alla data di entrata in vigore della legge e con decorrenza dalla medesima data. Il nuovo regime introdotto dal suddetto art. 32 si applica, nel suo complesso, a tutti i contratti a termine (quelli già scaduti alla data di entrata in vigore della legge, quelli in corso di esecuzione e quelli instaurati successivamente) per garantire la speditezza dei processi con l’introduzione di termini decadenziali in precedenza non previsti, contrastare la prassi di azioni giudiziarie proposte anche a distanza di tempo assai rilevante dalla scadenza del termine apposto al contratto e ridurre il contenzioso giudiziario in materia. Sussistono, pertanto, profili concreti che impongono di ritenere non irragionevole la scelta legislativa di applicare retroattivamente il più rigoroso e gravoso regime della decadenza alla sola categoria dei contratti a termine già conclusi, lasciando immutato per il passato il più favorevole regime previsto per altre forme contrattuali o atti datoriali, come il recesso del committente nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, il trasferimento del lavoratore, la cessione del contratto di lavoro in caso di trasferimento d’azienda e la somministrazione di lavoro irregolare”.

2. Il secondo mezzo denuncia, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 116 c.p.c. Si evidenzia che il ricorrente aveva impugnato la successione dei contratti a termine stipulati da Valtur s.p.a. già in data 4.7.2011, depositando ricorso innanzi al giudice del lavoro del Tribunale di Vibo Valentia contenente l’espressa domanda volta ad ottenere la trasformazione dei contratti a termine in contratto a tempo indeterminato, dovendosi ritenere fatto incontestato quello relativo alla precedente introduzione del giudizio lavoristico diretto a far valere la nullità delle clausole appositive del termine.

2.1 Il motivo, per come formulato, è inammissibile.

La censura è inammissibile per due ordini concorrenti di ragioni.

2.2 Sotto un primo profilo la censura relativa alla omessa valutazione del fatto non controverso relativo alla presentazione del ricorso ex art. 414 c.p.c. è inammissibile per difetto di autosufficienza, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 6, , non avendo, per un verso, indicato ove tale non contestazione fosse stata ammessa e non considerata nel giudizio di merito e, per altro verso, non avendo allegato al ricorso per cassazione l’atto introduttivo del giudizio ex art. 414 c.p.c..

Va infatti ricordato che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte di legittimità, ove con il ricorso per cassazione si ascriva al giudice di merito di non avere tenuto conto di una circostanza di fatto che si assume essere stata “pacifica” tra le parti, il principio di autosufficienza del ricorso impone al ricorrente di indicare in quale atto sia stata allegata la suddetta circostanza, ed in quale sede e modo essa sia stata provata o ritenuta pacifica (v. Sez. 6-1, Ordinanza n. 24062 del 12/10/2017; Sez. 3, Sentenza n. 16655 del 09/08/2016).

2.3 Sotto altro profilo, la doglianza articolata dal ricorrente è inammissibile anche perchè non coglie la ratio decidenti del provvedimento impugnato che, sul punto qui da ultimo in discussione, non ha certo negato la circostanza fattuale della presentazione da parte dell’odierno ricorrente del ricorso ex art. 414 c.p.c. innanzi al Tribunale di Vibo Valentia, ma al contrario ha evidenziato l’inidoneità dell’atto a indossare le vesti di atto recettizio volto a richiedere la conversione dei rapporti di lavoro a tempo determinato in rapporto a tempo indeterminato per nullità delle clausole appositive del termine, in ragione dell’indeterminatezza della domanda giudiziale che non aveva neanche individuato i singoli contratti affetti dalla lamentata nullità negoziale. Ratio, come sopra osservato, non censurata da parte del ricorrente in questo motivo di ricorso.

Ne consegue l’inammissibilità del secondo motivo.

3. Con il terzo motivo si censura il decreto impugnato, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 4, nonchè dell’art. 116 c.p.c.

3.1 Il motivo, così articolato, è inammissibile per le medesime ragioni già sopra evidenziate, atteso che le doglianze non censurano la sopra riferita ratio decidenti (e cioè che il ricorso 4.7.2011 non era atto idoneo a contestare i contratti di lavoro a tempo determinato intercorsi inter partes) e perchè le censure peccano per difetto di autosufficienza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 6, non avendo il ricorrente neanche allegato il ricorso lavoristico di cui si assume invece l’idoneità a contestare la legittimità dei contratti di lavoro a tempo determinato.

4. Il quarto motivo denuncia, invece, violazione dell’art. 116 c.p.c. ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della controversia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione alla ritenuta indeterminatezza della domanda risarcitoria collegata alla invocata violazione del patto sindacale di riassunzione dei lavoratori del villaggio turistico. Si deduce inoltre l’erroneità della decisione istruttoria relativa alla mancata assunzione della richiesta prova testimoniale volta a provare la fondatezza della domanda risarcitoria.

4.1 Il motivo è inammissibile.

4.1.1 Sotto un primo angolo di osservazione, non si può dimenticare che la giurisprudenza di questa Corte, anche pronunciata nella sua massima espressione, ha affermato il principio secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass. Sez. U -, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020; Vedi: N. 18092 del 2020).

Ne consegue che la doglianza proposta dal ricorrente sotto l’egida formale della violazione dell’art. 116 c.p.c., volta a criticare l’apprezzamento da parte dei giudici del merito della prova documentale allegata e di quella testimoniale richiesta, risulta essere doppiamente inammissibile, e ciò sia in ragione della sua erronea formulazione come violazione del parametro normativo di cui all’art. 116 c.p.c. (per le ragioni già sopra tratteggiate in riferimento ai principi espressi da questa Corte) sia in conseguenza dell’evidente volontà del ricorrente di far ripetere – con deduzioni, peraltro, solo genericamente formulate – un secondo scrutinio di merito sul contenuto della documentazione allegata, con particolare riferimento al significato vincolante o meno dell’accordo sindacale sopra ricordato.

4.1.2 Ma sotto quest’ultimo profilo, relativo alla contestazione del significato dell’accordo sindacale, la censura è vieppiù inammissibile per un evidente difetto di autosufficienza del ricorso, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 6, per non aver comunque il ricorrente allegato l’accordo sindacale e il ccnl richiamato.

Sul punto, non può essere dimenticato che il ricorrente per cassazione che intenda dolersi dell’omessa od erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha il duplice onere – imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, a pena di improcedibilità del ricorso – di indicare esattamente nel ricorso in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione, e di indicarne il contenuto, trascrivendolo o riassumendolo nel ricorso (Cass. Sez. L, Sentenza n. 2966 del 07/02/2011; Sez. 5, Sentenza n. 26174 del 12/12/2014; Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 14107 del 07/06/2017; Sez. 6 – 3, Sentenza n. 19048 del 28/09/2016; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 19985 del 10/08/2017).

4.1.3 A ciò va aggiunto che anche le ulteriori censure sollevate dal ricorrente in ordine alla mancata ammissione delle richieste prove testimoniali risultano formulate in modo irrimediabilmente inammissibile.

Invero, la giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di esso, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, il giudice di legittimità deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (cfr. Sez. L, Sentenza n. 2966 del 07/02/2011; N. 14107 del 2017).

Più in particolare ed in riferimento alla denuncia di mancata ammissione di una prova testimoniale, va ribadito che, ai fini del rituale adempimento dell’onere, imposto al ricorrente dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, di indicare specificamente nel ricorso anche gli atti processuali su cui si fonda e di trascriverli nella loro completezza con riferimento alle parti oggetto di doglianza, è necessario che, in ossequio al principio di autosufficienza, si provveda anche alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 8569 del 09/04/2013).

Ne consegue l’inammissibilità anche del quarto motivo.

5. Il quinto mezzo denuncia violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in relazione alla regolamentazione delle spese del giudizio di merito.

5.1 Il motivo è inammissibile.

Sul punto, non può non richiamarsi il pacifico orientamento espresso da questa Corte secondo cui, in tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse e il suddetto criterio non può essere frazionato secondo l’esito delle varie fasi del giudizio ma va riferito unitariamente all’esito finale della lite, senza che rilevi che in qualche grado o fase del giudizio la parte poi soccombente abbia conseguito un esito a lei favorevole, con la conseguenza che, con riferimento al regolamento delle spese, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa e con l’ulteriore corollario che esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi (v. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 406 del 11/01/2008; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 19613 del 04/08/2017).

Ne consegue che risulta insindacabile in questa sede la decisione che abbia determinato la condanna della parte integralmente soccombente al pagamento delle spese del giudizio di merito.

Il ricorso va dunque rigettato con condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 5 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 13 aprile 2021

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