Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9677 del 26/05/2020

Cassazione civile sez. III, 26/05/2020, (ud. 18/12/2019, dep. 26/05/2020), n.9677

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. OLIVIERI Stefano – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19347/2017 proposto da:

AGEA AGENZIA PER LE EROGAZIONI IN AGRICOLTURA, in persona del

Direttore p.t., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

G.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 515/2017 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 09/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/12/2019 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI Anna Maria, che ha concluso per accoglimento 2 motivo,

assorbito il 3 motivo, rigettati i primi due motivi.

Fatto

SVOLGIMENTO IN FATTO

1. Con ricorso notificato per mezzo pec il 14/7/2017, avverso la sentenza della Corte d’Appello di Lecce n. 515 del 2/5/2017, depositata il 9/5/2017, Agea Agenzia per le erogazioni in agricoltura chiede l’annullamento della sentenza, affidando il ricorso a tre motivi. G.A., regolarmente intimato, non ha proposto controricorso. Il PM depositava conclusioni scritte per l’adunanza camerale del 7 marzo 2019. In data 19 febbraio 2019, la causa veniva rinviata a nuovo ruolo per consentire la trattazione del ricorso in pubblica udienza unitamente ad altri ricorsi in materia di aiuti di Stato o comunitari.

2. Per quanto qui d’interesse, con atto di citazione del 23/1/2003 G.A. conveniva innanzi al Tribunale di Brindisi l’agenzia nazionale AGEA per sentirla condannare al risarcimento dei danni subiti a causa del ritardo nella corresponsione dell’aiuto comunitario in riferimento alle campagne olivicole cui aveva preso parte come imprenditore, a partire dall’annata 93/94 sino a quella del 97/98. Deduceva che la sua azienda agricola era stata originariamente ammessa da AIMA (oggi AGEA) all’aiuto comunitario per la produzione di olio di oliva, avendone ricevuto un acconto in via anticipata di Euro 209.992.830. Tuttavia, in data 5/12/1995, aveva ricevuto comunicazione che la sua domanda di aiuto comunitario, era stata sospesa dopo accertamenti effettuati dall’agenzia preposta al controllo, Agecontrol s.p.a., allora interamente controllata da AGEA, a seguito dei quali, con ordinanza ingiunzione n. 444/98 era stato disposto il recupero dell’anticipo già corrisposto e, per gli stessi fatti, in data 25.9.1996 veniva rinviato a giudizio per il reato di cui agli artt. 81 e 640-bis c.p., conclusosi con sentenza n. 682 del 23/9/08 del Tribunale di Brindisi che lo aveva assolto per insussistenza del fatto.

3. A seguito dell’assoluzione perchè il fatto non sussiste, la sospensione del contributo gli veniva revocata e nei tre anni successivi AGEA provvedeva a corrispondergli le somme attribuite. Con il presente giudizio, pertanto, l’imprenditore agricolo aveva agito nei confronti di AGEA sull’assunto che il ritardo con cui era entrato nella disponibilità dei contributi gli aveva cagionato ingenti danni, sia nella sfera economica che in relazione alla sua immagine ed onorabilità personale. Si costituiva AGEA che eccepiva preliminarmente la carenza di giurisdizione del giudice ordinario, che veniva accolta dal Tribunale. Sulla questione di giurisdizione si pronunciava la Corte di appello di Lecce con sentenza n. 767/07 e, pertanto, la causa veniva riassunta innanzi al giudice di primo grado.

4. Con la sentenza n. 422 del 15/2/2013, il Tribunale di Brindisi accoglieva parzialmente la domanda dell’imprenditore qui ricorrente e, per l’effetto, condannava AGEA al pagamento in suo favore della somma di Euro 130.463,04 per il ritardo nel pagamento del contributo, oltre alle spese di lite, facendo decorrere la mora dal periodo successivo alla data di assoluzione, del 23.9.1998, e non dal tempo della disposta sospensione cautelare del diritto al contributo, sull’assunto che la sospensione costituisse un atto legittimo e dovuto, comunque privo di discrezionalità à sensi del D.M. 2 gennaio 1985, art. 18 e L. n. 898 del 1986, art. 3, in quanto previsto in caso di apertura di un procedimento penale.

5. Avverso la sentenza del giudice di prime cure, l’attore proponeva gravame innanzi alla Corte d’Appello di Lecce deducendo, in specie, l’errata quantificazione del danno a far tempo dalla sentenza di proscioglimento, da quantificarsi, invece, nella maggiore misura di Euro 274.361,87; inoltre, insisteva per il risarcimento del danno non patrimoniale patito, con vittoria di spese. Si costituiva AGEA chiedendo il rigetto dell’appello.

6. Con la sentenza n. 515/2017, qui impugnata, la Corte di Appello di Lecce accoglieva il gravame dell’attore e riformava la sentenza impugnata, ritenendo che la mora dovesse decorrere dal tempo in cui era stata disposta la sospensione del contributo, sull’assunto che l’addebito mosso dall’agenzia preposta al controllo fosse manifestamente infondato, e ciò sulla base della sentenza di proscioglimento e della lacunosa documentazione allegata da Agea a supporto della propria difesa, riconoscendo un danno complessivo di Euro 274.361,87, oltre le spese di lite.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo l’agenzia ricorrente denuncia – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la violazione degli artt. 112,329,345,346 c.p.c.. Il motivo di ricorso si compone di due profili di doglianza.

1.1 In primo luogo si censura la sentenza impugnata per aver ammesso una domanda nuova in sede di appello, in quanto diversa per causa petendi e petitum rispetto a quella originariamente proposta dall’attore per il danno da ritardo. In particolare, si deduce che mentre nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado l’attore denunciava di aver subito danni in conseguenza del ritardo con cui AGEA aveva provveduto al pagamento delle annate dopo la sentenza di assoluzione; invece, con l’atto di appello, la responsabilità di AGEA veniva correlata all’omesso controllo di AGEA sull’agenzia preposta all’atto di accertamento (Agecontrol) e che, quindi, traesse titolo dalla responsabilità “per fatto degli ausiliari” ex art. 2049 c.c.. In secondo luogo, si censura la sentenza impugnata per aver deciso su una questione non più oggetto di giudizio d’impugnazione in quanto divenuta definitiva per intervenuta acquiescenza, essendosi formato un giudicato implicito, nello specifico, sulla statuizione circa il carattere doveroso, e non discrezionale, della intervenuta sospensione del contributo. L’appellante, in tesi, avrebbe mostrato acquiescenza sul punto ex artt. 329 e 346 c.p.c. e, pertanto, si sarebbe dovuto escludere il potere di riforma da parte della Corte d’appello sul tema de quo, in quanto non reso oggetto di autonomo motivo di impugnazione. Per converso, in sentenza si leggerebbe esplicitamente la statuizione secondo cui “la sospensione non può ritenersi atto dovuto, da adottare automaticamente, senza alcun vaglio di fondatezza della effettiva commissione dell’illecito”.

1.2 Il motivo è infondato.

1.3 In particolare, con l’atto di citazione (pag. 2 e 3), l’attore deduceva che “per effetto della precitata sentenza (il riferimento va alla sentenza n. 682 del 23/9/1998 di assoluzione con cui si era concluso il procedimento penale) venivano a mancare i motivi che avevano determinato la sospensione delle richieste di aiuto comunitario avanzate dal deducente, al quale erano perciò dovute le somme riferite alle compagne olivicole indicate. Nei tre anni successivi alla sentenza di assoluzione, l’Aima provvedeva a corrispondere le somme dovute. Il pagamento di esse giungeva, pertanto, con un imponente ritardo rispetto al tempo in cui egli ne avrebbe avuto già diritto, determinando (…) ingentissimi danni “; e, aggiungeva che “per la mancata disponibilità di tali somme a lui dovute, subiva ingenti danni”. Nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, dunque, l’attore chiedeva il risarcimento del danno da ritardo, configurandolo come lesione derivante dalla mancata disponibilità delle somme a lui dovute. Inoltre, nell’atto di appello (pag. 11 e 12) si legge che “la struttura organizzativa di Agecontrol consente, dunque, ad AGEA di esercitare la più totale ingerenza e controllo sulla gestione”.

1.4 E’ orientamento consolidato di questa Corte che “costituisce domanda nuova, non proponibile per la prima volta in appello, quella che, alterando anche uno soltanto dei presupposti della domanda iniziale, introduca una “causa petendi” fondata su situazioni giuridiche non prospettate in primo grado, inserendo nel processo un nuovo tema di indagine, sul quale non si sia formato in precedenza il contraddittorio” (Cass., Sez. 6-L, ordinanza n. 23415 del 27/9/2018; Sez. L, sentenza n. 8842 dell’11/4/2013). E’ di chiara evidenza che, nel caso specifico, non vi sia diversità nelle situazioni giuridiche poste alla base della pretesa risarcitoria. In primo grado l’imprenditore agricolo aveva agito per ottenere il risarcimento del danno subito in conseguenza del ritardo con cui AGEA – dopo la sentenza di assoluzione in sede penale – aveva provveduto al pagamento degli aiuti comunitari per le annate previste, ma rimaste sospese in applicazione del D.M. 2 gennaio 1985, art. 18. In particolare, l’attore fondava la propria censura sull’assunto che l’assoluzione in sede penale avrebbe effetto retroattivo, così rendendo dovute sin dall’inizio le somme in questione. Nell’atto di appello, pertanto, l’imprenditore censurava la statuizione, più restrittiva, del Tribunale, là dove aveva considerato la mora dalla data di assoluzione, deducendo, quale argomento ulteriore, che il risarcimento dei danni era dovuto a causa dell’omissione di ogni controllo, da parte di AGEA, su Agecontrol, ex art. 2049 c.c., che aveva esercitato i suoi poteri illegittimamente.

1.5 L’eccepita novità della domanda è da escludere, perchè il petitum e la causa petendi si riferiscono al danno da pagamento ritardato in ragione dell’intervenuta assoluzione in sede penale, sull’assunto che l’effetto della mora retroagisca all’epoca della intervenuta sospensione del diritto di ricevere il contributo, come se la sospensione cautelare fosse caduta nel nulla a seguito dell’assoluzione in sede penale. Orbene, petitum e causa petendi sono immutati nel primo e secondo grado di giudizio, laddove il riferimento, nell’atto di appello, al mancato controllo sull’attività di Agecontrol s.p.a. da parte di Agea si pone come ulteriore elemento secondario, ed è utilizzato per colorare la vicenda della responsabilità di AIMA per la sospensione dell’erogazione dei contributi, poi rivelatasi ingiustificata. Nell’uno e nell’altro caso, quindi, la sentenza non ha pronunciato su una questione nuova, ma sul motivo di appello correlato al mancato accoglimento del risarcimento del danno a valere dalla data della intervenuta sospensione del contributo. In sostanza, l’assunto della “retroattività” della assoluzione penale non involge l’effetto meramente giuridico della sentenza penale bensì la considerazione, rinvenibile nell’atto di citazione dell’attore, secondo cui la assoluzione penale “dimostrerebbe” la insussistenza ab origine del fumus di sospetto di illiceità e, quindi, la mancanza di una doverosa valutazione compiuta in limine da AGEA, come si vedrà più avanti.

1.6 Non merita, per lo stesso motivo, considerazione il fatto che sia stata omessa l’impugnazione in relazione alla statuizione circa il carattere doveroso e insindacabile dell’atto di sospensione del contributo, disposto dall’agenzia preposta al controllo nel corso dell’indagine, posto che la richiesta risarcitoria, e l’atto di appello, sono collegati alla intervenuta caducazione del provvedimento cautelare in seguito all’assoluzione dal reato di truffa aggravata perchè il fatto non sussiste, non assumendo rilievo il carattere doveroso o meno del provvedimento di sospensione emesso dall’agenzia pubblica preposta al controllo.

2. Con il secondo motivo si censura – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.M. 2 gennaio 1985, art. 18, nonchè della L. n. 898 del 1986, art. 2, commi 1 e 2 e art. 3, comma 5, nonchè degli artt. 1218, 1219 c.c. e art. 1256 c.c., comma 2 e art. 115 c.p.c.. L’agenzia pubblica ricorrente lamenta la violazione delle disposizioni sopra indicate per avere la Corte d’Appello, in primo luogo, ritenuto che la sospensione dei pagamenti potesse essere disposta da AGEA solo a seguito di una valutazione di apparente fondatezza dei rilievi operati dall’ente preposto al controllo (Agecontrol s.p.a.); in secondo luogo, denuncia che il giudice avrebbe erroneamente determinato il danno senza effettuare alcuna valutazione circa la condotta tenuta dal creditore, ex art. 1256 c.c., comma 2, che sancisce che il debitore, finchè perdura l’impossibilità temporanea della prestazione, non è responsabile del ritardo nell’adempimento.

Con il terzo motivo si censura – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione degli artt. 1227,1219, 1256 e 2043 c.c., ancora, per l’erronea determinazione del quantum debeatur, questa volta in relazione alla mora.

2.1 Il secondo e terzo motivo vanno esaminati congiuntamente. I motivi sono fondati per quanto di seguito esposto.

2.2 La Corte d’Appello, secondo la ricorrente, avrebbe errato nel riconoscere il risarcimento “da pagamento ritardato” a valere dal momento della richiesta dei contributi, reintegrando l’attore nella situazione quo ante, come se la sospensione non ci fosse mai stata. Deduce, sul punto, che la sospensione del pagamento, in presenza di una denuncia o di un’imputazione per truffa ex art. 81 – 640-bis c.p. o del fatto di reato specificamente delineato dalla L. n. 898 del 1986, art. 2, era atto dovuto per la P.A., per effetto del D.M. 2 gennaio 1985, art. 18 e che, conseguentemente, nessun obbligo di pagamento della mora poteva sussistere in capo a quest’ultima. L’effetto di sospensione del pagamento costituirebbe, a suo dire, ragione di impossibilità della prestazione che vale ad escludere l’esistenza stessa dell’illecito, in quanto l’impossibilità temporanea esclude la responsabilità del debitore per il risarcimento del danno (cfr. art. 1218 c.c.) e la mora del debitore (cfr. art. 1219 c.c.). In aggiunta, la determinazione del danno contenuta in sentenza violerebbe anche l’art. 1227 c.c., non essendosi tenuto conto della condotta del creditore che, nella specie, non ha impugnato il provvedimento di sospensione. In sintesi, l’agenzia ricorrente deduce che la sospensione prevista dalle citate norme presupponga un sospetto derivante dalla denuncia di reato operata dall’ente preposto al controllo, e non un “sospetto fondato” o comunque del quale si debba valutare la sussistenza di indici di fondatezza, come invece ritenuto nella sentenza impugnata.

2.3 Nel caso in questione, la Corte di merito ha ritenuto di dover esaminare la legittimità sostanziale del provvedimento cautelare sull’assunto che la pubblica amministrazione avrebbe dovuto irrogare la sospensione del contributo solo in presenza di un quadro probatorio che inducesse a ritenere, sia pure a livello di un sommario esame, che vi fossero sufficienti elementi probatori atti a denotare il sospetto di una effettiva commissione di un illecito; la Corte di merito, ha ritenuto che, nel caso di dubbio, l’agenzia avrebbe dovuto, quanto meno, chiedere chiarimenti e disporre un supplemento di controllo da parte dell’agenzia preposta, aggiungendo che “la sospensione non è atto dovuto, da adottare automaticamente, senza alcun vaglio di fondatezza della effettiva commissione dell’illecito” e che “gli elementi probatori desumibili dalla sentenza penale di assoluzione escludono la sussistenza di un illecito”; nella motivazione si rinviene l’affermazione secondo cui ” il rapporto di Agecontrol non è stato prodotto in giudizio da Agea, che era tenuta, anche per il principio di vicinanza della prova, a dimostrare di avere adottato la sospensione degli aiuti in presenza di sufficienti elementi che denotassero, anche a livello di sospetto, che fosse stato commesso un illecito da parte del G.” e che “… nessuna iniziativa in tal senso risulta comprovata o semplicemente dedotta”.

2.4 Sul punto va innanzitutto precisato che la controversia riguarda la denuncia di un comportamento negligente della P.A. privo di ogni interferenza con l’atto autoritativo che ne costituisce il presupposto, facendosi valere unicamente l’illiceità del comportamento del soggetto pubblico ex art. 2043 c.c., suscettibile di incidere su posizioni di diritto soggettivo del privato (cfr. Sez. U -, Sentenza n. 27455 del 29/12/2016: nella specie, relativa ad una domanda volta al risarcimento dei danni subiti per effetto della chiusura forzosa di un esercizio commerciale, la S.C. ha riconosciuto la giurisdizione del giudice ordinario in quanto la pretesa non era stata fondata sull’illegittimità dell’atto amministrativo che tale chiusura aveva inizialmente disposto, bensì sull’ingiustificata protrazione dei suoi effetti, nonostante il sopravvenuto rilascio del nulla osta da parte dalla stessa amministrazione).

2.5 Posto quanto sopra, si osserva preliminarmente che la Corte di merito ha erroneamente considerato l’attività, intrapresa dalla P.A. in via cautelare, in forza di una disposizione di legge che la impone, valutando in termini di inadempimento colpevole il comportamento dell’AGEA, laddove, invece, il testo della norma applicata – usando la formula “adotta”, nella forma dell’indicativo presente – regola un rapporto tra amministrazione e cittadino, nel senso che impone all’amministrazione pubblica, in forza del citato D.M. 2 gennaio 1985, art. 18, di non erogare i contributi comunitari, in via cautelativa, ove vi siano “sospetti” di eventuali frodi, suscettibili di ripercuotersi negativamente sulla corretta erogazione dell’aiuto, e comprovati da denunce da parte degli uffici od organismi preposti ai controlli. Il comportamento negligente ascritto alla pubblica amministrazione, semmai, dovrebbe essere valutato sul piano della responsabilità extracontrattuale, quale violazione dell’obbligo del neminem laedere.

2.6 Più in generale, il comportamento intrapreso dalla P.A deve essere valutato alla luce della normativa, di origine comunitaria, che regola il settore dei premi (aiuti) nel settore agricolo, contingentato dall’Unione Europea; la norma in questione, difatti, si riferisce a una materia, quella degli aiuti alla produzione dell’olio previsti dai regolamenti comunitari 2261/84 del 17 luglio 1984 e numero 3061/84 del 31 ottobre 1984, ove l’ordinamento Europeo, in base all’art. 107 e seg. TFUE, impone una serie di stretti controlli da parte della pubblica autorità nazionale a salvaguardia del buon andamento del mercato unico, onde evitare la dispersione di contributi aventi una finalità di sostegno dell’economia, tuttavia in grado, se mal gestiti, di interferire sul regime di libera concorrenza. In tale materia, difatti, vige il principio di primazia del diritto Europeo, che ammette gli aiuti all’economia solo a condizioni predeterminate dalla Commissione Europea che, a tal fine, si avvale dell’opera dei suoi organismi periferici preposti a regolare e controllare il sistema degli aiuti di Stato, tra i quali si annoverano i contributi comunitari.

2.7 Sicchè la mala gestio nell’attribuzione dei contributi ai vari operatori economici, impone non solo la sospensione cautelare in caso di sospetto di frode comunitaria, ma anche il recupero dell’aiuto comunitario illegittimamente erogato da parte dello Stato membro. Sul punto, la stessa Corte costituzionale (ord. n. 36 del 6.2.2009,), riconoscendo la presenza di un vero e proprio obbligo, in capo allo Stato membro, di assicurare il recupero dell’aiuto acquisito illecitamente (non configurabile alla stregua di una nuova imposta con efficacia retroattiva, bensì come il pagamento di una somma corrispondente ad un tributo già spettante) ha considerato non opponibili alla P.A. le eccezioni relative ai principi di attualità della capacità contributiva (art. 53) e di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.).

2.8 In proposito, è utile accennare al fatto che, trattandosi di materia di stretta competenza Europea, anche sul giudice nazionale incombe, come anche per lo Stato, un obbligo di sospensione dell’aiuto concesso in mancanza delle condizioni, anche prima dell’intervento della Commissione Europea, qualora in sede giudiziale riconosca la violazione della clausola di stand-still (sospensione) da parte dello Stato membro (C. giust., 13.1.2005, C-174/02, Streekgewest Westelijk Noord-Brabant c. Staatssecretaris van Financien), posta a fini preventivi a carico dello Stato. La primazia del diritto Europeo in tale settore è stata affermata in tutti quei casi in cui il Giudice nazionale si sia pronunciato in sua difformità, soprattutto dopo la decisione della Commissione Europea che ha ritenuto illecito, ad esempio, un aiuto di Stato, così come è avvenuto nella c.d. sentenza Lucchini, e nella recente sentenza della Corte Costituzionale n. 142 del 5 luglio 2018, ove, al punto 4.1, gli stessi Giudici della Consulta ricordano come “in base alla costante giurisprudenza della Corte di giustizia, la valutazione della compatibilità di un aiuto di Stato con il mercato interno rientra nella competenza esclusiva della Commissione, che opera sotto il controllo del giudice dell’Unione, con la conseguenza che ai giudici nazionali non è consentito pronunciarsi sul punto (ex plurimis, Corte di giustizia, sentenza 26 ottobre 2016, in causa C590/14 P, Dimosia Epicheirisi Ilektrismou AE; sentenza 15 settembre 2016, in causa C-574/14, PGE Gornictwo i Energetyka Konwencjonalna SA; sentenza 19 marzo 2015, in causa C672/13, OTP Bank Nyrt)”. Ed ancora: “Ciò non significa, peraltro, che il giudice nazionale, il quale, per motivi dedotti dalle parti o rilevati d’ufficio, dubiti della validità di un atto delle istituzioni dell’Unione – e, in specie, di una decisione della Commissione in materia di aiuti di Stato – debba, ciò nonostante, uniformarsi senz’altro ad essa. Al contrario, in tal caso egli può – e anzi deve – sospendere il giudizio in corso e investire la Corte di giustizia di un procedimento pregiudiziale per accertamento di validità, ai sensi dell’art. 267, paragrafo 1, lettera b), TFUE (per tutte, Corte di giustizia, grande sezione, 10 gennaio 2006, in causa C-344/04, International Air Transport Association e altro; sentenza 22 ottobre 1987, in causa 314/85, Foto-Frost)”.

2.9 La stessa logica si rinviene in alcuni precedenti di questa Corte (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1602 del 24/01/2007 (Rv. 594304 – 01); Cass. Sez. 1, Sentenza n. 3402 del 22/02/2016) là dove si è sancito che la percezione di aiuti o contributi sulla base della esposizione di dati o notizie falsi, e la conseguente sospensione dei pagamenti in forza di fermo amministrativo D.P.R. n. 727 del 1974, ex art. 2, da parte dell’azienda erogatrice dei contributi comunitari, non richiede l’accertamento dell’illecito in base a una sentenza definitiva. Difatti, si è ritenuto che “il regolamento 1469/1995/CEE del Consiglio del 22 giugno 1995 è volto a garantire che le risorse comunitarie stanziate per l’attuazione della politica agraria comune non vengano concesse a persone e società che, in base a precedenti esperienze, non presentino sufficienti garanzie di affidabilità in merito alla corretta esecuzione dei loro obblighi relativamente alle operazioni ivi elencate e non interferisce con le misure cautelari che uno Stato membro può adottare nei confronti di un operatore suo debitore per avere riscosso contributi senza averne diritto. Il riferimento alla “decisione definitiva di una autorità amministrativa o giudiziaria” che abbia accertato l’indebita fruizione di vantaggi finanziari, contenuto nella lettera a) del paragrafo 2 dell’art. 1 di detto regolamento, vale, infatti, soltanto al fine di individuare gli operatori “a rischio” per la Comunità e non subordina affatto l’eventuale emanazione, da parte dell’amministrazione statale erogante, del fermo amministrativo dei pagamenti alla esistenza di un giudicato sull’illecita percezione di contributi pregressi” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1602 del 24/01/2007).

2.10 Conseguentemente, in tema di indebita percezione di contributi erogati dalla UE, il sistema recuperatorio e sanzionatorio previsto a livello comunitario si pone come rimedio volto ad assicurare la tutela minima indispensabile allo scopo di garantire il recupero delle risorse illegittimamente o illecitamente conseguite dai privati e, come tale, si aggiunge, senza sostituirsi, all’analogo e più rigoroso sistema di controllo predisposto dallo Stato membro, volto a conseguire la ripetizione delle erogazioni e la repressione dei comportamenti vietati (in tali termini si è espressa Cass. Sez. 1, Sentenza n. 3402 del 22/02/2016). Pertanto, in tale contesto di rigorosa tutela del mercato unico, non vi è solo un rapporto particolare tra aiuto economico e giudicato, ma anche tra Stato e operatore economico destinatario del contributo comunitario.

2.11 Tutto quanto sopra implica che, in tale settore, pur se il principio del rispetto del legittimo affidamento rappresenta, pur sempre, uno dei principi fondamentali della Unione Europea, gli operatori economici non possono confidare nella conservazione di una situazione che può essere modificata nell’ambito del potere discrezionale delle istituzioni comunitarie, e ciò in particolare in un settore, come quello delle organizzazioni comuni di mercato, il cui scopo implica un costante adattamento in funzione dei mutamenti della situazione economica. Ne discende che gli operatori economici non possono neanche far valere un diritto quesito alla conservazione di un vantaggio loro derivante dall’istituzione dell’organizzazione comune dei mercati e del quale hanno fruito in un determinato momento (v., in particolare, sentenze 5 ottobre 1994, cause riunite C-133/93, C-300/93 e C-362/93, Crispoltoni e a., Racc. pag. 1-4863, punti 57 e 58, e 17 settembre 1998, causa C-372/96, Pontillo, Racc. pag. 1-5091, punti 22 e 23; sentenza 6 luglio 2000, C- 402/98, Agricola Tabacchi Bonavicina s.n.c., punto 38).

2.12 Si spiega così, quindi, la ragione per cui l’ordinamento dell’Unione Europea, in tale materia, ha previsto un sistema di tutela anticipata e preventiva del mercato interno da parte dei diversi organi di controllo dell’Unione Europea (Commissione Europea e agenzie nazionali e periferiche preposte ai controlli), al fine non solo di riequilibrare il mercato, ma anche di evitare possibili distorsioni del gioco della libera concorrenza tra operatori economici che accedono agli aiuti o contributi economici, e che, per tal motivo, sopportano il rischio economico e imprenditoriale degli accertamenti da parte degli enti preposti al controllo del loro utilizzo, e il rischio della sospensione autoritativa dei contributi. Pertanto, anche in relazione ai poteri cautelari deve escludersi che gli operatori economici possano fare legittimamente affidamento sulla conservazione di una situazione esistente al tempo dell’elargizione, la quale può essere modificata alle condizioni di legge prestabilite.

2.13 Tutto quanto sopra, pertanto, dimostra che l’obbligo di sospensione dell’aiuto in caso di evidenza di una frode è immanente nel sistema. Tuttavia, appartiene al sistema costituzionale che l’esercizio di tale potere autoritativo non possa determinare una ingiustificata compressione dei diritti dei singoli.

2.14 Stando così le cose, la sospensione cautelare del contributo comunitario cui sia stato in via anticipata ammesso un operatore economico, può dimostrarsi fonte di pregiudizio allorchè, con valutazione ex ante, la misura cautelare caducata per effetto dell’assoluzione dal reato di truffa aggravata e continuata, si dimostri manifestamente infondata sin dal tempo della sua emanazione.

2.15 Più precisamente, la situazione da scrutinare, nel caso in questione, riguarda l’esercizio di una potestà cautelare riferita a una situazione di sospetta infrazione, ove il comportamento negligente, eventualmente fonte di danno, assunto dalla pubblica amministrazione va considerato in riferimento alla fattispecie nota e conosciuta al tempo della emanazione della misura, e non all’esito del giudizio penale, che costituisce un post factum rispetto alla misura cautelare anteriormente e preventivamente disposta, dovendosi far riferimento alla manifesta infondatezza non tanto dell’illecito, quanto del relativo sospetto che ha dato luogo all’applicazione della misura cautelare. Sul punto, trattandosi di illecito extracontattuale, una volta appurato che vi sono le condizioni di legge – il sospetto di illecita acquisizione dei contributi – per emettere la misura cautelare, spetta alla parte che deduce l’illiceità sostanziale della misura cautelare provare che, all’epoca della sua emissione, non sussistevano affatto le condizioni, in concreto, idonee a porla in essere.

2.16 Ed invero, la norma contenuta nel D.M. 2 gennaio 1985, art. 18, non sembra consentire margini di valutazioni approfondite sull’accertamento degli indizi della denuncia penale, all’AIMA-AGEA (cfr.: art. 18. Sospensione cautelativa. “Compatibilmente con la regolamentazione comunitaria e con le norme di cui al R.D. 18 novembre 1923, n. 2440 e successive modifiche, disciplinanti l’amministrazione del patrimonio e la contabilità generale dello Stato, nonchè con il D.P.R. 24 dicembre 1974, n. 727, l’AIMA adotta la sospensione cautelativa dell’aiuto comunitario per i produttori nei cui confronti dovessero insorgere sospetti, comprovati da denunce da parte degli uffici od organismi preposti ai controlli, di eventuali illeciti suscettibili di ripercuotersi negativamente sulla corretta erogazione dell’aiuto”). Tuttavia è altrettanto indubbio che, dovendo Agecontrol trasmettere (in base alla normativa del medesimo DM e della L. n. 898 del 1986) tutti i risultati della indagini ad AIMA (oggi AGEA), questo ente di controllo si pone in una posizione diversa da quella in cui pervenga ad AGEA la mera “notitia criminis” da parte di altra autorità pubblica (PG, Procura, Guardia di Finanza, etc.), invece non tenuta a trasmettere ad AIMA-AGEA anche gli atti di indagine. Nel caso in questione AGEA ha infatti a disposizione tutti i suddetti atti ed è, pertanto, nella condizione di verificare se le ipotesi di illecito prospettate da Agecontrol siano o meno manifestamente infondate, perchè in ipotesi contraddittorie ed illogiche. E’ anche vero che la sospensione del contributo si pone quale misura cautelare (come il R.D. n. 2440 del 1923, art. 69) e, dunque, presuppone soltanto un mero “fumus” di illiceità e la valutazione del “periculum” (indebita attribuzione dell’aiuto UE). Pertanto, in tale evenienza, o risulta ex actis, ovvero ictu oculi, la palese incongruità della denuncia, stante le evidenze immediate desumibili dagli atti di indagine (e allora AGEA dovrebbe astenersi dalla sospensione), ovvero, diversamente, AGEA non può esimersi dalla sospensione e non può alla stessa essere ascritta alcuna colpa per imprudenza o negligenza.

2.17 In definitiva, nella motivazione resa risulta che la Corte di merito non ha accertato se, in base ai documenti eventualmente trasmessi ad AGEA da Agecontrol, fosse possibile desumere ictu oculi la manifesta incongruità della contestazione dell’illecito, tale da non potere integrare il sospetto di frode, essendosi limitata a scrutinare l’esito del giudizio penale che ne è seguito, con un giudizio ex post che non tiene conto del fumus di illecito sussistente al tempo della sospensione del contributo, tenuto conto del fatto che la domanda risarcitoria rivolta alla P.A., di natura extracontrattuale, richiede l’assolvimento dell’onere della prova sulla macroscopica rilevabilità ictu ocull della infondatezza-incongruità della relazione, e della denuncia penale di Agecontrol, da parte dell’attore (in quanto attinente alla prova della colpa extracontrattuale), spettando a quest’ultimo fornire la dimostrazione che fin dall’inizio, e senza attendere il processo penale, AGEA avrebbe potuto agevolmente escludere l’ipotesi di illecito.

2.18 Il Giudice del rinvio, pertanto, ai fini dell’accertamento di una responsabilità civile dell’amministrazione pubblica per i danni colposamente provocati dalla P.A. all’attore, destinatario del contributo, nell’esercizio di un potere autoritativo conferito dalla legge, ex art. 2043 c.c., dovrà valutare se la notitia criminis ricevuta dalla Pubblica amministrazione fosse già in allora priva di fumus boni iuris, sì da rendere manifestamente insussistente il sospetto su cui deve fondarsi la misura cautelare.

2.19 Conclusivamente, il ricorso viene rigettato relativamente al primo motivo, mentre viene accolto con riferimento al secondo e terzo motivo, per quanto di ragione, e con assorbimento di ogni altra questione, rinviando alla Corte d’appello di Lecce, in diversa composizione, anche per le spese.

PQM

La Corte:

respinge il ricorso quanto al primo motivo;

accoglie il ricorso quanto ai motivi n. 2 e 3; per l’effetto cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Lecce, in diversa composizione, anche per le spese.

“si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo Presidente del collegio per impedimento dell’estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a)”.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il 18 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2020

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