Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9674 del 26/05/2020

Cassazione civile sez. III, 26/05/2020, (ud. 17/12/2019, dep. 26/05/2020), n.9674

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20222/2017 proposto da:

ROMA CAPITALE, (OMISSIS), in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA ADRIANA 8, presso lo

studio dell’avvocato GIOVANNI FRANCESCO BIASIOTTI MOGLIAZZA, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARLO SPORTELLI;

– ricorrente –

contro

D.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

BRENTONICO 110, presso lo studio dell’avvocato FULVIO MAFFEI, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3664/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata in data 1/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/12/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA;

udito il P.M, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per l’improcedibilità, in

subordine, per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato DANIELA GAMBARDELLA per delega;

udito l’Avvocato FULVIO MAFFEI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Roma Capitale ha proposto ricorso per cassazione, basato su tre motivi e illustrato da memoria, nei confronti di D.A. e avverso la sentenza parziale n. 120 della Corte d’appello di Roma, depositata il 9/01/2015, nonchè avverso la sentenza definitiva n. 3664/2017 della predetta Corte, depositata in data 1/06/2017.

Con la prima di tali pronunce, in totale riforma della sentenza n. 156/2010 del Tribunale di Roma – Sezione Distaccata di Ostia, la già indicata Corte territoriale ha dichiarato l’appellato Comune di Roma civilmente responsabile dell’illecito oggetto di giudizio e, per l’effetto, lo ha condannato al risarcimento, in favore dell’appellante D.A., dei danni da quest’ultimo subiti, da liquidarsi in prosieguo del giudizio, allorchè, nel percorrere, a bordo della sua auto, la strada laterale di via (OMISSIS), si era trovato davanti un grosso ramo di pino ed era stato costretto ad una manovra di emergenza per evitare l’impatto, andando però così ad urtare la recinzione metallica posta al lato della carreggiata.

Con la seconda delle predette sentenze, la medesima Corte ha condannato Roma Capitale al risarcimento dei danni in favore dell’appellante, per il complessivo importo di Euro 17.801,72, oltre interessi, nonchè alle spese del doppio grado del giudizio di merito e alle spese di c.t.u..

Ha resistito con controricorso D.A..

La ricorrente ha pure depositato “nota di deposito” datata 13 giugno 2018, con i relativi allegati.

Con O.I. della Sezione Sesta – 3 di questa Corte n. 33528/18, depositata in data 27 dicembre 2018, è stato disposto che il ricorso, in

un primo tempo avviato – in applicazione degli artt. 375, 376 e 380-bis c.p.c. – per la trattazione in Camera di consiglio, sia trattato in pubblica udienza presso questa Sezione.

In prossimità della presente udienza Roma Capitale ha depositato ulteriore memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso deve ritenersi procedibile alla luce del principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza del 25/03/2019, n. 8312 e secondo cui il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notificazione, di copia analogica della decisione impugnata predisposta in originale telematico e notificata a mezzo PEC priva di attestazione di conformità del difensore della L. n. 53 del 1994, ex art. 9, commi 1-bis e 1-ter, oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non determina l’improcedibilità del ricorso per cassazione laddove il controricorrente (o uno dei controricorrenti), nel costituirsi (anche tardivamente), depositi a sua volta copia analogica della decisione ritualmente autenticata, ovvero non disconosca D.Lgs. n. 82 del 2005, ex art. 23, comma 2, la conformità della copia informale all’originale notificatogli; nell’ipotesi in cui, invece, la controparte (o una delle controparti) sia rimasta soltanto intimata, ovvero abbia effettuato il suddetto disconoscimento, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità il ricorrente ha l’onere di depositare l’asseverazione di conformità all’originale della copia analogica, entro l’udienza di discussione o l’adunanza in Camera di consiglio.

Ed invero, nella specie, la ricorrente ha depositato con le note del 13 giugno 2018, prima dell’adunanza camerale fissata dinanzi alla Sezione Sesta – 3, copia della sentenza della Corte di merito n. 3664/2017, notificata a mezzo di posta elettronica in data 3 giugno, con la relativa asseverazione di conformità, inizialmente mancante.

2. Il primo motivo è così rubricato: “Sulla falsa applicazione del D.Lgs. 30 aprile 1995, n. 285, artt. 116, 119 e 126, in relazione agli artt. 2015 e 2043 c.c., in combinato disposto con l’art. 1227 c.c., in merito all’accertamento del nesso di causalità tra il sinistro e la guida con la patente scaduta. In relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Premesso che, in occasione del sinistro di cui si discute in causa, il D. guidava senza avere con sè la patente di guida, poi risultata scaduta, come riportato nel verbale della Polizia municipale, la ricorrente sostiene che, essendosi l’incidente verificato a causa della guida da parte del D. (“in connessione con la circolazione del mezzo”, come affermato dal Tribunale), la Corte di merito “avrebbe dovuto verificare se il danneggiato avesse effettivamente il divieto di guidare con la patente scaduta e quindi verificare, in caso positivo, se il fatto non sarebbe accaduto. Ciò proprio perchè l’obbligo di guidare con la patente valida ha la sua causa nella prevenzione dei danni, in mancanza di un accertamento di idoneità del guidatore”.

Assume Roma Capitale che lo “scopo” dell’art. 126 C.d.S., “non è quello di regolamentare il rilascio di documenti di identità, ma la verifica di idoneità a seguito di specifico accertamento e quindi in mancanza… di tale accertamento, il D. non avrebbe dovuto mettersi alla guida, perchè è proprio la guida che la norma intende inibire in mancanza di idoneità”.

Ad avviso della ricorrente, nel caso di specie, la Corte territoriale, affermando che la guida senza patente o con la patente scaduta non fosse “fattore idoneo ad interrompere il nesso di causalità” avrebbe “violato (e falsamente applicato) il combinato disposto degli artt. 116, 119 e 126 C.d.S., perchè questi regolamentano il rilascio delle patenti di guida dal punto di vista esclusivamente amministrativo, ma inibiscono la circolazione a chi non abbia ottenuto il rinnovo della patente a seguito di una verifica di idoneità psicofisica al fine di non causare danni, ciò è tanto vero che la patente scaduta viene ritirata quale sanzione accessoria in caso di violazione della norma, così ponendo il soggetto nella stessa condizione di chi è senza patente. Conseguentemente la Corte d’Appello ha violato gli artt. 2051 e 2043 c.c., in combinato disposto con l’art. 1227 c.c., perchè in presenza di divieto di guidare, quando l’evento sia stato direttamente causato dalla guida, cioè nella sua dinamica e quindi in sua connessione, il nesso di causalità è interrotto dal comportamento illegittimo del danneggiato”.

3. Con il secondo motivo, rubricato “Sul vizio di motivazione per contraddittorietà insanabile in relazione all’art. 132 c.p.c., n. 4, in merito alla condotta colpevole del danneggiato”, la ricorrente denuncia l’insanabile contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata laddove la Corte di merito ha dato atto della presenza, al centro della carreggiata, da un lato, di un ostacolo di grandi dimensioni e, dall’altro, di un ingombro inopinato, quindi imprevedibile in condizioni di limitata visibilità, evidenziando che un ostacolo di grandi dimensioni non sarebbe mai imprevedibile proprio perchè la visibilità sarebbe insita nelle dimensioni, sicchè non sarebbe dato conoscere il ragionamento della Corte territoriale nel ritenere responsabile il custode, visto che l’ostacolo, in quanto visibile, poteva essere evitato.

Secondo la ricorrente, la Corte di merito avrebbe accertato la responsabilità del custode senza motivare al riguardo, risultando la motivazione apparente o, comunque, intimamente contraddittoria, risolvendosi così in una radicale assenza di motivazione sul punto decisivo attinente al nesso causale determinante la responsabilità ex art. 2051 c.c..

4. Con il terzo motivo, rubricato “Sotto altro aspetto sull’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, sempre in merito alla condotta colpevole del danneggiato”, Roma Capitale sostiene che, avendo la Corte territoriale affrontato d’ufficio, ex art. 1227 c.c., la questione dell’eventuale concorso di colpa del debitore, la medesima avrebbe dovuto tener conto dell’intero verbale della Polizia Municipale e, in particolare, di quanto in esso descritto circa la dinamica dell’incidente ed avrebbe dovuto, quindi, necessariamente attribuire la responsabilità al guidatore, stante la violenza dell’impatto della vettura contro la banchina, tale da abbattere dieci metri di rete metallica e otto pali di legno, dopo aver roteato su sè stessa più volte da sinistra a desta della carreggiata, riportando danni materiali per 13.000 Euro, il che dimostrerebbe che la velocità tenuta dal D. (oltretutto privo di patente perchè scaduta) non sarebbe stata consona alla strada, alla forte pioggia e all’orario notturno.

Conclusivamente, secondo la ricorrente, la velocità elevata, che la Corte di merito, pur esaminando il verbale, avrebbe omesso di considerare e il fatto pacifico che si trattava di un ostacolo visibile, perchè grande, in una strada notoriamente in rettilineo come la via (OMISSIS) avrebbero dovuto condurre la predetta Corte ad una diversa ricostruzione del fatto, tanto da esimere del tutto il custode “da colpe”.

5. I motivi, che censurano espressamente la sentenza n. 120/2015, in relazione alla quale è stata formulata riserva di ricorso per cassazione all’udienza del 25 marzo 2015, come incontestato tra le parti, e che, essendo strettamente connessi, possono essere esaminati congiuntamente, sono inammissibili.

E’ pur vero che questa Corte ha già avuto modo di affermare che il criterio di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2051 c.c., ha carattere oggettivo, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell’attore del nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno, mentre sul custode grava l’onere della prova liberatoria del caso fortuito, inteso come fattore che, in base ai principi della regolarità o adeguatezza causale, esclude il nesso eziologico tra cosa e danno, ed è comprensivo della condotta incauta della vittima, che assume rilievo ai fini del concorso di responsabilità ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1 e deve essere graduata sulla base di un accertamento in ordine alla sua effettiva incidenza causale sull’evento dannoso, che può anche essere esclusiva (nella specie esaminata nella richiamata pronuncia, questa Corte ha confermato la sentenza d’appello, che aveva escluso la responsabilità dell’ente proprietario della strada, sul presupposto che la buca presente sul manto stradale, che aveva determinato la caduta del ciclomotore dell’attrice, si presentava ben visibile in quanto di apprezzabili dimensioni, non ricoperta da materiale di sorta e collocata al centro della semicarreggiata percorsa dall’attrice, nell’ambito di un più ampio tratto stradale dissestato e sconnesso) (Cass., ord., 30/10/2018, n. 27724). Inoltre, sempre secondo la giurisprudenza di legittimità, in tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione – anche ufficiosa – dell’art. 1227 c.c., comma 1, richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 Cost., sicchè, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro (nella specie esaminata con la pronuncia da ultimo menzionata, questa Corte ha confermato la statuizione di merito, che aveva escluso la responsabilità in capo all’ente proprietario e gestore della strada, munita di guardrail di altezza a norma di legge, per i danni patiti dal superamento del medesimo da parte del conducente di un veicolo, che aveva perso per causa ignota il controllo del mezzo, affermando che il custode non può rispondere dei danni cagionati in via esclusiva dalla condotta del danneggiato, da qualificarsi oggettivamente non prevedibile secondo la normale regolarità causale nelle condizioni date dai luoghi) (Cass., ord., 1/02/2018, n. 2480).

Va, tuttavia, osservato che la Corte di merito, in base ad un accertamento in fatto, che non può più essere rimesso in discussione in questa sede, ha ritenuto che la mancanza di rinnovo della patente al momento del sinistro non costituisse fattore idoneo ad interrompere il nesso di causalità e che in mancanza di allegazione, in secondo grado (non essendo stata più riproposta ex art. 345 c.p.c., in quel grado, l’eccezione relativa alla forza maggiore come causa di esclusione del nesso di causalità – vento forte che avrebbe inopinatamente provocato la caduta del ramo sulla strada) di un fattore imprevedibile ed assolutamente eccezionale avente impulso causale autonomo e come tale estraneo alla sfera di custodia, il Comune doveva “essere ritenuto responsabile dei danni derivati nell’occorso all’automobilista a causa dell’inopinato ingombro verificatosi, in condizioni di limitata visibilità, data l’ora serale, sulla carreggiata” (v. sentenza della Corte di appello di Roma n. 120/2015, pure impugnata in questa sede).

Peraltro, neppure risulta che sia stato dedotto tempestivamente che il sinistro sia da addebitare ad un errore di guida del soggetto (a meno che non si voglia ricomprendere in ciò la velocità eccessiva cui sembra farsi riferimento, però, solo in questa sede di legittimità, non essendo stato riferito in ricorso quando e in quali termini l’attuale ricorrente abbia precedentemente, nei gradi di merito, richiamato specificamente tale circostanza).

Inoltre, non sussiste la denunciata insanabile contraddittorietà della motivazione della sentenza censurata, risultando la stessa del tutto idonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione adottata e, comunque, il terzo motivo non è stato veicolato secondo i dettami indicati della giurisprudenza di legittimità, anche alla luce di quanto sopra evidenziato in relazione alla mancata indicazione, in ricorso, del se, quanto e come la ricorrente abbia fatto riferimento, nel giudizio di merito, alla circostanza della ora dedotta velocità eccessiva tenuta dal D. (v. Cass., sez. un., 7/04/2014, n. 8053, secondo cui l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

6. In conclusione, il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.

7. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

8. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 17 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2020

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