Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9671 del 26/05/2020

Cassazione civile sez. III, 26/05/2020, (ud. 10/12/2019, dep. 26/05/2020), n.9671

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21115/2018 proposto da:

AZIENDA SANITARIA LOCALE BARI, in persona del Commissario

Straordinario p.t., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA B.

TORTOLINI, 30, presso lo studio dell’avvocato SNC STUDIO PLACIDI,

rappresentata e difesa dall’avvocato GAETANO CAPUTO;

– ricorrente –

contro

L.M., COMUNE RUVO DI PUGLIA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 829/2018 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 10/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/12/2019 dal Consigliere Dott. GABRIEL POSITANO.

Fatto

RILEVATO

che:

con atto di citazione del 12 maggio 2006, L.M. evocava in giudizio, davanti al Tribunale di Trani, sezione distaccata di Ruvo di Puglia, la AUSL BA/(OMISSIS) chiedendo che quest’ultima fosse dichiarata responsabile dei danni subiti dall’attore per l’aggressione ad opera di alcuni cani randagi di grossa taglia, verificatasi in (OMISSIS). Si costituiva in giudizio l’Azienda Sanitaria eccependo il difetto di legittimazione passiva, contestando, comunque, la fondatezza della domanda e chiedendo che fosse affermata la responsabilità del Comune di Ruvo di Puglia, di cui chiedeva la chiamata in causa. Provveduto a ciò, ai sensi dell’art. 107 c.p.c., si costituiva l’amministrazione comunale eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva e concludendo, in ogni caso, per l’infondatezza della domanda;

espletata la prova testimoniale e la consulenza tecnica il Tribunale, con sentenza del 15 febbraio 2013, dichiarava la responsabilità della ASL Bari (già AUSL BA/(OMISSIS)) condannandola a corrispondere la somma di Euro 43.897, oltre interessi e rivalutazione, e rigettava la domanda proposta nei confronti del Comune;

con atto di citazione del 14 febbraio 2014, l’Azienda Sanitaria proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Trani eccependo il difetto di giurisdizione e deducendo l’erronea applicazione della legge speciale in materia di randagismo, la falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. e l’ingiusta estromissione dell’amministrazione comunale. Si costituiva quest’ultima eccependo l’improcedibilità dell’appello in quanto tardivo, l’inammissibilità del gravame, ai sensi dell’art. 342 c.p.c., nonchè l’infondatezza dello stesso. Si costituiva in giudizio L.M. formulando analoga eccezione, anche ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c. e chiedendo, in via subordinata, l’affermazione della concorrente responsabilità del Comune di Ruvo di Puglia.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 2043 e 2697 c.c. e degli artt. 113 e 115 c.p.c., in tema di ripartizione dell’onere probatorio. La Corte avrebbe operato una illegittima inversione dell’onere probatorio ponendo a carico dell’Azienda Sanitaria la dimostrazione di essersi attivata per elidere il fenomeno del randagismo. Al contrario il giudice di legittimità (ordinanze n. 18954 del 2017 e n. 11591 del 2018) richiederebbe l’allegazione e la prova a carico dell’attore danneggiato di una concreta condotta colposa ascrivibile all’ente in base ai principi della causalità omissiva. Nel caso di specie, l’attore non avrebbe provato specifici profili di colpa, non avendo allegato l’esistenza di segnalazioni della presenza di cani randagi sul territorio;

il motivo è infondato.

Questa Corte ha già avuto modo di affermare (Cass. civ. 2015 n. 2741) che, in base al principio del neminem laedere, la P.A. è responsabile dei danni riconducibili all’omissione dei comportamenti dovuti, i quali costituiscono il limite esterno alla sua attività discrezionale e integrano la norma primaria del neminem laedere di cui all’art. 2043 c.c.. E invero, in presenza di obblighi normativi, la discrezionalità amministrativa si arresta, poichè l’ente è tenuto ad evitare o ridurre i rischi connessi all’attività di attuazione della funzione attribuitale;

è stato poi segnatamente evidenziato che, poichè è fuori discussione che l’omissione di una condotta rileva, quale condizione determinativa del processo causale dell’evento dannoso, allorchè si tratti di omissione di un comportamento di cautela imposto da una norma giuridica specifica, ovvero da una posizione del soggetto che implichi l’esistenza di particolari obblighi di prevenzione dell’evento, in caso di concretizzazione del rischio che la norma violata tende a prevenire, il nesso di causalità che astringe a quest’ultimo i danni conseguenti, rimane presuntivamente provato (cfr. Cass. civ. sez. un. 11 gennaio 2008 n. 584; Cass. civ. 11 gennaio 2008, 582; Cass. civ. 12 febbraio 2015, n. 2741 in motivazione);

in tale prospettiva è stato altresì precisato che, una volta dimostrata in giudizio la sussistenza dell’obbligo di osservare la regola cautelare omessa ed una volta appurato che l’evento appartiene al novero di quelli che la norma mirava ad evitare attraverso il comportamento richiesto, non rileva, ai fini dell’esonero dalla responsabilità, che il soggetto tenuto a detta osservanza abbia provato la non conoscenza in concreto dell’esistenza del pericolo (cfr. Cass. civ. 5 maggio 2009, n. 10285);

ne deriva che l’onere del danneggiato di provare, anche per presunzioni, l’esistenza di segnalazioni o richieste di intervento per la presenza abituale di cani, qualificabili come randagi, valorizzato da questa Corte con pronuncia dalla quale il collegio non intende discostarsi (Cass. civ. 31 luglio 2017, n. 18954), è, a valle, dell’onere del soggetto (ASL) tenuto per legge alla predisposizione di un servizio di recupero di cani randagi abbastanza articolato, di provare di essersi attivato rispetto all’onere cautelare previsto dalla normativa regionale;

nel caso di specie, il servizio di recupero dei cani randagi grava sulle ASL e la domanda risarcitoria è fondata su un fatto che costituisce, come testè rimarcato, concretizzazione del rischio che la norma cautelare mirava ad evitare. E poichè l’osservanza della norma cautelare implica l’approntamento di un servizio organizzato, spettava alla ASL dedurre e dimostrare di avervi dato compiuta osservanza in base ai principi generali in materia di nesso di causalità e di responsabilità colposa;

solo una volta che questa prova fosse stata data, spettava all’attore dedurre e dimostrare che, per esempio, il servizio era stato approntato solo sulla carta, ma che in realtà non era operativo o aveva, nella fattispecie, funzionato male, perchè c’erano state specifiche segnalazioni che non avevano avuto seguito;

il giudice di appello ha accolto la domanda perchè la ASL “non aveva provato di essersi opportunamente attivata per arginare o elidere, quanto meno nell’ambito del contesto cittadino, il fenomeno del randagismo” (pag. 5 della sentenza); e a fronte di tale puntuale notazione la censura non è adeguata;

con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, l’errata applicazione della Legge Quadro n. 281 del 1992 e della L.R. n. 12 del 1995, e la violazione del D.P.R. n. 320 del 1954, art. 84, e della Delib. Giunta Regionale n. 1223 del 2013, con conseguente errata ripartizione della responsabilità tra Asl e Comune. In particolare, la Corte territoriale, pur invocando la L.R. n. 12 del 1995, avrebbe omesso di considerare l’ulteriore disciplina di settore, che consentirebbe di individuare nel Comune il responsabile del sinistro. Tale profilo avrebbe trovato conferma negli orientamenti della giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 2741 del 2015 riguardante proprio l’ipotesi di danni subiti da un motociclista aggredito da un cane randagio);

il motivo è infondato. Occorre preliminarmente ribadire che la responsabilità per i danni causati dagli animali randagi è disciplinata dalle regole generali di cui all’art. 2043 c.c., e non da quelle di cui all’art. 2052 c.c., che sono applicabili al diverso caso della fauna selvatica (da ultimo, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 31059 del 28 novembre 2019 e Cass. Sez. 3 – n. 31957 del 11/12/2018);

la questione che il motivo di ricorso pone è quella, preliminare al profilo della colpa, dell’esistenza dell’obbligo giuridico di attivarsi. La responsabilità che viene imputata alla pubblica amministrazione è di tipo omissivo, per non essersi attivata sulla base di un obbligo giuridico. L’esistenza dell’agere vincolato sulla base della legge esclude l’esistenza di una discrezionalità per il soggetto pubblico, come è evidente. E invero, come innanzi evidenziato, l’esistenza dell’obbligo giuridico fonda l’antigiuridicità della condotta omissiva, nel senso che l’efficienza dell’omissione sul piano causale rispetto all’evento dannoso diventa giuridicamente rilevante ai fini dell’imputazione dell’evento in presenza dell’obbligo giuridico di impedirlo, secondo il paradigma dell’art. 40 c.p., comma 2;

deve pertanto accertarsi se, con riferimento alla ASL ricorrente, si configurasse l’obbligo giuridico di provvedere alla cattura dell’animale da parte della Azienda Sanitaria ovvero del Comune o di altro ente pubblico;

come affermato da Cass. 18 maggio 2017 n. 12495 e 20 giugno 2017 n. 15167, relative, rispettivamente, alla L.R. Sicilia e L.R. Lazio, poichè la Legge Quadro Statale n. 281 del 1991, non indica direttamente a quale ente spetti il compito di cattura e custodia dei cani randagi, ma rimette alle Regioni la regolamentazione concreta della materia, occorre analizzare la normativa regionale caso per caso per dirimere la controversia in ordine a quale ente sia ascrivibile la responsabilità civile;

la L.R. Puglia 3 aprile 1995, n. 12, art. 6, la cui rubrica reca Recupero cani randagi, prevede:

“1. Spetta ai Servizi veterinari delle USL il recupero dei cani randagi. 2. In caso di recupero dei cani vaganti regolarmente anagrafati si provvede alla restituzione al legittimo proprietario. I cani non anagrafati vengono iscritti all’anagrafe canina e, se non reclamati entro sessanta giorni, possono essere ceduti gratuitamente a privati maggiorenni, a enti e associazioni protezionistiche. 3. Prima della scadenza del termine di cui al precedente comma 2 possono essere ceduti in affidamento temporaneo, con l’impegno, da parte degli affidatari, di restituirli ai proprietari che li richiedessero entro i sessanta giorni. 4. Il recupero dei cani randagi deve essere effettuato in modo indolore e senza arrecare traumi all’animale. 5. La soppressione così come prevista del D.P.R. 8 febbraio 1954, n. 320, artt. 86, 87 e 91 e dalla L. 14 agosto 1991, n. 281, art. 2, comma 6, deve essere effettuata esclusivamente dai medici veterinari, anche liberi professionisti, con metodo eutanasico”.

Con riferimento alle competenze comunali prevede l’art. 2: “1. Le funzioni di vigilanza sul trattamento degli animali, la tutela igienico – sanitaria degli stessi, nonchè i controlli connessi all’attuazione della presente legge sono attribuiti ai Comuni, che li esercitano mediante le Unità sanitarie locali (USL), ai sensi della L.R. 2 agosto 1989, n. 13, art. 5.

2. Per le funzioni di cui al precedente comma 1, le USL possono avvalersi della collaborazione delle Guardie zoofile di cui al successivo art. 15 e degli enti ed associazioni di cui all’art. 13 della presente legge”.

Infine, l’art. 8 prevede: “I Comuni, singoli o associati, provvedono alla costruzione o al risanamento dei canili sanitari esistenti di cui al D.P.R. 8 febbraio 1954, n. 320, art. 84, secondo i criteri stabiliti, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, dalla Giunta regionale. Per le predette finalità i Comuni possono utilizzare i fondi rivenienti dagli oneri di urbanizzazione.

2. I canili sanitari rappresentano la struttura nella quale trovano accoglienza i cani recuperati in quanto vaganti. Presso tali strutture i suddetti cani saranno anagrafati e sottoposti agli interventi sanitari di cui alla L. 14 agosto 1991, n. 281, art. 2, comma 5. Presso i canili sanitari i cani stazioneranno per il periodo di sessanta giorni in attesa di riscatto o affidamento o cessione a norma del precedente art. 6, comma 3, previo trattamento profilattico.

3. La gestione dei canili sanitari è affidata ai Comuni. E’ fatto obbligo ai Servizi veterinari delle USL di garantire adeguata assistenza sanitaria ai suddetti canili, ricorrendo al Servizio di pronta disponibilità.

4. I Comuni prevedono nel proprio bilancio stanziamenti sufficienti per la manutenzione dei canili sanitari e il sostentamento dei cani ricoverati e custodia”.

dal quadro normativo che precede risulta evidente che funzione tipica dell’obbligo giuridico di recupero dei cani randagi a carico dei Servizi veterinari delle ASL è di prevenire eventi dannosi quale quello per cui è causa. Il punto da chiarire è se, in base a diverso titolo, ricorra anche l’obbligo giuridico del Comune;

orbene, secondo un indirizzo di questa Corte, e proprio con riferimento alla Legge Regionale in considerazione, la vigilanza sui cani randagi spetta alle A.S.L., mentre sui Comuni non può ricadere il giudizio di imputazione dei danni (Cass. 7 dicembre 2005, n. 27001; 27 giugno 2008, n. 17737; 3 aprile 2009, n. 8137);

al riguardo è stato, in particolare, affermato che “l’ente territoriale – ai sensi della Legge Quadro 14 agosto 1991, n. 281 e delle leggi regionali in tema di animali di affezione e prevenzione del randagismo – è tenuto, in correlazione con gli altri soggetti indicati dalla legge, al rispetto del dovere di prevenzione e controllo del randagismo sul territorio di competenza” (Cass. 12 febbraio 2015, n. 2741). Ed è significativo che a tale statuizione, pur resa con riferimento ad una vicenda relativa all’applicazione della legge della Regione Puglia, sia stata di fatto riconosciuta portata generale, considerato che essa risulta richiamata in altre fattispecie relative a diversi contesti regionali (Cass. 23 agosto 2011, n. 17528 e 13 agosto 2015, n. 16802);

proprio per la sua portata generale l’affermazione deve essere peraltro confrontata con le specificità, sia della legislazione regionale rilevante ai fini della soluzione della controversia, sia della fattispecie dedotta in giudizio.

Ora, non par dubbio che, in continuità con l’indirizzo tradizionale, l’obbligo giuridico di costruzione e gestione di canili sanitari per l’accoglienza dei cani vaganti è astrattamente suscettibile di integrare il requisito di antigiuridicità di un contegno omissivo ai fini dell’imputazione causale di un evento dannoso, o anche il requisito soggettivo di una condotta colposa da identificare con la mera inosservanza di legge se le circostanze lo consentono, ma resta estraneo alla funzione tipica della prevenzione dei rischi derivanti dal randagismo, di cui è espressione l’evento dannoso per cui è causa, in quanto non comporta l’obbligo dell’attività di recupero, ma solo quello di accoglienza dei cani randagi;

il punto è chiarito dalla differenza con la L.R. Lazio 21 ottobre 1997, n. 34, al centro dell’attenzione di Cass. 20 giugno 2017 n. 15167. In base all’art. 2 della legge appena menzionata, i Comuni provvedono, fra l’altro, “a) alla costruzione dei canili e al risanamento delle strutture esistenti nel rispetto dei criteri stabiliti dall’art. 4 e sentite le aziende USL, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge. Le strutture di nuova costruzione assolvono alla duplice funzione di assistenza sanitaria e di ricovero; b) ad assicurare il ricovero, la custodia ed il mantenimento dei cani nelle strutture sotto il controllo sanitario dei servizi veterinari delle aziende USL”;

la norma (Legge Regionale Lazio) prevede un obbligo specifico, oltre che di custodia e mantenimento dei cani, anche di ricovero, che è attività che si aggiunge a quella di mera gestione del canile in quanto attività ulteriore ed esterna rispetto a quella indirizzata al canile. In tal senso è l’interpretazione di Cass. 20 giugno 2017 n. 15167, la quale ha affermato che “la norma va interpretata nel senso che spetta ai comuni, non solo la custodia, ma anche la cattura dei cani vaganti e randagi, dal momento che questa costituisce il presupposto del ricovero nelle apposite strutture comunali”. Tale attività di ricovero (implicante la cattura) è, invece, estranea ai compiti dei Comuni secondo la legge della Regione Puglia, i quali devono limitarsi alla gestione dei canili al fine della mera “accoglienza” dei cani, mentre al “ricovero” evidentemente provvedono i soggetti tenuti al recupero dei cani randagi, e cioè i Servizi veterinari delle ASL;

come rilevato da ultimo da Cass. n. 1760 del 28 giugno 2018 il discrimine ai fini della responsabilità civile risiede dunque nella differenza fra “accoglienza” e “ricovero”, posto che solo il secondo presuppone l’attività di recupero e cattura. All’accoglienza si legano gli obblighi di custodia e mantenimento dei cani, la cui violazione, a seconda delle circostanze, è suscettibile di determinare la responsabilità civile;

non vi è invece un dovere a carico dei Comuni di recupero e cattura dei cani randagi quale obbligo giuridico la cui violazione possa integrare una fattispecie di responsabilità civile. Va quindi confermato l’indirizzo in termini di difetto di legittimazione passiva del Comune con conseguente rigetto del motivo;

con il terzo motivo, dedotto in via subordinata, si lamenta la violazione dell’art. 116 c.p.c. e degli artt. 2699 e 2700 c.c., riguardo al valore probatorio della relazione del veterinario e la violazione della citata L.R. n. 12 del 1995, artt. 2 e 6, in materia di riparto di competenze tra amministrazioni, nonchè la violazione degli artt. 113 e 115 c.p.c. e conseguente nullità della sentenza per contraddizione della motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. La Corte avrebbe violato le norme in tema di prova legale, quale quella rappresentata dall’atto pubblico predisposto dal veterinario dipendente della Asl di Bari riguardo alla mancanza di posti disponibili presso il canile del Comune di Ruvo di Puglia. Il documento, pur essendo posteriore al sinistro, farebbe riferimento a circostanze precedenti l’episodio in oggetto e avrebbe dovuto essere preso in considerazione quale atto pubblico;

il terzo motivo è inammissibile perchè, a fronte della specifica motivazione del Tribunale, quale emerge dal testo riprodotto dal controricorrente, la doglianza sollevata in appello (riportata a pagina 12 del ricorso) è assolutamente generica, con la conseguenza che il motivo è nuovo ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6;

si ricorda all’uopo che il ricorrente che proponga una determinata questione giuridica – che implichi accertamenti di fatto – ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione (Cass. Sez. 3 n. 27568 del 21/11/2017, Rv. 646645-01);

ne consegue che il ricorso deve essere rigettato; le spese del presente giudizio vanno compensate in considerazione della complessità delle questioni. Infine, tenuto conto del tenore della decisione, mancando ogni discrezionalità al riguardo (Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) la Corte dichiara che sussistono i presupposti per il pagamento del doppio contributo se dovuto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del giudizio. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1- quater, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza della Corte Suprema di Cassazione, il 10 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2020

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