Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 967 del 21/01/2010

Cassazione civile sez. un., 21/01/2010, (ud. 15/12/2009, dep. 21/01/2010), n.967

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ELEFANTE Antonino – Primo Presidente f.f. –

Dott. PREDEN Roberto – Presidente di sezione –

Dott. VIDIRI Guido – Consigliere –

Dott. ODDO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.A.M. � difesa in virtu’ di procura speciale in calce

al ricorso dall’avv. LOZZI Gilberto del Foro di Torino ed

elettivamente domiciliata in Roma, alla via Paolo Mercuri, n. 8,

presso l’avv. Emanuele Squarcia;

– ricorrente –

Avverso la sentenza della Sezione disciplinare del Consiglio

Superiore della Magistratura n. 66 del 5 giugno 2009, che ha

dichiarato la C. responsabile dell’incolpazione ascrittale e

le ha inflitto la sanzione disciplinare della censura;

Udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 15

dicembre 2009 dal Consigliere Dott. ODDO Massimo;

udito per la ricorrente l’avv. Gilberto Lozzi;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Martone Antonio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione promosse il 20 febbraio 2008 procedimento disciplinare nei confronti del dott. C.A.M., “avendo in qualita’ prima di sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di (OMISSIS) (sino al 30 novembre 2000), quindi di Procuratore aggiunto presso lo stesso Tribunale (dal 1 dicembre 2000) omesso di trattare ovvero trattato con grave ritardo numerosi procedimenti a lei assegnati, alcuni dei quali per reati contro la P.A., con la conseguenza che tali procedimenti venivano dichiarati estinti per intervenuta prescrizione”.

All’esito delle indagini formulo’ a carico della C. l’incolpazione di violazione del R.D.Lgs. 31 maggio 1946, n. 511, art. 18 (ora D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 1, comma 1, e art. 2, comma 1, lett q, e succ. mod.), perche’ con la sua condotta omissiva reiterata, grave e non giustificata si era resa “immeritevole della fiducia e della considerazione di cui il magistrato deve godere, con compromissione del prestigio dell’ordine giudiziario e, comunque, dell’immagine del magistrato” e chiese al Presidente della Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura la fissazione dell’udienza di discussione orale.

Con sentenza del 5 giugno 2009, la Sezione disciplinare dichiaro’ la C. responsabile dell’incolpazione ascrittale � fatta eccezione per i procedimenti rubricati sub g) ed o) -, infliggendole la sanzione disciplinare della censura, e l’incolpata e’ ricorsa per la cassazione della decisione con quattro motivi.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso, denunciando la nullita’ della sentenza impugnata in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), lamenta l’inosservanza dell’art. 178 c.p.p., lett. c), per l’omesso esame e valutazione della memoria difensiva depositata il 14 maggio 2009, che il consigliere relatore nell’udienza di discussione “ha riconosciuto di non avere letto (o non aver letto integralmente)”.

Il motivo e’ inammissibile.

E’ vero che l’obbligo, imposto dal D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 18, comma 4 di osservare nel giudizio davanti alla Sezione disciplinare del C.S.M., in quanto compatibili, le norme del codice di procedura penale sul dibattimento, consente la denuncia in sede di impugnazione dell’omesso esame di una memoria difensiva, depositata dall’incolpato nell’udienza di discussione ex art. 121 c.p.p., in termini oltre che di vizio incidente sull’adeguatezza della motivazione, anche di nullita’ di ordine generale prevista dall’art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c), (cfr. quanto a giudizio penale da ultimo: Cass. pen., sez. 1^, sent. 7 luglio 2009, n. 31245; Cass. pen., sez. 1^, sent. 14 ottobre 2005, n. 45104). Tuttavia, il rispetto imposto dal D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 24, delle forme dell’impugnazione previste dall’art. 581 c.p.p., lett. c), richiede che il motivo di ricorso per Cassazione che denunci detta nullita’ contenga l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto dai quali la censura trae fondamento e, in particolare, l’enunciazione delle questioni sollevate con la memoria difensiva di cui e’ lamentato l’omesso esame, onde permettere al giudice di legittimita’ di verificare, da un lato, l’effettiva assenza di una pronuncia esplicita od implicita su di esse e, dall’altro, la rilevanza della loro soluzione ai fini della decisione (cfr. da ultimo per l’applicabilita’ del principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione anche in sede penale: Cass. pen., sez. 1^, sent. 18 marzo 2008, n. 16706). Nella specie, la sentenza della Sezione disciplinare contiene un riferimento espresso alle circostanze esposte dall’incolpata a propria giustificazione nel foglio n. 5 della memoria da lei depositata il 14 maggio 2009 (cfr.: pag. 6, lett. f) e pag. 7), che vale ad escludere che il giudice abbia ignorato nella sua interezza l’atto difensivo, e, posto che l’inadeguatezza della relazione del procedimento svolta dal consigliere nell’udienza di discussione non costituisce causa di diretta, e tanto meno riflessa, di nullita’ del giudizio (cfr.: Cass. pen., sez. 5^, sent. 25 ottobre 1983, n. 10529), la mancata indicazione di quali fatti od argomenti esposti nella memoria non sarebbero stati valutati dal giudice a quo sanziona il motivo con l’inammissibilita’ prevista dall’art. 591 c.p.p., non essendo possibile apprezzare ne’ la sussistenza del vizio denunciato e ne’ la decisivita’ di esso e l’interesse del ricorrente a dolersene.

Il secondo motivo, in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), deduce l’inosservanza od erronea applicazione della legge disciplinare, per avere ritenuto che il numero e la durata dei ritardi nella trattazione dei procedimenti, comportando una “lesione dell’immagine del magistrato e dell’ordine giudiziario”, integravano di per se’ la fattispecie disciplinare addebitata, benche’ l’affermazione della colpevolezza del magistrato per l’illecito previsto dal D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. q, non consentisse alcun riferimento ai principi affermati nella vigenza dell’abrogato R.D.Lgs. 31 maggio 1946, n. 511, art. 18 ed imponesse l’accertamento di un “reiterato, grave e ingiustificato ritardo nel compimento degli atti relativi all’esercizio delle funzioni”.

Il motivo e’ infondato.

La Sezione disciplinare, investita dell’esame di una condotta omissiva iniziata nel regime del R.D.Lgs. n. 511 del 1946 e protrattasi in quello del D.Lgs. n. 109 del 2006, ha espressamente escluso l’ultrattivita’ dell’abrogata disciplina ed ha esaminato la ravvisabilita’ dell’illecito addebitato all’incolpata anche con riferimento al disposto dei vigenti D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1 e art. 2, comma 1, lett. q, che individuano i doveri del magistrato ed attribuiscono rilevanza disciplinare al ritardo nel compimento degli atti relativi all’esercizio delle sue funzioni nei soli casi in cui detto ritardo sia reiterato, grave ed ingiustificato. In primo luogo, ha sottolineato l’evidenza della reiterazione, tenuto conto dei circa venti procedimenti oggetto della contestazione, e della gravita’ del ritardo, considerati sia il notevole lasso di tempo intercorso nella formulazione delle richieste conclusive dei procedimenti assegnati all’incolpata, “depositate, in quasi tutti i casi, nel sesto o settimo anno, ma anche nell’ottavo, nel nono e, in un caso, persino nel decimo anno successivo all’ultimo atto d’indagine compiuto”, e sia l’interesse pubblico al sollecito controllo dell’attivita’ del pubblico ministero e quello privato ad una celere definizione dei procedimenti. In secondo luogo, ha valutato le giustificazioni del ritardo, indicate dall’incolpata:

1) nel volontario accantonamento dei procedimenti perche’ il reato era insussistente o non vi erano elementi per sostenere l’accusa;

2) nel carico di lavoro da cui era gravata dopo la sua nomina a Procuratore aggiunto verso la fine dell’anno (OMISSIS);

3) nel congedo di circa un mese e mezzo fruito per malattia nei primi mesi dell’anno (OMISSIS);

4) nell’assegnazione al suo ufficio dalla fine del (OMISSIS) di un solo collaboratore;

5) nella notevolissima mole e nella, qualita’ del lavoro da lei svolto dal (OMISSIS).

Ha quindi escluso, quanto all’accantonamento, la correttezza della scelta individuale del magistrato di differire la trattazione di numerosi procedimenti, alcuni dei quali per reati contro la pubblica amministrazione, per un periodo di tempo tale da vanificare con il maturare della prescrizione la verifica da parte del giudice per le indagini preliminari del suo convincimento dell’insussistenza del reato o di elementi per sostenere l’accusa.

Quanto alle altre, pur dando atto degli asseriti carichi di lavoro e difficolta’ sia personali che organizzative – logistiche dell’ufficio, peraltro rimasto privo di una delle due unita’ di personale amministrativo soltanto nel periodo dal 17 marzo 2003 a 5 aprile 2004, ha ritenuto che una piu’ equilibrata ripartizione delle energie lavorative del magistrato tra le varie incombenze da svolgere ed una diversa e migliore organizzazione del lavoro gli avrebbero senz’altro consentito una definizione dei procedimenti in tempi non caratterizzati dalla assoluta ed inusitata lunghezza, che il Procuratore generale della Corte di appello di Roma aveva ritenuto di dovere segnalare con nota del 29 novembre 2007.

Il riferimento ulteriore della sentenza ad una permanente attualita’ del principio, che nell’abrogato regime disciplinare aveva ravvisato nel ritardo nel compimento di atti processuali oltre ogni limite di ragionevolezza una lesione in re ipsa del prestigio del magistrato e dell’intero ordine giudiziario, oltre a trovare ragione nell’essersi parte della condotta esaurita nella vigenza del R.D.Lgs. n. 511 del 1946, nessun rilievo ha assunto, quindi, sull’osservanza o corretta applicazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, il quale, pur non facendo piu’ menzione dopo l’abrogazione dell’art. 1, comma 2, del prestigio del magistrato e dell’istituzione giudiziaria, impone in ogni caso al magistrato di esercitare le funzioni attribuitegli, oltre che con riserbo ed equilibrio, anche con imparzialita’, correttezza, diligenza, laboriosita’ e rispetto della dignita’ della persona.

Il terzo motivo, in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), lamenta la manifesta illogicita’ della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato e da specifici atti del giudizio, avendo ritenuto che “i ritardi, in quanto di assoluta e persino inusitata lunghezza … sono di per se’ stessi ingiustificabili” e che l’accantonamento di alcuni procedimenti penali (pur se finalizzato a dedicare le maggiori attenzioni a procedimenti piu’ rilevanti ed in relazione ai quali parevano ricorrere elementi di accusa sostenibili in dibattimento) avrebbe determinato una lesione per gli indagati, i quali avrebbero visto definire la propria posizione processuale con ritardo.

Deduce che, il primo rilievo, si risolve in una petizione di principio a fronte dell’attestazione che l’incolpata era:

1) un magistrato che si impegnava moltissimo, facendo anche sacrifici personali;

2) aveva svolto per piu’ di un anno le molte incombenze senza l’ausilio di uno dei due impiegati amministrativi;

3) aveva continuato a smaltire, dopo la nomina ad aggiunto, il ruolo gia’ assegnatole come sostituto procuratore;

4) aveva usufruito di un congedo di un mese e mezzo per motivi di salute;

5) aveva trattato numerosissimi procedimenti penali dimostrando un’ottima produttivita’:

Il secondo, contrasta con la presa d’atto della non concreta smaltibilita’ dei carichi di lavoro degli uffici giudiziari e con la ratio di individuare un elenco di processi a trattazione prioritaria con sacrificio di quelli non compresi nella catalogazione sottese alla L. 24 luglio 2008, n. 125 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica), ed alle soluzioni operative suggerite dalla circolare emessa il 10 gennaio 2007 dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino (dott. M.), come recepita dal plenum del C.S.M. il 16 maggio 2007.

Il motivo e’ infondato. La sentenza, dopo avere sottolineato il numero di circa venti dei procedimenti oggetto della contestazione e l’affermazione dell’incolpata di averli volontariamente accantonati, perche’ aveva raggiunto il convincimento che i reati erano insussistenti o non vi erano elementi per sostenere l’accusa in giudizio, ed evidenziato il modesto impegno necessario ad esplicitare tale convincimento ed a richiedere tempestivamente al G.I.P. l’emissione del provvedimento conclusivo di essi, ha rapportato la modestia di tale impegno alle giustificazioni del ritardo addotte dal magistrato ed ha escluso che i carichi di lavoro e le difficolta’ sia personali e sia organizzativo – logistiche dell’ufficio da lui rappresentati costituissero un impedimento sufficiente a scriminarne la condotta.

Nessuna manifesta illogicita’ od apoditticita’ e’ ravvisabile in siffatto iter argomentativo, in quanto preceduto (da) e conseguente (a) un puntuale esame delle deduzioni difensive e degli elementi di prova acquisiti, che aveva comportato un ridimensionamento sia della durata del periodo di congedo per malattia fruito dall’incolpata che di quella di carenza di personale ausiliario e consentito un ponderato apprezzamento dell’impedimento al puntuale svolgimento dell’attivita’ del magistrato tanto con riferimento agli specifici carichi di lavoro quanto dell’impegno ed alla produttivita’ che in genere ne avevano caratterizzato l’opera.

Ne’ a diversa conclusione induce il richiamo, apparentemente nuovo nel giudizio, alla L. n. 125 del 2008 ed alla c.d. circolare M., posto che quest’ultima e’ stato oggetto di un invito alla riconsiderazione da parte del C.S.M., avendo l’organo di autogoverno dei magistrati ritenuto che non fosse rimesso dalle norme di rito al singolo magistrato la discrezionale individuazione dei procedimenti da accantonare “in attesa di tempi migliori” e, in particolare, della prescrizione dei reati, e che la L. n. 125 del 2008, art. 1 ter attribuisce comunque ai dirigenti degli uffici l’individuazione dei criteri di fissazione dei procedimenti per i quali non e’ prevista la trattazione prioritaria e delle modalita’ di rinvio di quelli in ordine ai quali ricorrono le condizioni per l’applicazione dell’indulto concesso con L. 31 luglio 2006, n. 241.

Il quarto motivo., in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), lamenta l’erronea applicazione della legge disciplinare, avendo irrogato la sanzione della censura prevista dal D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 12 in luogo di quella piu’ mite dell’ammonimento stabilita dal R.D.Lgs. n. 511 del 1946, benche’ alla condotta esauritasi prima del 19 giugno 2006 dovesse trovare applicazione, ai sensi del D.Lgs. cit., art. 32 bis, la normativa piu’ favorevole e la condotta protrattasi per pochi mesi successivamente a tale data non presentasse la connotazione della gravita’ e costituisse una mera reiterazione di quella precedente.

Il motivo e’ infondato.

L’illecito disciplinare contemplato nel D.Lgs. n. 106 del 2006, art. 2, lett. q si configura come un’unica condotta permanentemente, la cui gravita’ lesiva in relazione all’interesse tutelato dalla disposizione va rapportata al momento nel quale con la sua cessazione si realizza la commissione del fatto. Ne consegue che, come questa Corte ha gia’ affermato, nel caso di cessazione della condotta omissiva successivamente all’entrata in vigore della nuova disciplina degli illeciti disciplinari, il principio in essa introdotto dell’ultrattivita’ della normativa anteriore nel caso di fatti commessi anteriormente al 19 giugno 2006, puo’ trovare applicazione soltanto se la condotta sia sorta e si sia in questa completamente esaurita (cfr. Cass. civ., sez. un., sent. 16 luglio 2009, n. 16557);

Cass. civ., sez. un., sent. 29 gennaio 2007, n. 1821).

All’inammissibilita’ od infondatezza dei motivi segue il rigetto del ricorso.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2010

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