Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9668 del 13/04/2021

Cassazione civile sez. I, 13/04/2021, (ud. 08/01/2021, dep. 13/04/2021), n.9668

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17639/2017 proposto da:

F.C., elettivamente domiciliata in Roma, Via Catanzaro

n. 29, presso lo studio dell’avvocato Introcaso Donato,

rappresentata e difesa dall’avvocato Parise Gaetano, giusta procura

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Credito Cooperativo Mediocrati S.c.p.a., in persona del legale

rappresentante pro tempore, domiciliato in Roma, Piazza Cavour,

presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione,

rappresentato e difeso dall’avvocato Azzinnaro Vincenzo, giusta

procura in calce al ricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 13/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

pubblicata il 10/01/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

08/01/2021 dal Cons. Dott. FALABELLA MASSIMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – F.C. – erroneamente identificata come F.C. nella sentenza impugnata – proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Castrovillari l’11 dicembre 2007: decreto con cui le era stato intimato di pagare, nella qualità di fideiussore di R.A., la somma di Euro 38.858,73, oltre interessi e spese a Credito Cooperativo Mediocrati – Società Cooperativa per Azioni. L’ingiunta disconosceva le firme apposte sulla scrittura che documentava il contratto di mutuo e sul documento che conteneva la prestazione della garanzia fideiussoria.

La banca si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto della spiegata opposizione.

Il Tribunale rigettava la stessa con sentenza del 29 dicembre 2009.

2. – Decidendo sul gravame proposto avverso detta pronuncia, la Corte di appello di Catanzaro, respingeva, in data 10 gennaio 2017, l’impugnazione.

3. – F.C. ricorre per la cassazione di quest’ultima decisione. L’impugnazione si fonda su due motivi. Resiste con controricorso Credito Cooperativo Mediocrati.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 645 c.p.c., per mutatio libelli. Si lamenta che la sentenza impugnata non abbia rilevato l’inammissibilità della domanda nuova proposta dalla banca convenuta, la quale aveva domandato che essa opponente fosse condannata quale erede di R.A.. Si deduce che la controparte avrebbe illegittimamente modificato la domanda introducendo una causa petendi completamente diversa rispetto a quella invocata nel procedimento monitorio, determinando, in tal modo, un inammissibile ampliamento del thema decidendum del giudizio di opposizione.

Il motivo è infondato.

Si legge nella sentenza impugnata che la banca, nel ricorso monitorio, aveva richiesto l’ingiunzione di pagamento nei confronti di F.C., quale “coniuge superstite del sig. R.A., fideiussore ed obbligata in solido” e che il Tribunale aveva intimato il pagamento alla ricorrente, nella sua qualità di garante. La doglianza presa in esame dalla Corte di appello ha ad oggetto la modificazione della domanda originaria che sarebbe stata posta in atto dalla banca: modificazione consistente nell’aver fondato la pretesa azionata sul fatto che l’originaria opponente risultava essere erede del coobbligato R.A. e, come tale, tenuta a rispondere delle passività oggetto della successione. Ha reputato, in proposito, il giudice del gravame che tale modificazione integrerebbe una mera emendatio libelli, e che quindi essa fosse in concreto consentita.

Come è noto, l’ingiungente non può far valere in sede di opposizione domande nuove rispetto a quella di adempimento contrattuale posta alla base della richiesta di provvedimento monitorio, salvo quelle conseguenti alle domande ed alle eccezioni in senso stretto proposte dall’opponente, determinanti un ampliamento dell’originario thema decidendum fissato dal ricorso ex art. 633 c.p.c. (per tutte: Cass. 25 ottobre 2018, n. 27124; Cass. 9 aprile 2013, n. 8582). Nel giudizio ordinario di cognizione sono tuttavia da considerare domande “nuove” quelle “ulteriori” o “aggiuntive”: diverso è il caso in cui le domande iniziali vengono modificate, eventualmente anche in alcuni elementi fondamentali, senza aggiungersi alle domande iniziali, ma sostituendosi ad esse e ponendosi, rispetto alle medesime in un rapporto di alternatività (Cass. Sez. U. 15 giugno 2015, n. 12310, in motivazione; cfr. pure Cass. 26 giugno 2018, n. 16807). La regola deve valere anche con riguardo al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, il quale, come è noto, instaura un ordinario giudizio di cognizione, nel quale il giudice non deve limitarsi ad esaminare se l’ingiunzione sia stata legittimamente emessa, ma deve procedere ad una autonoma valutazione di tutti gli elementi offerti sia dal creditore per dimostrare la fondatezza della propria pretesa dedotta con il ricorso sia dall’opponente per contestarla (ex plurimis: Cass. 28 maggio 2019, n. 14486; Cass. 7 ottobre 2011, n. 20613). Ne consegue che anche al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo è applicabile il principio (per cui cfr.: Cass. Sez. U. 15 giugno 2015, n. 12310 cit.; in senso conforme, di recente: Cass. 30 settembre 2020, n. 20898; Cass. 28 novembre 2019, n. 31078), secondo cui la modificazione della domanda ammessa può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa (petitum e causa petendi), sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l’allungamento dei tempi processuali.

Nella specie, la modificazione della domanda ingiuntiva ha lasciato immutato il titolo della pretesa (costituito, pur sempre, dal contratto di mutuo di cui l’odierna ricorrente era stata chiamata a rispondere quale cointestataria del contratto e quale garante) e non ha determinato una compromissione delle potenzialità difensive della controparte (unicamente tenuta a precisare la quota ereditaria di cui doveva rispondere: cfr. infra, sub secondo motivo), nè, tantomeno, un allungamento dei tempi del processo.

2. – Col secondo motivo la sentenza impugnata è censurata per violazione dell’art. 112 c.p.c.. Rileva la ricorrente che, nonostante l’espressa e inequivoca richiesta di propria condanna della quota ereditaria, i giudici di merito l’avessero invece condannata al pagamento dell’intero debito asseritamente contratto dal de cuius con la banca opposta.

Il motivo non può essere accolto.

Come correttamente ritenuto nella sentenza impugnata, l’art. 754 c.c., per il quale gli eredi rispondono dei debiti del de cuius in relazione al valore della quota nella quale sono stati chiamati a succedere, si interpreta nel senso che il coerede convenuto per il pagamento di un debito ereditario ha l’onere di indicare al creditore la sua condizione di coobbligato passivo, entro i limiti della propria quota, sicchè, integrando tale dichiarazione gli estremi dell’istituto processuale della eccezione propria, la sua mancata proposizione consente al creditore di chiedere legittimamente il pagamento per l’intero (Cass. 31 marzo 2015, n. 6431; Cass. 12 luglio 2007, n. 15592). Appare pertanto decisivo il rilievo, svolto dalla Corte di appello, per cui l’odierna ricorrente non ebbe a specificare l’entità della propria quota ereditaria.

3. – Il ricorso va dunque respinto.

4. – Le spese di giudizio seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte;

rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 8 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 13 aprile 2021

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